Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c9
Malgrado i limiti appena menzionati,
la portata strutturale delle misure previste dal PNRR si pone in netta controtendenza
rispetto agli interventi di politica scolastica degli ultimi vent’anni. Probabilmente,
l’ultimo tentativo organico di riforma fu quello attuato dal ministro Berlinguer
(1999-2000) e in particolare la riforma dei cicli, con lo scopo manifesto di accrescere
i livelli di istruzione e di ridurre le disuguaglianze sociali nel loro conseguimento,
in continuità con la stagione di riforme espansive ed equalizzatrici degli anni Sessanta
e Settanta [Durazzi, Pavolini e Battaglia 2023]. Allo stesso tempo, la riforma
Berlinguer introdusse per la prima volta alcuni principi, quali l’autonomia e la parità
scolastiche, che avrebbero poi trovato, negli anni successivi, ampio consenso e sostegno
trasversale, da parte di governi sia di centro-destra sia di centro-sinistra [Borgna
et al. 2022]. Gli interventi di tali governi, impropriamente
chiamati «riforme», si limitarono di fatto a smantellare le innovazioni più progressiste
della riforma Berlinguer, espandendone al contempo quelle di stampo neoliberale e
managerialista. La «riforma» Moratti (2003-2005) consistette essenzialmente in un
ritorno allo status quo per quanto riguarda la riforma dei cicli e nell’accelerazione
dell’autonomia scolastica. L’assenza di un disegno organico è ancora più evidente nella
«riforma» Gelmini (2008-2010) che, dietro a misure di valore simbolico-comunicativo,
quali l’obbligo del grembiulino, nascondeva l’intervento massiccio di tagli alla spesa
di cui abbiamo già parlato. Modesti e privi di coerenza interna appaiono anche gli
elementi innovativi della «riforma» della Buona scuola
¶{p. 162}di Renzi
(2015), fra cui ci limitiamo a menzionare il tentato rafforzamento dei poteri gestionali
dei dirigenti scolastici.
Questo breve excursus sulle riforme
scolastiche degli ultimi 25 anni ci è utile anche per mettere in evidenza gli aspetti
per i quali il PNRR si pone in continuità con il passato. In effetti, la natura poco
strutturata e apparentemente idiosincratica degli interventi di riforma che si sono
susseguiti a partire dai primi anni Duemila non significa che essi non siano pervasi da
un ethos comune, inteso come le idee che in un certo periodo di
tempo sono egemoniche nell’arena politica. Tale ethos, reso egemone
in primis grazie all’agency di attori
sovranazionali [ibidem], è caratterizzato da due elementi di fondo:
da un lato, la forte impronta neoliberale per quanto concerne il «valore»
dell’istruzione, che diventa sinonimo di capitale umano e la cui accumulazione è frutto
di una strategia razionale finalizzata al raggiungimento di posizioni socioeconomiche
desiderabili; dall’altro lato, l’ascesa del paradigma del New Public
Management come principio guida della governance
scolastica, nel quadro più ampio delle politiche di austerity ed
efficientizzazione politica ed economica che hanno visto un’accelerazione a seguito
della crisi economico-finanziaria del 2009.
In piena continuità con questo
ethos, nei documenti del PNRR, l’analisi che porta alla
diagnosi dei problemi strutturali e l’individuazione degli strumenti più idonei per
affrontarli si situano nella cornice teorica del capitale umano. All’interno della
Missione 4, per come è presentata nel documento governativo, non c’è traccia
dell’istruzione come diritto, né tanto meno come infrastruttura sociale fondamentale per
la creazione, il mantenimento e lo sviluppo della democrazia e della giustizia sociale.
Pare indicativo, in questo senso, il fatto che nell’intero documento il termine
«diritti» emerga solo nell’espressione «diritto allo studio» (p. 187), entrata ormai
nell’uso comune come sinonimo di politiche per il sostegno economico agli studi
universitari, ma in realtà intesa, anche in questo caso, come un incentivo
all’iniziativa individuale. Infatti, la visione dell’istruzione che emerge dal PNRR è
quella di una strategia di investimento nel proprio capitale umano, in cui l’individuo è
visto come il ¶{p. 163}miglior giudice dei propri interessi e bisogni.
Ciò è evidente, ad esempio, nell’individuazione della filiera professionale come
strumento per la soluzione dello skill mismatch e nella manifesta
attribuzione all’istruzione della funzione di favorire l’incontro con il mercato del
lavoro. Per quanto riguarda gli istituti tecnici e professionali, il PNRR propone una
riforma mirata «ad allineare i curricula alla domanda di competenze che proviene dal
tessuto produttivo del paese» orientando «il modello di istruzione tecnica e
professionale verso l’innovazione introdotta da Industria 4.0» (pp. 184-185).
