Elena dell'Agnese, Daniel Delatin Rodrigues (a cura di)
Re(l)-azioni
DOI: 10.1401/9788815410795/c10
Attualmente, la tendenza progressiva allo spopolamen
{p. 249}to riguarda principalmente i territori rurali dell’Europa Orientale, nei quali i processi di ristrutturazione agricolo-industriale hanno impresso un’accelerazione ai fenomeni di inurbamento; i Paesi nordici e baltici, i cui territori sono da sempre caratterizzati da bassi tassi di popolamento; e infine le aree interne dell’Europa meridionale, nelle quali i nuovi divari amplificano polarizzazioni territoriali storicamente sedimentate.
In uno scenario di divari incalzanti, le politiche di coesione territoriale hanno mobilitato, tra le diverse azioni e strategie, anche la smartness, intesa non soltanto come infrastrutturazione tecnologica e digitale ma nella sua accezione multidimensionale di innovazione sociale.
La prima concettualizzazione dello sviluppo rurale trainato dall’innovazione tecnologica nelle politiche europee risale alla Dichiarazione di Cork 2.0 del 2016, A Better Life in Rural Areas, che, situandosi nel solco già tracciato nel 1988 dalla comunicazione della Commissione The Future of Rural Society, ribadisce l’esigenza di sperimentare approcci alternativi allo sviluppo rurale attraverso il coinvolgimento delle comunità partendo dall’analisi delle criticità. La dichiarazione fa esplicito riferimento alla necessità di colmare il digital divide e al potenziale delle nuove tecnologie nell’attivare reti sovralocali, superando le barriere dell’accessibilità e della marginalità fisico-geografica. In linea con questo approccio, l’anno successivo l’azione SV segna un mutamento di scala e, dal punto di vista concettuale, il superamento di una visione tecnocratica della smartness, riagganciandosi esplicitamente ad approcci e politiche già consolidati di partecipazione dal basso e sviluppo partecipato, come l’approccio LEADER e Community-Led Local Development (CLLD).
Gli assunti concettuali e le implicazioni operative dello SV sono confermati dalla Dichiarazione di Bled del 2018 in cui si ribadisce che «l’economia digitale rurale, se sviluppata in un modo innovativo, integrato e inclusivo, ha il potenziale di migliorare la qualità della vita dei cittadini rurali e, dunque, contribuire a fronteggiare l’attuale spopolamento e la migrazione dalle aree rurali». Le azioni previste dalla dichiarazione di Bled sono indirizzate a promuovere l’infrastrutturazione {p. 250}tecnologica attraverso agricoltura di precisione, piattaforme digitali, e-learning, e-health, e-administration, economia circolare, turismo rurale e, appunto, innovazione sociale.
L’Unione europea, dunque, nel tracciare la visione di smartness rurale, si ispira esplicitamente alle «comunità intelligenti» [5]
che intendono superare la visione tecnocentrica della Smart City e, invece, incorporano un’idea di sviluppo per valorizzare il capitale umano e sociale in cui le nuove tecnologie fungono da semplice strumento di amplificazione, e non l’obiettivo finale di un processo che rimane attivato da azioni endogene. La concettualizzazione risulta perfettamente allineata alle nuove concezioni di smartness che, partendo dalle criticità riscontrate nei contesti urbani in termini di tecnologismo ipertrofico, sorveglianza e securizzazione, erosione della dimensione pubblica e corporisation a opera delle grandi imprese multinazionali, propongono approcci più citizen-based [6]
.
