Re(l)-azioni
DOI: 10.1401/9788815410795/c7
È coproduzione tra attività neo-contadina e territorio venire a sapere da Bruno che ha appena piantato dei fiori ai confini del campo, tra cui la calendula, per un fine estetico di valorizzazione paesaggistica ed etico-ecologico in termini
¶{p. 178}di mantenimento della biodiversità, nonché per consentire alle api di trovare nutrimento. Dell’estrema importanza ecologica consentita dall’impollinazione delle api mi sembra ridondante parlare, ma sicuramente è evidente l’importanza effettiva e simbolica di questa pratica «coproduttiva» tra essere umano e ambiente. Noto la coproduzione anche mentre lo aiuto a seminare: Bruno si ferma spesso per controllare piccoli vermi e insetti che trova nel terreno per riconoscere se siano nocivi o meno: quelli che considera nocivi per il terreno o per le radici delle future piante vengono liberati ai margini del campo (non gli ho mai visto uccidere un solo insetto, anzi mi risponde che gli dispiace doverli allontanare, «loro abitano qui, io non c’entro niente»), invece altri come i lombrichi, che hanno unicamente un apporto positivo, vengono riconosciuti e con cura riposti nella terra.
Per finire, un’ulteriore pratica coproduttiva adottata da Bruno è quella di seminare erba sui terreni quando in tardo autunno finisce la stagione delle coltivazioni: lasciare un terreno nudo provocherebbe dilavamento, impoverimento della vita biotica del terreno, effetti aggravati dalla pendenza del versante su cui sono localizzati i terreni coltivati a orticole, i cui prodotti vengono poi venduti a una rete di attività e ristoranti.
La rete commerciale di Bruno è primariamente rivolta alle attività della valle, come ristoranti, locande o esercizi commerciali, anche se la domenica è solito recarsi nella piazzetta di Macra che affaccia sulla strada statale con il banchetto allestito per fare vendita diretta. Essendo da solo, Bruno deve occuparsi sia della produzione che della fase di vendita, portando direttamente i suoi prodotti ai clienti con il furgone. Non avendo altri aiuti in termini di manodopera non ha la possibilità di pensare anche a diversificare la sua offerta implementando, attraverso la pluriattività, altri servizi integrati all’azienda come nei casi del Puy e del Bià.
Aiutandolo nella posa delle serre, nella preparazione dei terreni e delle coltivazioni, per oltre un mese tra aprile e maggio 2018, ho cercato – così come per Lo Puy e Lou Bia – di cogliere osservazioni circa la cultura «neo-rurale contadina».¶{p. 179}
3.4. Neo-contadini neo-rurali in Val Maira: agency e coscienza di luogo
Questo insieme di resoconti e informazioni apprese circa le storie di vita degli informatori che hanno supportato la mia ricerca nel corso della mia permanenza etnografica rivelano così l’utilità di riconoscere nelle esperienze neo-rurali neo-contadine conosciute in Val Maira le stesse caratteristiche di fondo che portano van der Ploeg a parlare di «nuovi contadini» e di «processi di ri-contadinizzazione».
In estrema sintesi, nel lavoro sul campo si è tratteggiato il quadro entro cui è inserita l’organizzazione delle tre aziende neo-rurali, considerandone dapprima gli aspetti legati alla natura del processo coproduttivo come interscambio mutualmente vantaggioso tra uomo e natura, per poi passare a osservare il savoir faire del contadino come capacità di interpretare e modificare le condizioni del contesto ambientale, nonché le diverse tattiche con cui ci si può garantire – attraverso il distanziamento dai mercati in fase di mobilizzazione e di commercializzazione delle risorse e dei prodotti – il più alto margine di manovra, obiettivo realizzato attraverso la ricerca del maggior valore aggiunto possibile e anche tramite il ricorso a una pluri-attività.
Grazie all’osservazione partecipante si è dunque compreso come attraverso il mestiere contadino – in quanto fondamentale lotta per l’autonomia – i neo-rurali conosciuti in Valle Maira cercano la realizzazione negli aspetti lavorativi del proprio rinnovato progetto di vita, che diviene poi incessante processo di ricerca di miglioramento, in senso qualitativo, delle risorse essenziali (terreni, pascoli, colture, animali, metodi di coltivazione e allevamento, sistemi di irrigazione, edifici, conoscenza e sapere ecc.), della regolazione del processo produttivo, del rapporto coi mercati nella fase di mobilizzazione e commercializzazione, teso a ottenere, alla fine, «i mezzi per accrescere la propria autonomia» [van der Ploeg 2009, 44].
In quest’ottica, la lotta per l’autonomia è da intendersi come il comune denominatore degli elementi che caratterizzano il modo neo-contadino di fare agricoltura che ho conosciu¶{p. 180}to in Val Maira rispettivamente al Puy di Giuseppe e Adele, al Lou Bià di Daniele e Cristina e nell’azienda agricola di Bruno.
Perché l’obiettivo neo-contadino per l’autonomia e la libertà
[10]
– come si è osservato attraverso il materiale etnografico collezionato in Val Maira – passa attraverso i terreni, i pascoli, le scelte sull’allevamento delle capre e sui metodi di coltivazione delle orticole, sui sistemi di irrigazione, nella selezione e riproduzione delle sementi, nei metodi di lavorazione del latte caprino e nella sua trasformazione in formaggio, si sostanzia nell’organizzazione della propria rete di vendita, nelle modalità di reperimento e utilizzo della manodopera, si osserva nel ricorso alla pluri-attività. In sostanza, dall’etnografia emerge come i neo-contadini neo-rurali della Val Maira, rivendicando capacità di agency a livello soggettivo, hanno contribuito e contribuiscono a una nuova «coscienza di luogo» [Magnaghi 2000; 2020].