Similmente, si lamenta la mancata attrattività della filiera professionale terziaria,
costituita dagli ITS perché «solo l’1,7% degli studenti terziari si iscrive a corsi di
istruzione professionalizzante, che pure hanno prodotto in anni recenti esiti
occupazionali significativi» (p. 176). Inoltre, appare rivelatore il focus sugli
strumenti esclusivamente individuali per fronteggiare la dispersione scolastica, come
recupero formativo e mentoring online, come pure la logica
individualizzata dell’orientamento formativo (si veda il prossimo paragrafo). In
quest’ottica, il ruolo del pubblico è quello di erogare un servizio, oppure di regolarne
l’erogazione da parte di soggetti privati, intervenendo a margine tramite incentivi
economici, ma in ogni caso lasciando a studenti e studentesse, insieme alle loro
famiglie, la scelta sulle modalità di fruizione di tale servizio, sia in termini di
quantità sia di qualità. Non a caso, il termine «servizi» («servizi di educazione e
istruzione primaria», «servizi educativi per l’infanzia», «servizio di tempo pieno»,
«servizi residenziali per gli studenti universitari», «servizi di istruzione», «servizi
di orientamento»…) ricorre ben sedici volte nelle tre pagine introduttive della Missione
4.
3. La riforma del sistema di orientamento nel PNRR: un’analisi di politica culturale
Per indagare le forme che assumerà
la scuola post-pandemica disegnata dal PNRR è necessaria un’analisi di tipo culturale,
che provi, cioè, a cogliere le concezioni del ¶{p. 164}mondo e le
soggettività che il piano costruisce e veicola. Il PNRR è infatti un dispositivo che
produce un certo tipo di discorso sulla scuola, un discorso al cui interno le politiche
e gli interventi proposti possono acquisire un significato, prendere corpo e
legittimarsi [Fairclough 2012]. L’obiettivo dell’analisi che proponiamo qui di seguito
è, pertanto, quello di esaminare questo dispositivo, di mostrare il modo in cui
costruisce i problemi e gli oggetti di cui si occupa, gli assunti su cui si poggia e
come questi ultimi acquistano uno statuto di verità che dà senso e legittima gli
interventi previsti.
L’analisi si soffermerà in
particolare su un testo, le linee guida per la riforma dell’orientamento
adottate con un decreto ministeriale nell’ambito della Missione 4 del PNRR,
che sarà esplorato alla luce del quadro discorsivo più ampio in cui si colloca: da un
lato, la stessa Missione 4; dall’altro, la normativa precedente sull’orientamento che in
Italia si è sviluppata a partire dagli anni Duemila per evidenziarne, anche in questo
caso, elementi di continuità e differenza. Tra i diversi interventi proposti per il
settore dell’istruzione, ci focalizziamo sulla riforma del sistema di orientamento per
due ragioni principali. In primo luogo, poiché gli interventi proposti in questo ambito
sono presentati come snodi cruciali per conseguire un gran numero di obiettivi di tipo
più generale contenuti nella Missione 4. L’ex ministro Patrizio Bianchi, a novembre
2021, durante il convegno JobOrienta alla fiera di Verona, ha definito la riforma
dell’orientamento come «una delle più importanti nell’ambito del PNRR». In secondo
luogo, poiché l’orientamento costituisce un ambito pratico e discorsivo capace di
condensare: a) l’ethos che permea la scuola
post-pandemica per come si delinea nel PNRR; b) i principi
organizzativi e regolativi che sono assunti come necessari alla
governance del sistema di istruzione; c)
il modo in cui vengono delineate (discorsivamente e linguisticamente) e costruite le
soggettività scolastiche (scuola, insegnanti, studenti, famiglie) dal punto di vista
della loro ontologia, degli obiettivi che si pongono e delle logiche di azione che li
muovono.¶{p. 165}
3.1. Cos’è l’orientamento nelle linee guida e assunti su cui si poggia
Ogni politica che richiede la
mobilitazione di una pluralità di attori, per essere attuata deve creare un campo di
intellegibilità attraverso cui pervenire a un primo allineamento sugli obiettivi che
vogliono essere perseguiti. All’interno del PNRR, e in modo più specifico nelle
linee guida, l’orientamento viene definito come:
un processo volto a facilitare la conoscenza di sé, del contesto formativo, occupazionale, sociale, culturale ed economico di riferimento, delle strategie messe in atto per relazionarsi ed interagire in tali realtà, al fine di favorire la maturazione e lo sviluppo delle competenze necessarie per poter definire o ridefinire autonomamente obiettivi personali e professionali aderenti al contesto, elaborare o rielaborare un progetto di vita e sostenere le scelte relative (pp. 1-2).