Nella fase iniziale di mappatura, l’azione SV ha individuato una serie di pratiche, esperienze e strategie di innovazione digitale multilivello fondate su un repertorio eterogeneo di fondi, strumenti di governance, metodologie e attori coinvolti. Nel resoconto finale si individuano da un lato strategie multilivello e multi-governance articolate, nelle quali la digitalizzazione rappresenta soltanto uno dei fattori e, dall’altro lato, programmi di infrastrutturazione tecnologica destinati alle aree rurali e/o a specifici settori. L’azione SV, infatti, identifica strategie nazionali e/o regionali di sviluppo territoriale integrato finalizzate al superamento di divari subnazionali, come la Strategia nazionale per le {p. 251}aree interne in Italia o i Contratti di reciprocità in Francia; azioni destinate in modo specifico per la rivitalizzazione delle aree rurali tramite le nuove tecnologie, come il programma «Campagna Intelligente» avviato in Finlandia o i «Villaggi Digitali» tedeschi; esperienze e pratiche alla scala locale e iperlocale, come gli ecovillaggi in Irlanda o programmi di coworking rurale in Catalogna.

4. Back to the (smart) village: discorsi e retoriche post Covid

Se la smartness applicata alle aree rurali emerge nelle politiche ben prima della pandemia da Covid-19, è però con l’esplosione della crisi sanitaria che le narrazioni mainstream alimentano una mitologia diffusa e ubiquitaria in cui si intersecano telelavoro, nuove forme dell’abitare e aree marginali, soprattutto in quei contesti urbani in cui lo svuotamento dei CBD durante il lockdown lascia prefigurare nuove relazioni tra flussi informazionali e mobilità degli individui, disegnando inedite connessioni tra mercato del lavoro, patrimonio immobiliare e vita (anti)urbana. I piccoli contesti territoriali ai margini delle grandi agglomerazioni urbane congestionate, caotiche e sempre più inaccessibili in termini di costi, riscoperti durante la pandemia, sono ribattezzati Zoom Towns su «Forbes» da Levine [2020] e in generale i media, con il loro consolidato effetto booster, rinfocolano un racconto di riscoperta e rinascita dei borghi rurali – «una pandemic renaissance», secondo D’Ignoti [2021] su Bloomberg per effetto della pandemia, esacerbando la dialettica con l’urbano.
Dezza ricorda che
Il rilancio dei borghi italiani parte dalla necessità di vivere nella natura e di conciliare sempre più famiglia e tempo libero con l’attività lavorativa di sempre. Un rilancio caldeggiato dalle regole sul distanziamento dettate dal Covid-19, fino a ieri inconcepibili in una società votata all’urbanizzazione spinta. Dal lockdown abbiamo imparato a ritemprare mente e spirito nella natura, lavorando dal giardino o dal balcone di una seconda casa propria {p. 252}o affittata, guardando montagne o mare, lago o colline verdi. Se queste località sono dotate di wifi e collegate da infrastrutture quali stazioni e aeroporti [2020].
Il giornalista cita esplicitamente il modello di adozione dei borghi rurali da parte delle città metropolitane più vicine, sulla stregua dei rapporti di reciprocità città-campagna sperimentati in Francia, più volte invocato dall’archistar Stefano Boeri come principio ispiratore dei nuovi modelli insediativi post-pandemici che dovrebbe attirare una galassia variegata di «nomadi digitali» o city-quitters, questi ultimi emersi con la pandemia.
Nonostante la retorica diffusa del working from anywhere [Ross e Ressia 2015], in realtà, seppur notevolmente accresciuti durante il picco pandemico, i lavoratori da remoto rappresentano comunque una nicchia: i mutamenti nel mercato del lavoro hanno ampliato la forbice tra i mestieri teleworkable – ovvero praticabili a distanza – e quelli che hanno subito maggiormente gli effetti delle restrizioni perché non praticabili da remoto, generando nuove forme di disuguaglianze e polarizzazioni sociali [Palomino, Rodríguez e Sebastian 2020]. A questo si aggiunge l’oggettiva difficoltà di modi dell’abitare alternativi all’urbano, in termini di accessibilità infrastrutturale e digitale, ancor più rilevanti nel caso di lavoratori della conoscenza che, pur lavorando in smart working, sono inseriti in trame relazionali e informazionali sovralocali per partecipare alle quali l’accessibilità è cruciale.

