Elena dell'Agnese, Daniel Delatin Rodrigues (a cura di)
Re(l)-azioni
DOI: 10.1401/9788815410795/c7
Come accennato, un ruolo determinante in questo progetto di rinnovata relazione con il territorio è stato svolto dai neo-rurali, che con consapevolezza hanno lasciato il contesto urbano-metropolitano di provenienza, sono appassionati e apportatori di topophilia («attaccamento al luogo» come forte, positivo e proattivo senso del luogo) [Tuan 1974] per la Valle Maira, il luogo dove hanno scelto di vivere e nel quale conducono la propria attività lavorativa agro-terziaria
{p. 168}come realizzazione personale e come apporto benefico allo sviluppo locale [Pettenati 2010a; 2012].
Ha preso così piede in Val Maira un potenziamento dello sviluppo endogeno del territorio, dello sfruttamento intelligente delle risorse, dell’integrazione tra economia locale e turismo; il tutto con la consapevolezza di percorrere vie di sviluppo alternative per condurre il territorio fuori dalla marginalità nella quale era sprofondato e ricondurlo a una nuova centralità attraverso un rinnovamento del proprio senso di luogo che parta da un nuovo attaccamento a esso come rinnovato insieme di comportamenti e percezioni nei confronti del territorio vissuto (che si può esprimere anche come nuovo habitus).

3.2. Neo-rurali e neo-contadini

Poggiando su tali basi concettuali riguardanti il territorio valmairese, nel corso della mia ricerca etnografica, ho puntato ad approfondire la comprensione del fenomeno dei nuovi contadini neo-rurali che stanno contribuendo al rinnovamento del senso di luogo della Valle Maira, traghettandola dai margini a una nuova centralità.
Tra i diversi nuovi abitanti neo-rurali incontrati in Val Maira, il focus si è concentrato propriamente su coloro che hanno intrapreso attività contadine integrate in modo multifunzionale con le attività di ricettività e ospitalità turistica. Essi sono stati inquadrati, nella terminologia del sociologo rurale olandese van der Ploeg [2009] – autore del testo I nuovi contadini. Le campagne e le risposte alla globalizzazione, saggio divenuto centrale nell’analisi del fenomeno nei suoi aspetti socioeconomici e di ricaduta territoriale – come casi di «ri-contadinizzazione» e di «nuovi contadini».
Innanzitutto, per van der Ploeg, si può parlare di agricoltura contadina – pur considerando una varietà di gradazioni e sfumature – quando essa «si basa principalmente sull’utilizzo prolungato del capitale ecologico ed è orientata alla tutela e al miglioramento delle condizioni di vita dei contadini. {p. 169}Spesso la multifunzionalità rappresenta un aspetto basilare di questo tipo di agricoltura» [ibidem, 11].
Poiché si focalizza fondamentalmente sul miglioramento delle condizioni di vita, continua il sociologo rurale olandese, il processo di «ri-contadinizzazione» si spiega come «espressione moderna della lotta per l’autonomia in un contesto di privazione e dipendenza» [ibidem, 18]. Aggiunge poi – ed è qui centrale la sottolineatura nella sovrapposizione del fenomeno in questione con quello neo-rurale – che tale ritorno a un modello contadino comporta «un aumento del numero attraverso l’entrata di nuove unità» [ibidem, 19, corsivo mio] e compare in diverse modalità: «essa può verificarsi, ad esempio, con l’afflusso di manodopera urbana in agricoltura» [ibidem, 22, corsivo mio].
Si consideri poi che, secondo van der Ploeg, il fenomeno dei nuovi contadini è contraddistinto in modo evidente dalla spinta all’emancipazione come «variazione qualitativa in termini di incremento in autonomia» [ibidem, 19] perché nella condizione contadina «per contrastare la dipendenza [...] si cerca l’autonomia» [ibidem, 21] e dunque se ne «riconosce la capacità di agency, non come un attributo aggiuntivo, ma bensì come caratteristica centrale» [ibidem, 41]. Poggiando su queste basi teoriche e concettuali, si è ricercata la comprensione della realtà delle aziende neo-rurali-contadine in quanto soggettività che forniscono il principale apporto alla «nuova vita» del territorio, alla nuova agency territoriale, al rinnovato senso di luogo, alla sfida alla marginalità in atto in Val Maira.
Soggetti che attraverso le attività neo-contadine innescano dinamiche territoriali che ri-funzionalizzano in modo innovativo risorse territoriali precedentemente utilizzate in modo tradizionale, focalizzandosi sul rapporto tra la propria identità e la dimensione territoriale che hanno scelto di vivere, sulla convergenza e ricomposizione del rapporto natura-cultura e natura-società di cui la loro scelta di vita e la loro attività neo-contadina sono promotori.{p. 170}