Questa definizione è presa
dall’Accordo tra governo, Regioni ed enti locali sul documento di
Definizione delle linee guida del sistema nazionale sull’orientamento
permanente del 2012 e si situa all’interno di una produzione di testi
istituzionali che, fin dalla fine degli anni Novanta ha posto l’attenzione sulla
dimensione principalmente «formativa» (e autoformativa) dell’orientamento [MIUR
2009; 2014]. Questa definizione, che ha trovato a livello europeo un ancoraggio
cruciale nel Memorandum sull’istruzione e la formazione
permanente del 2000 nell’ambito della Strategia di Lisbona e in due
risoluzioni del Consiglio dell’Unione Europea (2004 e 2008), inscrive l’orientamento
all’interno di un paradigma pedagogico che pone al centro gli individui, immaginati
come soggetti autonomi e capaci di perseguire i propri obiettivi se opportunamente
informati del contesto in cui si muovono e formati nelle capacità di lettura delle
proprie abilità e competenze.
Questo modo di concepire
l’orientamento, diventato oggi di senso comune, non è l’unico possibile. Esso si
definisce infatti a partire dal superamento di un approccio basato sulla
¶{p. 166}mera diffusione di informazioni e in cui chi praticava
orientamento affidava principalmente agli strumenti di misurazione psicoattitudinale
il compito di assicurare la compatibilità tra caratteristiche personali e competenze
richieste da specifiche occupazioni o segmenti del mercato del lavoro. Enfatizzando
l’autonomia e la responsabilità degli individui nel compiere liberamente le proprie
scelte, il discorso sull’orientamento veicolato dai documenti istituzionali richiama
piuttosto un processo formativo in cui i soggetti sono chiamati
a rispondere attivamente alla sfida di costruirsi un proprio «progetto di vita».
Questo ha naturalmente conseguenze importanti nei termini di una crescente
individualizzazione dei rischi sociali connessi alle scelte effettuate e riproduce
un topos centrale di una concezione neoliberale delle politiche
pubbliche che assume e veicola una concezione dei soggetti come imprenditori di sé
[Dardot e Laval 2009].
Nell’ambito del più ampio
processo di riforma in senso privatistico e utilitaristico del sistema di istruzione
[Grimaldi, Landri e Serpieri 2016] e come è stato messo in luce anche altrove
[Pitzalis 2016; De Feo, Gonçalves e Romito 2019; Romito, Gonçalves e De Feo 2020],
le politiche di riforma dell’orientamento costituiscono, inoltre, una sorta di testa
di ponte attraverso cui sollecitare gli attori scolastici (dirigenti e insegnanti)
ad abbracciare un nuovo modo di fare scuola.
«L’attività didattica
in ottica orientativa è organizzata a partire dalle esperienze degli
studenti, con il superamento della sola dimensione trasmissiva delle conoscenze e
con la valorizzazione della didattica laboratoriale, di tempi e spazi flessibili, e
delle opportunità offerte dall’esercizio dell’autonomia» (p. 3).
Seguito da un riferimento alla
necessità di sviluppare interventi di orientamento fin dalla scuola primaria,
l’estratto sopra riportato mobilita l’opposizione tra didattica «trasmissiva», da
«superare», e didattica laboratoriale, flessibile e capace di favorire l’esercizio
dell’autonomia individuale: il ruolo dell’orientamento è dunque anche quello di
sollecitare gli insegnanti ad abbracciare un’idea di scuola che ponga gli studenti e
le studentesse «al centro» dei processi di apprendimento attraverso azioni
pedagogiche «di sostegno
¶{p. 167}all’autostima, alle attitudini e
al riconoscimento dei talenti individuali» (p. 3). Sebbene il tentativo di
destabilizzare la forma scolastica tradizionale (trasmissiva, autoritaria,
disciplinante) possa costituire un’importante opportunità per attivare processi di
inclusione ed emancipazione sociale, questa operazione si definisce attraverso
linguaggi e pratiche che tendono a enfatizzare la dimensione competitiva di un
processo scolastico inteso come un campo di accumulo di competenze valorizzabili (si
pensi al frequente riferimento ai «talenti» o allo «spirito di iniziativa» nelle
linee guida, nel PNRR e nei documenti istituzionali
precedenti sopra citati).
Note