Lavinia Bifulco, Maria Dodaro (a cura di)
Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c9

Capitolo nono La scuola post-pandemica. Analisi e prospettive alla luce del PNRR
di Camilla Borgna e Marco Romito

Notizie Autori
Camilla Borgna è ricercatrice in Sociologia generale presso il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università degli Studi di Torino e Affiliate del Collegio Carlo Alberto. Si occupa di disuguaglianze in ambito scolastico e sul mercato del lavoro, di pregiudizi e discriminazione, e di valutazione delle politiche pubbliche. Con la Società editrice il Mulino ha pubblicato Studiare da straniero. Immigrazione e diseguaglianze nei sistemi scolastici europei (2021).
Notizie Autori
Marco Romito è ricercatore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Si occupa principalmente di disuguaglianze e transizioni educative a livello scolastico e universitario e di processi e politiche dell’orientamento. Tra i suoi volumi più recenti, First-Generation Students. Essere i primi in famiglia a frequentare l’università (2021).
Abstract
Nel capitolo vengono esaminate le ricadute della pandemia sul sistema scolastico italiano, approfondendone le debolezze strutturali e interrogando le capacità del PNRR di sistemarne gli aspetti più fragili. Nel complesso gli autori rilevano una generale continuità delle logiche sottostanti le politiche dell’istruzione degli ultimi decenni, tra cui il managerialismo e la riconcettualizzazione della scuola.

1. Introduzione

La crisi pandemica da Covid-19 ha avuto un profondo impatto sul sistema scolastico italiano: le prolungate chiusure degli anni 2020 e 2021, cui ha fatto da tampone, in maniera variamente efficace, la didattica a distanza (DAD) non hanno solo rallentato i processi di apprendimento di studenti e studentesse, andando a incidere soprattutto sui più deboli [Contini et al. 2023], ma hanno avuto anche e soprattutto un contraccolpo sui loro livelli di benessere psicologico, portando a un incremento di fenomeni di depressione, ansia e perdita di autostima [De Marchi 2021].
A livello sistemico, la scuola italiana ha mostrato non poche difficoltà ad adattarsi alla inedita situazione di emergenza. È stata rilevata la mancanza di una guida pubblica capace di dare un orientamento comune alle azioni delle singole scuole e una sistematizzazione delle «buone pratiche» che potevano consentire di affrontare con più consapevolezza la situazione di emergenza [Salmieri 2019]. La ricerca ha mostrato enormi differenze nei modi in cui le singole autonomie scolastiche sono riuscite a realizzare una didattica di qualità [Colombo et al. 2022]. I divari territoriali nella disponibilità di tecnologie digitali e banda larga, le note carenze nella formazione degli insegnanti [Pandolfini 2016], le disuguaglianze nelle competenze digitali tra gli studenti e le famiglie, che ricalcano quelle di tipo sociale ed educativo [Vaira e Romito 2020], hanno reso più drammatico l’impatto del lockdown nei territori già in sofferenza e per le famiglie che non potevano mobilitare elevate risorse educative, tecnologiche e abitative [Borgna e Struffolino 2022].{p. 158}
In questo contesto, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), promosso dal governo Draghi nell’ambito del programma Next Generation EU 2021-2026, avrebbe potuto costituire un’opportunità per intervenire sulle debolezze strutturali del sistema scolastico italiano, messe in evidenza dalla pandemia. Opportunità che, come cercheremo di argomentare in questo capitolo, è stata colta solo in parte. Obiettivo di questo capitolo è infatti quello di esaminare il tipo di scuola che il PNRR ha provato a disegnare, soffermandoci in particolare sulla riforma dell’orientamento come caso esemplare per far emergere i paradigmi e gli assunti di fondo veicolati dal piano in riferimento alla scuola post-pandemica. Questa analisi sarà condotta tracciando le connessioni con il più ampio quadro storico delle trasformazioni che, negli ultimi decenni, hanno investito la governance e il discorso pubblico e politico attorno all’idea di scuola ed educazione, a partire dal binomio equità/selezione.