Una coscienza che in tal modo contribuisce a ricollocare il processo decisionale a livello locale e per interessi locali, disegnando spazi di attività innovativi che generano nuova unicità e rinnovato attaccamento al luogo Val Maira per la costruzione di una rinnovata comunità; i nuovi contadini da me conosciuti risultano così in un complesso di soggetti che hanno scelto consapevolmente di investire risorse in montagna con l’intenzione di stabilire un legame autentico con il luogo di vita tramite un «lento processo di permanenza e appartenenza al luogo che attribuisce un significato unico al luogo stesso» [Dematteis 2011, 19].
In tal modo neo-contadini neo-rurali in Val Maira cercano autonomia per la propria esperienza di vita e lavoro e al contempo «fanno territorio», perché, conformandosi alla ¶{p. 181}tesi di van der Ploeg, si è riconosciuta anche nelle aziende neo-contadine della Val Maira la caratteristica centrale di «lotta per l’autonomia» come espressione del «principio contadino, che rappresenta un concetto di emancipazione e resistenza» [van der Ploeg, 345] tanto per i soggetti quanto per il territorio, poiché coincide con un obiettivo finale che «non sia esterno alla situazione locale ma si trovi all’interno di essa [...] Una caratteristica fondamentale di queste soluzioni locali è che esse non si limitano ad aumentare il valore aggiunto, ma lo ricollocano nel luogo stesso che lo ha prodotto» [ibidem, 228].
4. Riflessioni conclusive
Provando ora a tirare le fila, si può delineare come nell’esperienza etnografica tramite cui ho svolto la mia ricerca sui neo-rurali e nuovi contadini della Val Maira si siano evidenziati elementi che permettono di riconoscere i nuovi stili di vita neo-rurali che animano questo movimento come proattiva progettualità indirizzata a una ricerca e una riappropriazione di autonomia, capacità di autorganizzazione, realizzazione personale e benessere dell’individuo, insieme a una nuova relazione di cura e presa in carico del territorio presso cui si è scelto di risiedere.
Un’agency soggettiva azionata dal desiderio di reagire alla precedente condizione di vita in contesti cittadini, creando uno «spazio di resistenza neo-rurale» alternativo che possa tendere verso uno spazio familiare – in senso fisico, naturale, sociale – e rispondente allo spirito soggettivo [Simmel 1903; trad. it. 1995] attraverso cui farsi portatori di un messaggio di ribaltamento paradigmatico delle modalità di produzione e riproduzione della vita in città [Castelli 2016].
In definitiva, stili di vita e progettualità territoriali connesse diversi rispetto agli scenari egemoni dell’urbanesimo e del capitalismo di pianura che producono etero-direzione sulle biografie dei singoli e sulle sorti di spazi territoriali usati come mero supporto di funzioni (economico-commerciali, infrastrutturali ecc.) che divengono al contrario tentativi ¶{p. 182}soggettivi di creare spazi di resistenza a livello dei territori nuovamente abitati.
Cioè una diversità contenuta nel ripensamento dello stile di vita che nei suoi aspetti lavorativi passa attraverso un ripensamento delle risorse territoriali, a cominciare da quelle della sfera agro-silvo-pastorale, agganciandosi poi allo sviluppo di quella turistica, rinvigorendo quella ambientale, rinsaldando in definitiva quella identitaria e con essa un rinnovato senso del luogo, esattamente sulla falsariga delle traiettorie delle aziende neo-contadine conosciute in Val Maira.
Una resistenza di soggetti che dunque diviene una capacità e rivendicazione di agency allargata all’intera dimensione territoriale, una proposta concreta ed emulabile nel realizzare – attivandola nel presente e proiettandola nel futuro – quella «rivalorizzazione del territorio» [dell’Agnese 2016] scomparsa lungo il processo di modernizzazione che ha eletto le città a «poli» e sacrificato grande parte delle campagne e montagne italiane a «luoghi deboli», affetti da spopolamento e marginalizzazione.
Resistenza che quindi ricolloca il processo decisionale di sviluppo territoriale a livello locale e per interessi locali, generando così una nuova coscienza assieme a una rinnovata centralità del luogo. Un’attenzione al territorio che si sposa e intreccia, ed è funzionale, come si è conosciuto in Val Maira, alla ricerca di una migliore qualità di vita.
Una territorialità osservata, come si è visto, nei mestieri contadini neo-rurali attraverso le pratiche di recupero di antiche coltivazioni, razze animali, lavorazioni artigianali, porzioni di terreni, nella rivalorizzazione e rifunzionalizzazione di antichi mestieri con occhi nuovi (contadini e pastori che attuano innovazione attraverso i metodi di coltivazione, trasformazione, pluriattività, tecnologie ecc.), ossia una visione culturale composta di saperi e modelli di vita che altrimenti sarebbero andati perduti lungo le direttrici della modernizzazione occidentale urbano-centrica e, come direbbe il territorialista Giorgio Ferraresi [2013], «codici della neo-ruralità che essa porta all’interno di sé e pone oltre a sé, come segni di altre visioni di civiltà» [ibidem, 74].
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Note
[10] Autonomia e libertà da non intendersi qui nell’accezione che conduce a quello stato d’animo in cui non ci si senta condizionati da nessuno, avulsi rispetto a un territorio, finendo per incorrere in quel «minimismo morale» [Merlo 2006] riconosciuto come possibile esito patologico del fenomeno neo-montanaro. Al contrario, ci si riferisce qui all’autonomia relativa, allo spazio di manovra concretizzato a partire da un senso di responsabilità nei confronti di un territorio e un ambiente nel quale si vive e uno spirito d’iniziativa e progettualità auto-diretta [Long 1985] che, in ultima analisi, pongono al centro la capacità di agency del soggetto.