3.3. Tra i neo-rurali neo-contadini in Valle Maira

Nel corso della permanenza sul campo, mi sono così potuto soffermare su tre esperienze che si potrebbero definire «aziende neo-rurali neo-contadine», di proprietà di neo-rurali giunti in Val Maira dopo aver vissuto in precedenza in contesti urbano-cittadini, inquadrandole così come casi di «nuova contadinizzazione» capaci di contribuire a una relazione rinnovata con il territorio.

3.3.1. «Lo Puy»

La prima attività neo-rurale neo-contadina presso cui ho svolto osservazione partecipante è «Lo Puy» («Il Podio» in occitano), un’azienda agricola di pastorizia caprina e produzione di formaggi con annesso locale agrituristico, parte del circuito delle Locande Occitane e posizionata presso la borgata Podio di San Damiano Macra e di proprietà di Giuseppe [6]
e Adele, entrambi sessantenni – trasferitisi da Torino oramai più di venticinque anni fa e genitori di cinque figli che collaborano a vario grado e titolo in azienda e nell’agriturismo – e aiutati da Sofia, una donna di 40 anni che dal 2003 ha deciso di trasferirsi a vivere e lavorare in borgata con il compagno dopo aver vissuto lunga parte della sua vita precedente nell’area di Cuneo. Sono stato con loro per circa tre mesi, da settembre a novembre del 2018, aiutando nelle mansioni più semplici nella gestione della stalla e degli animali, accompagnando al pascolo e nella commercializzazione dei prodotti.
L’azienda nasce e prosegue felicemente, in costante miglioramento, dal 1999: alla primaria produzione lattiero-casearia in anni più recenti si sono affiancate l’attività della ristorazione presso l’agriturismo e dell’ospitalità del piccolo bed & breakfast adiacente.{p. 171}
Come mi spiega Giuseppe, «stando qua abbiamo detto “mettiamo su una piccola attività agricola”, che all’inizio pensavamo piccola – venti capre, un po’ di formaggi – poi, invece, ha preso mano e abbiamo trovato questo clima giusto, 50-60 capre». Mi conferma Giuseppe che,
essendo qua un posto scosceso, di rocce, magro di produzione foraggera, le capre sono l’elemento giusto. È difficile pensare di allevare vacche qua, perché c’è poca erba. Quindi questa è stata la scelta quasi inevitabile che è venuta fuori. Arrivando qua c’era la passione per la pastorizia e i formaggi, la passione proprio personale, la creatività di fare formaggio, la mia frequentazione di pastori negli anni della gioventù. Mi sono trovato a dire «vediamo se questo mestiere antico merita ancora di essere vissuto», perché sembrava un mestiere antimoderno. Era il rapporto con la bestia nei pascoli, nel mondo esterno, questo mi interessava, in stalla non avrei allevato. Quindi, è un mezzo di contatto con la vita, con il mondo, più che fine a sé stesso. Io e la bestia produttrice di reddito.
È su queste basi che nasce la loro azienda (neo-)contadina, come mi conferma. «Tutti questi fattori hanno portato a questa scelta, mantenendo l’impianto di un tipo di allevamento estensivo, pastorale, dove il pascolo è fondamentale e, di conseguenza, la produzione del latte crudo». Una produzione limitata, che si aggira attorno ai 25/30.000 litri annui, in grado di sostenere una produzione di circa 2.500 kg di prodotto trasformato, formaggi di capra dai diversi gusti e aromi, di forme e pezzature differenti, che vanno dai formaggini di poche decine di grammi a forme stagionate di circa 2 chili di peso. Prodotti che poi vengono in parte venduti alle attività commerciali e di ristorazione della valle, della pianura, sin nelle Langhe, oppure commercializzati attraverso la vendita diretta presso il caseificio, o ancora riutilizzati in azienda proponendoli ai clienti in agriturismo. L’agriturismo con camere del Puy è situato a poca distanza dalla stalla e dal caseificio: il locale adibito alla ristorazione, ricavato dalla prima stalla utilizzata da Giuseppe all’inizio dell’attività, è stato ristrutturato utilizzando materiali locali come il legno e l’ardesia. Al suo interno vi sono circa una {p. 172}dozzina di tavoli, per un totale di trentacinque/quaranta posti a sedere. La stanza è arredata con i medesimi materiali e arricchita con manufatti e strumenti della tradizione rurale montanara recuperati da Giuseppe e Adele, assieme alle fotografie che documentano lo sviluppo dell’azienda negli anni. Alcune di esse, infatti, raffigurano proprio questa stessa stanza quando era ancora adibita a stalla.
Come illustrato precedentemente, l’attività agrituristica viene integrata anni dopo la nascita dell’azienda agricola e casearia, con l’obiettivo – come visto – di chiudere il ciclo di gestione del prodotto della carne di capra, funzionale a un aumento dell’autonomia nei confronti dei mercati. Le due camere del bed & breakfast, per un totale di sei posti letto, ottenute dalla ristrutturazione di un’abitazione adiacente l’agriturismo e operative solo dal 2016, sono rappresentazione plastica di quel reinvestimento in azienda ottenuto dell’aumentata autonomia economica, prodotto della pluriattività stessa iniziata con l’integrazione della ristorazione all’attività lattiero-casearia.
La cucina offerta dal Puy, oltre a essere chiaramente espressione dell’azienda stessa, risulta anche una valorizzazione della cultura gastronomica locale della Val Maira, che si traduce oltretutto nel potenziamento dell’economia locale. Nel menù sono infatti presenti i prodotti propri dell’azienda, formaggi e carni caprine, oltre alle eccellenze della Valle, tra cui spicca la toma d’Elva e il burro prodotto in alpeggio, oltre al miele ottenuto in diversi versanti e vallate laterali.

