Alessandro Sicora, Silvia Fargion (a cura di)
Costruzioni di genitorialità su terreni incerti
DOI: 10.1401/9788815411365/c5
L’analisi intersezionale delle interviste ha consentito di porre in luce che i processi di esclusione e discriminazione si intrecciano spesso con quelli determinati dall’appartenenza etnica, dal colore della pelle, dallo status giuridico e civile. Ad esempio, alcuni genitori in percorsi di recente immigrazione hanno raccontato che l’accesso a misure nazionali e locali di sostegno al reddito o l’accesso alla casa è stato loro precluso a causa dell’assenza di requisiti, come
{p. 146}il numero minimo di anni di residenza nel territorio. Alcuni intervistati hanno descritto l’esperienza traumatica per sé e per i figli dello sfratto, accentuata dall’assenza di reti di sostegno. Tra gli altri, una madre nigeriana di tre bambini ha raccontato di essersi spostata con la sua famiglia in un dormitorio gestito da un’organizzazione caritatevole a seguito della perdita del lavoro del marito:
[Il dormitorio] Ho vissuto come luogo… molto… come devo dire… con diverse famiglie, di giorno alle 8 ti cacciano fuori e devi andare a svagarsi per strada perché non hai dove vai… Questo non va bene per madri e bambini. Non avevo casa, non avevo nulla, non lavoravo…
Per chi ha uno status giuridico precario la complessità e la lentezza dei percorsi burocratici per regolarizzare la propria posizione rappresentano fattori che pongono madri e padri in condizioni di vulnerabilità accresciuta, che si caratterizza non solo per l’impossibilità di fare progetti per il futuro, ma anche di rispondere nel presente ai bisogni primari:
Nel mio paese sono riuscito a realizzare il mio sogno, che era quello di farmi una casa propria, che poi la guerra ha distrutto. Ho iscritto i miei figli alle scuole private perché potessero arrivare più facilmente al loro obiettivo, realizzavo i loro desideri perché se lo meritavano, avevo un lavoro con un buon salario che ci consentiva di vivere in modo agiato. Date le mie condizioni ora, non ho chiarezza del futuro, il mio status non mi permette di definire cosa sia un «sogno» ma quello che so è che devo dare il futuro ai miei figli.
Entro la cornice teorica dell’intersezionalità, alcuni studiosi [Battle e Ashley 2008] hanno sottolineato come nelle società in cui vige una forte eteronormatività, che si basa sulla convinzione che l’eterosessualità sia l’unica norma socialmente accettabile per la sessualità, i processi di patriarcato sono intrinsecamente legati ad elementi di alterità razziale e di classe. In linea con questi assunti, alcuni dei partecipanti alla ricerca hanno di fatto sottolineato la consapevolezza che gli stereotipi relativi all’identità di genere hanno un peso accentuato per le persone transgender che appartengono ad altre etnie:
Se un genitore è transessuale ed è anche migrante, non ha i documenti o non ha un soldo, chiaramente la vita è più complicata…
Riporto il caso di una donna trans messicana. Io posso affermare con certezza che pur essendo, questa donna, una professionista affermata… il fatto che fosse sudamericana, anche come cadenza, ha influito fortemente nell’ostilità che hanno mostrato i servizi sociali nei suoi confronti. Infatti io gliel’ho chiesto: «Ma non è che il fatto che tu parli con questa cadenza spagnola e sei messicana ha influito in qualche modo?». Lei ha detto «Sììì! Ho dovuto paradossalmente, in grosso imbarazzo, dimostrare che ero una messicana, sì, ma che ero una professionista affermata, sennò, per loro facevo la puttana… Non so se mi spiego». {p. 147}

