Re(l)-azioni
DOI: 10.1401/9788815410795/c10
In merito alla seconda prospettiva di smartness, non più intesa come semplice digitalizzazione ma come catalizzatrice di risorse endogene di innovazione sociale, le esperienze individuate e catalogate nell’alveo dell’azione SV in Italia
¶{p. 254}sono in totale 45, posizionandosi al secondo posto dopo la Finlandia che tradizionalmente vanta una tradizione consolidata in sperimentazioni smart nei piccoli contesti rurali (63). Gli assi prioritari entro cui sono erogati i finanziamenti sono principalmente la competitività dell’azienda agricola e la filiera del cibo/management del rischio, seguiti dalla gestione degli ecosistemi (tab. 10.1), prevalentemente alla scala della singola impresa agricola o al massimo di consorzi di imprese. I progetti di SV che dichiarano, come finalità principale, l’inclusione sociale e lo sviluppo locale, articolandosi in un approccio territoriale che non sia limitato alla scala di impresa, sono soltanto 4. I fondi sono in tutti i casi misti, distribuiti tra EAFRD, RDP, fondi nazionali/regionali e privati.
Farm competitiveness
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Food chain & risk management
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Ecosystems management
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Social inclusion and local development
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LEADER
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Better environment and farm
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Resource efficiency & climate
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11
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12
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10
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4
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4
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2
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2
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Come si può evincere dalla word cloud content analysis effettuata sull’insieme delle keywords indicate nelle schede progettuali, il comparto preponderante è l’agricoltura, con una netta predominanza delle innovazioni nell’ottica della sostenibilità alla scala di singole aziende agricole, principalmente finalizzate a incrementare la competitività attraverso l’utilizzo di processi o prodotti per la tutela della biodiversità, per il miglioramento delle rese colturali o la fertilità dei suoli, in misura minore per la diversificazione in chiave turistica dell’impresa agricola. Innovazioni, tra l’altro, che in nessun caso riguardano la digitalizzazione o l’infrastrutturazione tecnologica.
Se si escludono due progetti transnazionali, risultano assenti i progetti di SV che coinvolgono i territori, per esempio tramite raggruppamenti di comuni, e certamente poco rilevanti (4) quelli che riguardano insiemi di imprese, cooperative o consorzi. Soltanto 3 esperienze contemplano ¶{p. 255}come obiettivo esplicito la volontà di arginare lo spopolamento attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro, che pure dovrebbe essere la finalità principale del paradigma dello SV e della Strategia nazionale per le aree interne, esplicitamente citata nei documenti di policy come esempio di strategia multiattore e multilivello da includere nell’alveo dello SV.
Infine, una terza dimensione di smartness rurale, su cui si innestano immaginari di aree periferiche trainate fuori dall’asfissiante condizione di marginalità per effetto delle nuove tecnologie, è emersa in modo particolare nelle narrazioni dominanti durante la pandemia da Covid-19. In tali narrazioni, la smartness è stata descritta come panacea, strumento salvifico di rivitalizzazione per effetto di una geografia di flussi di mobilità e innovazione a seguito del massiccio ricorso allo smart working e all’emergere di nuove pratiche dell’abitare.
Sovrapponendo da un lato le retoriche sulla digitalizzazione come strumento di emancipazione dalla margina¶{p. 256}lità fisico-economica e, dall’altro, quelle che mobilitano il «ritorno ai borghi» come modello dell’abitare post-Covid, emerge un apparato discorsivo ubiquitario e sempre più pervasivo che attribuisce alla smartness un potere demiurgico di superamento dei divari per le aree rurali, alimentando diverse pratiche ed esperienze promosse da attori pubblici e privati
[9]
. Oltre alle strategie di infrastrutturazione digitale che coinvolgono anche le aree rurali, principalmente orientate ad assicurare una copertura più capillare della banda larga e ultra larga, tra i programmi trainati da attori pubblici si ricorda i «borghi del futuro» del 2021, finanziato dal ministero dello Sviluppo economico, dal ministero dell’Università e della ricerca e dal ministero per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione, che identifica, oltre a 11 città smart, 12 borghi nei quali promuovere l’utilizzo delle nuove tecnologie in tema di mobilità, ambiente, cultura e benessere attraverso un sistema di «appalti innovativi». I borghi sono selezionati tra le varie candidature di comuni il cui unico requisito è la soglia demografica compresa tra 3.000 e 60.000 abitanti: una forbice molto ampia, se si considera il parametro stabilito dal disegno di legge del 18 aprile 2007, che individua la soglia dei 5.000 abitanti per poter identificare un «piccolo comune». A questo si aggiunge la strategia Borghi digitali, 9 piccoli comuni selezionati in tutta Italia da e-Bay e Confcommercio nel 2021 per «alfabetizzare» digitalmente i titolari di 140 imprese commerciali e promuovere l’e-commerce, arginando la moria di negozi di prossimità; e, sempre nel 2021, il Bando borghi del ministero della Cultura finanziato nell’ambito dei fondi Next Generation EU.¶{p. 257}
6. Discussione e considerazioni conclusive
Accomunate dalla condivisione della smartness rurale come paradigma concettuale e operazionale, le tre dimensioni mobilitate come griglie interpretative delle intersezioni tra flussi di innovazione, mobilità e digitalizzazione nelle aree rurali illuminano processi e dinamiche differenti che, però, tradiscono in tutti e tre i casi la strisciante pervasività del potere retorico e performativo del concetto di smartness.