2. La scuola post-pandemica nel PNRR: fra rottura e continuità

Per alcuni versi, il PNRR segna un cambio di passo rispetto alle politiche di istruzione degli ultimi decenni, a partire dall’ammontare delle risorse stanziate. Alla Missione 4 (Istruzione e ricerca) sono allocati nel complesso 30,88 miliardi, di cui 19,44 dedicati al potenziamento quantitativo e qualitativo del sistema di istruzione dall’asilo all’università. Gli investimenti più consistenti riguardano: la costruzione, riqualificazione e messa in sicurezza di asili nido e scuole dell’infanzia (4,6 miliardi); svariate azioni di supporto alle scuole per innalzare il livello delle competenze di base e ridurre la dispersione scolastica, in particolare per il Sud Italia (1,5 miliardi); il potenziamento degli istituti tecnici superiori (ITS), ossia della formazione professionale di livello terziario (1,5 miliardi); l’estensione del tempo pieno, principalmente tramite la costruzione e la ristrutturazione degli spazi adibiti a mense scolastiche e palestre (0,96 miliardi); l’edilizia residenziale per studenti e studentesse universitari/e (0,96 {p. 159}miliardi) e le borse di studio universitarie (0,5 miliardi). Inoltre, un ammontare cospicuo di risorse è dedicato a un ambito tradizionalmente non prioritario nel sistema formativo italiano, ossia l’orientamento (0,25 miliardi).
Questi stanziamenti costituiscono un elemento di straordinaria novità se pensiamo al cronico sottofinanziamento del sistema formativo italiano, aggravatosi ulteriormente a partire dalla crisi economico-finanziaria del 2009. Alla vigilia della pandemia, la spesa complessiva (pubblica e privata) per finanziare le scuole costituiva lo 0,9% del PIL nazionale, ponendo l’Italia al quartultimo posto della classifica OCSE (dati OCSE relativi al 2019). In particolare, la spesa pubblica, pur partendo da livelli comparativamente bassi, subì una forte contrazione nel periodo 2009-2016, quando la percentuale di PIL destinato alla scuola si ridusse di quasi 0,6 punti percentuali (un calo di oltre il 18%). Tale riduzione venne perseguita principalmente attraverso la contrazione della spesa per personale, che rappresenta circa il 75% della spesa per l’istruzione. Come discusso più approfonditamente altrove [Borgna et al. 2022], in questa fase i governi italiani agirono principalmente su due leve: da un lato, riducendo il numero assoluto dei dipendenti (insegnanti e personale ATA) e dall’altro comprimendo i loro livelli salariali, in linea con il resto della pubblica amministrazione. Queste scelte, che nel breve termine furono utilizzate come strumento di aggiustamento fiscale e di consolidamento della situazione finanziaria del paese, nel medio periodo hanno contribuito a indebolire la capacità amministrativa e gestionale delle scuole italiane, anche in un contesto, come quello attuale, in cui il sistema avrebbe a disposizione cospicue risorse economiche. Questa perdita organizzativa e di risorse umane si inscrive nel più generale processo di depauperamento del sistema di welfare indotto dalle politiche di austerità (cfr. Bifulco e Dodaro, supra) e, come vedremo, non è senza conseguenze per l’effettiva capacità del sistema scolastico italiano di cogliere l’opportunità del PNRR.
Un secondo motivo per cui il PNRR costituisce un’importante novità nel modo di concepire le riforme scolastiche è dato dalla natura strutturale delle azioni previste. Infatti, {p. 160}nell’istruzione come in altri ambiti, il piano propone prima un’analisi delle difficoltà e delle carenze strutturali che caratterizzano il sistema scolastico italiano e in seguito un pacchetto organico di riforme e investimenti per farvi fronte. Si pensi in particolare agli investimenti infrastrutturali connessi all’estensione del tempo scuola. Si prevede un piano straordinario di riqualifica e nuova costruzione degli edifici scolastici, che dovrebbe riguardare gli asili nido e le scuole dell’infanzia (con l’obiettivo di creare 228.000 posti aggiuntivi per i bambini e le bambine fra 0 e 5 anni di età), le scuole (per un totale di 212 nuove costruzioni), le mense (costruzione o ristrutturazione di spazi da adibirsi