5. Smartness rurale in Italia: l’analisi

In relazione alla prima dimensione (Smart Agri-Food), secondo i dati dello Smart Agrifood Observatory della School of Management del Politecnico di Milano, in Italia la crescita dell’innovazione digitale nell’agri-food cresce nel 2020 del 20%, arrivando a 540 milioni di euro. L’innovazione è principalmente orientata verso i prodotti e le soluzioni per l’agricoltura di precisione, mentre la digitalizzazione si concentra sulla sicurezza alimentare, in particolare la {p. 253}tracciabilità della filiera attraverso Mobile, IoT, piattaforme e Blockchain e attraverso i cosiddetti «agridata»: soluzioni che riguardano la data collection, analytics e condivisione nell’ottica di una valorizzazione del processo che va dal campo allo scaffale e poi alla tavola (farm to fork), cresciute del 57% (dati estrapolati da www.agrifood.tech.it). Rispetto al 2019, a crescere maggiormente sono le piattaforme (+60%) e le soluzioni mobile (+65%).
Nonostante la crescita degli investimenti e la crescente sofisticazione delle soluzioni, il perimetro di attuazione dell’Agricoltura 4.0 resta molto elitario e confinato a un novero molto ristretto di imprese, riguardando soltanto il 3-4% della superficie coltivata. Se dalla microscala dell’impresa si passa a valutare la diffusione della digitalizzazione nelle aree rurali in termini di infrastrutturazione territoriale di base, il Paese già sconta una posizione non apicale nel rapporto annuale DESI [7]
, che ne evidenzia i bassi livelli in termini di alfabetizzazione media e competenze digitali di base. In relazione alla digitalizzazione delle aree rurali, essa è deducibile, come suggerito da Brunori e colleghi [8]
sovrapponendo da un lato la carta delle aree rurali italiane e, dall’altro, la copertura 4G, cioè l’infrastruttura mobile che permette una velocità di connessione adeguata. Quest’ultima ancora non copre in modo omogeneo il territorio italiano, con ampie sacche definite «aree bianche», per la gran parte rurali marginali, ovvero aree a fallimento di mercato dove non è considerato economicamente vantaggioso investire in nuove tecnologie.
In merito alla seconda prospettiva di smartness, non più intesa come semplice digitalizzazione ma come catalizzatrice di risorse endogene di innovazione sociale, le esperienze individuate e catalogate nell’alveo dell’azione SV in Italia
{p. 254}sono in totale 45, posizionandosi al secondo posto dopo la Finlandia che tradizionalmente vanta una tradizione consolidata in sperimentazioni smart nei piccoli contesti rurali (63). Gli assi prioritari entro cui sono erogati i finanziamenti sono principalmente la competitività dell’azienda agricola e la filiera del cibo/management del rischio, seguiti dalla gestione degli ecosistemi (tab. 10.1), prevalentemente alla scala della singola impresa agricola o al massimo di consorzi di imprese. I progetti di SV che dichiarano, come finalità principale, l’inclusione sociale e lo sviluppo locale, articolandosi in un approccio territoriale che non sia limitato alla scala di impresa, sono soltanto 4. I fondi sono in tutti i casi misti, distribuiti tra EAFRD, RDP, fondi nazionali/regionali e privati.
Note
[5] Nella «Rivista rurale dell’UE», n. 26, pubblicata dall’ENRD, il riferimento è all’intelligent community codificata in www.intelligentcommunity.org/what_is_an_intelligent_ community.
[6] Nell’ambito degli studi critici sulla Smart City, alcune posizioni più radicali ne contestano in toto i presupposti concettuali e dunque gli esiti materiali, attribuendo allo strumento della Smart City la responsabilità dell’avanzamento del neoliberismo urbano. Altri approcci, pur riconoscendone le criticità, non ne sconfessano tout court gli assunti e propongono una visione meno orientata alla tecnologia e più a reale servizio degli utenti.
[7] La Commissione europea pubblica annualmente l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI), con cui monitora i progressi compiuti dagli Stati UE in ambito digitale. L’Italia si colloca al 18º posto tra i 27 Stati dell’Unione con un punteggio di 49,3 rispetto alla media di 52,3.