5. Superdiversità come risposta interpretativa alla differenziazione sociale portata dalle migrazioni

Il concetto di superdiversità (superdiversity) nasce dalla presa d’atto dell’attuale differenziazione sociale di molte nazioni in conseguenza all’arrivo di un numero crescente di migranti che, provenienti da paesi tra loro molto diversi, portano alla convivenza di una gamma senza precedenti di lingue, culture, religioni e identità tra loro eterogenee [Baumann 1999]. Il termine, particolarmente evocativo e forse per questo diventato popolare specialmente in Europa, è stato introdotto in letteratura agli inizi di questo secolo per dare enfasi alle accresciute complessità e diversificazione societarie e all’interazione dinamica di variabili proprie di flussi migratori che hanno assunto caratteri molto più eterogenei che in passato per origine e per condizioni socioeconomiche e giuridiche (ad es. richiedenti asilo) [Vertovec 2007; 2019]. In altre parole, il concetto di superdiversità enfatizza la necessità di considerare condizioni e processi multidimensionali che interessano gli immigrati nelle società contemporanee.
Tale attenzione a un maggiore riconoscimento delle configurazioni migratorie multivariabili alla base del concetto di superdiversità è tutt’altro che nuovo. In ambito più esteso, il funzionamento combinato di diverse variabili è infatti alla base della meno recente nozione teorica di intersezionalità, illustrata nelle pagine precedenti, che, tuttavia, secondo Meissner e Vertovec [2015] si concentrerebbe prevalentemente sul funzionamento combinato di etnia, genere e classe. Alle critiche di alcune studiose femministe nei confronti del concetto di superdiversità ritenuto in sovrapposizione, in gran parte ignorandolo, al concetto di intersezionalità, Meissner e Vertovec rispondono che il concetto di superdiversità non metterebbe in discussione le teorie dell’intersezionalità, ma si focalizzerebbe su categorie diverse, in particolar modo su nazionalità/paese di origine/etnia, canale migratorio/stato giuridico, età e sesso.
Anche per questa apparente sovrapposizione di significato alcuni autori quali Makoni [2013] e Siebers [2018] hanno criticato l’idea di superdiversità, evidenziandone alcuni limiti. In particolare Siebers [2018, 677] si domanda dove si troverebbe il confine tra «diversità» e «superdiversità» e su quali criteri questo potrebbe essere individuato.
Il termine «superdiversità» è stato utilizzato anche nell’ambito del servizio sociale, specialmente britannico [Boccagni 2015], e della formazione dei futuri assistenti sociali sia indirettamente [Allegri et al. 2020], sia direttamente [Hendriks e van Ewijk 2019]. Tale concetto è utile al servizio sociale in quanto enfatizza la necessità di considerare condizioni e processi multidimensionali che interessano gli immigrati nella società contemporanea [Sicora 2022] e si contrappone alle semplificazioni talvolta operate nelle fasi di valutazione [Taylor 2017a; 2017b] e di presa di decisioni [Bertotti 2016] proprie di un intervento d’aiuto, in ragione di «scorciatoie» presenti in ogni processo di pensiero umano [du Sautoy 2021].{p. 148}
Gli assistenti sociali di tutta Europa, Italia compresa, si trovano a lavorare sempre più spesso in contesti multietnici e multiculturali, in particolare nelle grandi città, e questo mette a dura prova la capacità di tali professionisti di doversi destreggiare con diversi gruppi di utenti. Julkunen, Ruch e Nurmi [2022], attingendo da alcuni lavori di Sennett [2003; 2012], guardano alla cooperazione come mezzo per abbracciare le differenze attraverso il dialogo nella pratica quotidiana del servizio sociale in contesti di superdiversità. Alcune ricerche empiriche condotte a Helsinki su interventi di servizio sociale con comunità di migranti esemplificano la necessità di avere conoscenze e competenze adeguate a dare risposte efficaci alle sfide che l’attuale complesso assetto della popolazione pone alla pratica professionale.
La superdiversità appare, inoltre, in grande sintonia con il riconoscimento di quei principi di centralità e unicità della persona evidenziati nell’art. 8 del Codice deontologico italiano degli assistenti sociali [CNOAS 2020] già richiamato nel paragrafo 2. Tale importante riferimento alle responsabilità e ai doveri di condotta dei professionisti dell’aiuto si coniuga perfettamente all’utilizzo tecnico di un concetto che, ponendo grande enfasi al riconoscimento delle diversità, apre la strada a un’adeguata personalizzazione degli interventi professionali nei servizi.
Per quanto sopra argomentato e per quanto verrà riportato nel paragrafo seguente il concetto di superdiversità, integrato da quello di intersezionalità, può fungere da chiave concettuale utile a interpretare la realtà e a orientare l’azione degli assistenti sociali a supporto di genitori in migrazioni forzate.