a questo scopo in 1.000 edifici), le palestre e le aree sportive e infine gli spazi dedicati ad attività laboratoriali (come i Next generation labs, finalizzati all’apprendimento digitale). Questo investimento è volto a colmare la ben nota inadeguatezza degli edifici scolastici italiani in termini di sicurezza e sostenibilità, ma è anche condizione necessaria all’estensione quantitativa e qualitativa dei servizi educativi durante la fase prescolastica e del tempo pieno durante la scuola dell’obbligo, entrambi aspetti su cui il nostro paese è caratterizzato da gravi squilibri sociali e territoriali [Save the Children 2022]. Condizione necessaria, ma non sufficiente: affinché l’estensione del tempo scuola sia sostenibile, servirebbe anche un massiccio piano di reclutamento sul medio periodo, di cui il PNRR non fa menzione. In effetti, il PNRR non affronta affatto il nodo decisivo del personale scolastico, limitandosi a un vago riferimento al «miglioramento dei processi di reclutamento e formazione degli insegnanti» ed evocando una riforma che «ridisegna le procedure concorsuali per l’immissione nei ruoli del personale docente rafforzando, secondo modalità innovative, l’anno di formazione e prova» (p. 188). Tuttavia, il sottodimensionamento del personale scolastico (docente e amministrativo), l’alto grado di precarietà e di conseguenza di turnover all’interno di un singolo istituto e la pratica dell’accorpamento, per una logica di riduzione dei costi, di plessi scolastici differenti sotto una stessa dirigenza costituiscono ostacoli di non poco conto a un’attuazione di successo dell’estensione del tempo pieno, così come delle {p. 161}altre azioni educative previste dal piano. Altro aspetto di cui il PNRR non fa menzione sono i livelli salariali: se, come abbiamo visto, i salari degli insegnanti sono stati fortemente compressi a partire dal 2010 e rimangono tra i più bassi d’Europa, nello stesso periodo gli insegnanti hanno sperimentato un corposo aumento del carico di lavoro legato ai processi di managerializzazione che hanno investito il mondo della scuola. Dal punto di vista delle scuole, anche l’attuazione del PNRR è essenzialmente un nuovo grande sforzo progettuale di cui gli insegnanti sono chiamati a farsi carico a fronte di un minimo (quando presente) riconoscimento economico.
Malgrado i limiti appena menzionati, la portata strutturale delle misure previste dal PNRR si pone in netta controtendenza rispetto agli interventi di politica scolastica degli ultimi vent’anni. Probabilmente, l’ultimo tentativo organico di riforma fu quello attuato dal ministro Berlinguer (1999-2000) e in particolare la riforma dei cicli, con lo scopo manifesto di accrescere i livelli di istruzione e di ridurre le disuguaglianze sociali nel loro conseguimento, in continuità con la stagione di riforme espansive ed equalizzatrici degli anni Sessanta e Settanta [Durazzi, Pavolini e Battaglia 2023]. Allo stesso tempo, la riforma Berlinguer introdusse per la prima volta alcuni principi, quali l’autonomia e la parità scolastiche, che avrebbero poi trovato, negli anni successivi, ampio consenso e sostegno trasversale, da parte di governi sia di centro-destra sia di centro-sinistra [Borgna et al. 2022]. Gli interventi di tali governi, impropriamente chiamati «riforme», si limitarono di fatto a smantellare le innovazioni più progressiste della riforma Berlinguer, espandendone al contempo quelle di stampo neoliberale e managerialista. La «riforma» Moratti (2003-2005) consistette essenzialmente in un ritorno allo status quo per quanto riguarda la riforma dei cicli e nell’accelerazione dell’autonomia scolastica. L’assenza di un disegno organico è ancora più evidente nella «riforma» Gelmini (2008-2010) che, dietro a misure di valore simbolico-comunicativo, quali l’obbligo del grembiulino, nascondeva l’intervento massiccio di tagli alla spesa di cui abbiamo già parlato. Modesti e privi di coerenza interna appaiono anche gli elementi innovativi della «riforma» della Buona scuola
{p. 162}di Renzi (2015), fra cui ci limitiamo a menzionare il tentato rafforzamento dei poteri gestionali dei dirigenti scolastici.
Note