3.3.2. «Lou Bià»

La seconda esperienza presso cui ho svolto osservazione partecipante – anche qui per la durata di circa due mesi complessivi, a cavallo tra giugno e agosto 2018 – è «Lou Bià» («La segale» in occitano), un’azienda agricola di coltivazione di segale e orticole con annessa locanda-agriturismo, sita in borgata Torello di Marmora, di proprietà di Cristina e Daniele, 55 anni lei e 60 lui; Cristina è nata in Valle, l’ha lasciata dopo l’adolescenza e ci è tornata stabilmente dopo
{p. 173}una ventina d’anni di vita e lavoro nell’area di Cuneo; Daniele, dopo aver lavorato a Cuneo come falegname ed essersi spostato per anni in Trentino e Valle d’Aosta lavorando sugli impianti sciistici e come guida alpina nell’«industria dello sci», sceglie di venire a vivere in Valle Maira oramai trent’anni fa. Per i primi dodici, mi racconta, ha vissuto in una borgata isolata in modo completamente autosufficiente, dall’energia per scaldarsi, al fuoco per cucinare, all’approvvigionamento di cibo ecc., per poi conoscere Cristina e spostarsi ad aiutarla nell’azienda familiare che lei aveva deciso, una volta tornata stabilmente in valle, di rilevare.
Note
[6] Al fine di preservare anche solo parzialmente l’anonimato degli informatori della ricerca, si è scelto di utilizzare nomi inventati.