In riferimento alla prima dimensione, infatti, la crescente enfasi posta sull’innovazione tecnologica e digitale del comparto agricolo nell’ambito delle politiche di Industria 4.0, direttamente proporzionale alla mole crescente di investimenti, si infrange contro una realtà che risulta estremamente concentrata in pochi operatori e su una superficie estremamente minoritaria, spesso appannaggio delle grandi corporation transnazionali [Fraser 2022]. L’impatto territoriale, dunque, risulta limitato.
Uno scollamento tra dati empirici e retorica si riscontra anche in relazione alla declinazione di smartness rurale che compare nelle politiche europee. L’azione SV, infatti, rivela alcune contraddizioni nel passaggio dal paradigma teorico alle esperienze concrete, includendo pratiche e progettualità estremamente variegate finalizzate all’incremento della competitività e inserite in un sistema articolato di azioni, strumenti e finanziamenti, di cui la smartness rappresenta soltanto una componente. Se, infatti, l’azione esplicitamente si inserisce in una nuova traiettoria concettuale della smartness, non più confinata alla semplice infrastrutturazione tecnologica o ancorata a visioni tecnocratiche dello sviluppo, è pur vero che, all’analisi empirica, nella maggior parte dei casi la dimensione della digitalizzazione e dell’innovazione tecnologica risulta assente, così come la dimensione «territoriale»: se tutto diventa smart, compresa la ristrutturazione di edifici rurali o il contenimento dell’uso di pesticidi, ne consegue che il quadro teorico della smartness risulta indebolito, diluito in una serie di modelli, azioni e pratiche che ne scardinano i presupposti concettuali. Non è casuale che l’azione non sia dotata di un fondo di finanziamento ¶{p. 258}specifico, ma attinga a una varietà di fondi già esistenti, tra cui il Fondo agricolo europeo per lo sviluppo rurale (FAESR), finanziamenti nazionali e/o regionali o privati. Sebbene enfatizzata nei documenti di policy dell’azione SV, la dimensione territoriale della smartness, intesa come digitalizzazione a supporto dei processi di innovazione sociale, risulta irrilevante nei singoli progetti nei quali, in realtà, la smartness si traduce in innovazioni di processo o prodotto alla microscala delle imprese.
L’ultima dimensione, infine, è quella in cui la retorica emerge con maggiore evidenza, alimentando visioni estetizzanti e romanticizzate delle aree rurali senza alcun aggancio alle perduranti criticità, soprattutto in tema di accessibilità infrastrutturale e connettività. Betti [2021] ricorda che «l’idea di vivere in un borgo è romantica di per sé. Il problema è quando questo romanticismo si scontra con la realtà: è allora che, in alcuni casi, può prevalere la sensazione di essere finiti in un posto “abbandonato” e senza servizi». All’opposto di questa visione, che esprime il rischio dello scollamento tra narrazione e realtà, l’idea romantica del borgo rurale può innestarsi su forme di gentrification rurale, di «neo-colonialismo» turistico-residenziale da parte di enclave di nomadi digitali, che potrebbero innescare vere e proprie eterotopie disconnesse dalla trama sociale e culturale locale, non molto diverse, in termini di implicazioni territoriali, dagli effetti dei resorts turistici costruiti nei paradisi tropicali [dell’Agnese 2018]. La Cecla [2021] ricorda che
Il problema nasce quando qualcuno comincia a occuparsi dei «paesi» come se non avessero una storia, come se fossero solo dei luoghi da occupare, da «salvare» e, nel peggiore dei casi, da squattare (cioè di cui appropriarsi per motivi politico-ideologici). Il deserto in cui vivono molte aree interne del Paese richiede non l’idea della tabula rasa, ma il recupero della cultura che li ha costituiti.
Infine, una criticità riguarda tutte e tre le dimensioni di smartness rurale, e consiste nella «novità» del paradigma che, a parte casi sporadici, non è stato oggetto di studi estensivi e consolidati e, dunque, risulta privo di quell’apparato
¶{p. 259}critico che invece ha scandito l’evoluzione più recente del paradigma in ambito urbano. La stessa locuzione, infatti, emerge prima di tutto nell’ambito delle politiche, è amplificata dalle narrazioni mainstream e soltanto in una seconda fase approda nell’analisi scientifica, dove in generale sconta un eccesso di tecnoentusiasmo.
Note
[9] Tra le esperienze promosse dai privati che coniugano aree rurali e smart working, si cita l’esperimento di «workation» proposto dalla piattaforma Borgo Office (www.borgooffice.org) che coniuga quello che i promotori definiscono «smart working + farm supporting»: aziende agricole di piccoli centri, appositamente attrezzate per lo smart working, accolgono gratuitamente i cosiddetti «nomadi digitali» che, in cambio, sono invitati (ma non obbligati) a sostenere la struttura comprando dei pacchetti con prodotti tipici. Si ricorda anche l’attività promossa dall’associazione di innovazione sociale Southworking, Lavorare dal Sud (www.southworking.it) che dal 2020 promuove nuove forme di attrattività residenziale a medio e lungo termine nelle regioni del Sud Italia.