6. La prospettiva degli assistenti sociali nel riconoscimento dell’unicità della persona-genitore

6.1. Migrazioni forzate e (super)diversità

L’analisi (tramite il programma NVivo) sulle trascrizioni delle interviste effettuate nell’ambito della ricerca CoPInG a 22 assistenti sociali che si occupano di migrazioni evidenzia una serie di aspetti particolarmente interessanti in riferimento a quanto espresso nelle pagine precedenti. L’esperienza di coloro che hanno partecipato all’indagine mostra tendenze diverse, talvolta contrastanti e addirittura compresenti, nel pensare ai genitori in migrazione forzata.
In primo luogo, appare diffusa la tendenza a «sovra-culturalizzare» (cioè a valutare le situazioni sotto il metro di giudizio di una sola dimensione, quella culturale) con affermazioni che sottendono la dicotomia «noi vs loro», come nel seguente esempio:
Sono genitori che, comunque, lasciano… insomma non sono morbosi come noi riteniamo la genitorialità, però sono… magari a noi sembra che trascurino alcuni aspetti dei figli magari è solo una questione culturale.{p. 149}
Il livello di benessere a cui sono abituati è molto inferiore al nostro livello di benessere. Nel senso che, è questione di due livelli: loro sono contenti di già essere, avere un tetto sulla testa; invece, noi quello lo diamo per scontato magari.
Giustamente hanno le loro tradizioni, le loro cose, ragion per cui, per esempio, è sacrosanto che è un mese o più di un mese all’anno, tipo in questo periodo, credo, nel periodo del Ramadan o poco prima, le famiglie marocchine ritornano per mesi interi in Marocco per qualche festeggiamento che adesso mi sfugge.
Di converso e pur in misura minore, è presente anche l’idea che «siamo tutti uguali» (prime quattro testimonianze di seguito riportate) oppure viene espressa la convinzione che non si possa generalizzare (ultimi tre estratti).
Ti dirò anche una banalità però per me le famiglie sono tutte uguali cioè tutte, adesso che cambia chiaramente la cultura che ci possono essere delle usanze, che ci possono essere delle regole differenti però comunque padre e madre sono uguali occidente, oriente, Asia, Africa comunque sono.
Quando faccio i colloqui con loro, i diversi colloqui con loro in cui mi rendo conto che effettivamente siamo tutti esseri umani e siamo tutti uguali, anche se provengono dall’altra parte del mondo abbiamo comunque gli stessi valori fondamentalmente
Dal punto di vista del rapporto genitori-figli, tra le tipologie di utente il rapporto è sempre un po’ simile.
Allora, nel mio lavoro ho imparato… perché devo dire la verità prima non era così… appunto, lavorando prima in servizi sociali territoriali e non avendo una conoscenza forte di altre culture devo dire la verità mi guardo ora… appunto come ero nel passato… probabilmente ho avuto tanti pregiudizi in merito, pregiudizi che oggi sono diciamo non dico annullati ma sicuramente molto ma molto modificati rispetto appunto alla conoscenza con questi genitori e il lavoro appunto forte di relazione poi con loro. Io parto da un presupposto: allora, in quasi tutte le culture il momento della gravidanza e della nascita di un figlio è una fase molto importante, quindi ricca di attenzioni da parte delle altre donne di casa, si attivano reti di protezione, si tramandano culture, valori… insomma, c’è un mondo dietro che si tramanda.
Sai, facciamo sempre delle generalizzazioni naturalmente e quindi con tutti… le generalizzazioni servono però insomma sono anche limitanti nell’analisi. Quello che spesso i genitori hanno in comune – scusa la banalità – è essere molto interessati ai figli, alla crescita dei figli e sperare, avere la speranza di offrire un futuro migliore come cosa.
In secondo luogo, nonostante le molte generalizzazioni (ipersemplificazioni?) presenti nelle interviste, emerge la capacità di valutare le persone migranti forzate sulla base di sottogruppi (spesso nazionali) o l’affermazione che non sia possibile fare delle generalizzazioni basate sulla sola appartenenza etnica o culturale, come nei seguenti casi:{p. 150}
Io gli ho fatto capire che l’Africa è grande, una persona del Burundi non è uno della Costa d’Avorio, abbiamo delle storie molto diverse, una cultura diversa.
Che tipo di aspettative hanno rispetto ai percorsi di integrazione queste famiglie? Allora… dipende… sempre perché non possiamo fare una fattispecie per tutti.
La difficoltà nel cogliere le unicità delle situazioni incontrate è presente anche se è frequente il riconoscimento dell’importanza di specifici fattori extraculturali (aspetto tipico del concetto di superdiversità), quali specifiche situazioni problematiche (dipendenze, disagio mentale, povertà economica e/o educativa, traumi e violenze subite) e caratteristiche personali (migrazione forzata o economica, personalità, consistenza della rete familiare, appartenenza religiosa, ecc.).
Al primo gruppo (relativo a persone multiproblematiche) si riferiscono i seguenti due estratti:
Abbiamo avuto un nucleo familiare del Camerun in cui il coniuge aveva dei problemi inerenti all’uso e abuso di alcol; infatti, è stato inserito un percorso presso il SERT.
Questo sia le famiglie migranti che le famiglie povere, quindi, parlo di povertà educativa, soprattutto perché purtroppo combacia con la povertà reddituale, perché con un livello di cultura basso, per cui possono accedere solo a certi tipi di lavoro che sono saltuari, sono in nero.
La condizione di monogenitorialità o la presenza di connessioni familiari di supporto è invece evidenziata in queste testimonianze:
Il solo genitore è nella fattispecie – almeno nella mia esperienza – quasi sempre la mamma, madri che hanno affrontato il viaggio, hanno affrontato nella maggior parte dei casi la Libia con tutto quello che ne concerne; quindi, quando arrivano qua hanno bisogno anche di un supporto per riappropriarsi della propria genitorialità.
Ci sono delle famiglie che assolutissimamente hanno delle reti parentali già presenti in Europa.
È interessante rilevare che, a fronte della grande varietà delle situazioni incontrate, meno frequentemente di quanto forse si potrebbe immaginare (forse perché viene ritenuto scontato?) viene dichiarato che:
La formazione di tutti gli operatori riguardo alle tematiche che riguardano immigrazione è fondamentale.
{p. 151}