Elena dell'Agnese, Daniel Delatin Rodrigues (a cura di)
Re(l)-azioni
DOI: 10.1401/9788815410795/c7
Si iniziano difatti a descrivere alcuni interessanti segnali di mutamento messi in luce da una riconsiderazione cultu
{p. 163}rale, materiale e sociale delle aree rurali messa in moto da soggetti, famiglie, gruppi che decidono di intraprendere un nuovo stile di vita in montagna; movimenti di popolazione «consapevole» – nel senso che sceglie consciamente di insediarsi e avviare attività lavorative in territori montani (spesso nel settore primario con trasformazione annessa del prodotto, frequentemente integrato nel terziario della ricettività e ospitalità) – che hanno come causa comune la ricerca di una condizione di vita e di lavoro diversa da quella urbana [Bertolino 2014].
Tale fenomeno sociale viene presentato nella letteratura, come anticipato, sia con il termine di neo-ruralismo [Chevalier 1981; Corti 2007; Ferraresi 2013; Guimond e Simard 2011; Ibarguen Ripolles et al. 2004; Merlo 2006; 2007; Di Renzo 2013; Salsa 2011; Trimano 2015] sia di nuovi abitanti della montagna e neo-montanari [Carrosio 2013; Corrado, Dematteis e Di Gioia 2014; Dematteis 2011; Mascadri 2016; Membretti, Kofler e Viazzo 2018; Núñez e Romita 2004; Pettenati 2010a; Zanini 2013a; 2014].
Al di là delle definizioni specifiche, i diversi studi in questo ambito sono generalmente concordi nell’interpretare il fenomeno in questione individuando in esso una possibile inversione di tendenza, un movimento demografico e culturale capace di favorire una rinnovata vitalità socioeconomico-culturale dei margini da parte di coloro che contribuiscono a ripopolarlo, reagendo rispetto ai decenni di spopolamento e marginalizzazione generati dall’accentramento delle linee di sviluppo verso le grandi aree industriali e le grandi metropoli della pianura.

2.2. Il neo-ruralismo come rinnovata relazione con i luoghi

Di qui l’interesse per il ruolo di promotori di mutamento che possono avere i nuovi abitanti delle montagne, animatori di un fenomeno sociale che possiede rilevanza per una nuova visione di futuro per le «aree interne», i «margini» italiani, animata da un ripensamento degli stili di vita di singoli, famiglie e gruppi in direzione della possibilità di {p. 164}ricomporre comunità rurali e con loro le fratture territoriali presenti nei margini e nelle aree più periferiche del Paese.
Il ruralista Michele Corti nell’articolo Quale neoruralismo? [2007] – in cui si interroga su quale sia lo sguardo più adatto tramite cui interpretare il fenomeno neo-rurale – parla delle progettualità più apprezzabili e benefiche per uno sviluppo sostenibile del territorio nei termini di «neo-ruralismo eco-contadino» intendendolo come:
ridefinizione di una centralità della produzione agricola naturale nella dimensione rurale, focus su identità e dimensione territoriale, convergenza e ricomposizione natura-cultura e natura-società, valorizzazione dei sistemi di conoscenze incorporate, valorizzazione di vocazioni regionali mediante reti di alleanze, capacità di determinazione delle condizioni di mercato [ibidem, 183].
Si dà così enfasi al ruolo di queste nuove figure neo-rurali (neo-contadini, neo-pastori, agriturismi ecc.) quali protagonisti di una rinascita agricola che – rifacendosi alla tradizione rurale – segue l’istinto di una ritrovata indipendenza contadina, riattualizzando la diversificazione e la pluri-attività [ibidem], divenendo di riflesso rinnovamento nella relazione con il luogo vissuto e «nuova centralità del margine».
In breve, il neo-ruralismo può così essere inteso come un «modo di fare e di essere», un’agency dei soggetti (e di riflesso agency del territorio nel suo complesso) che «recupera saperi e valori che erano stati volutamente ignorati dai processi di modernizzazione che hanno investito le campagne e le montagne più spopolate e marginali nella storia recente» [Petrioli 2011, 37].
In questo senso, alla luce dei cambiamenti e delle ridefinizioni di rappresentazioni generate dal neo-ruralismo, è proprio il sense of place [Rose 2001], il senso del luogo, che subisce nuove ridefinizioni e acquisisce una nuova centralità. Lungi dall’essere il risultato di sentimenti e significati puramente personali, il senso di luogo è invece più correttamente da intendere come il prodotto delle circostanze e dei contesti culturali e sociali entro cui i soggetti dimorano, {p. 165}creato nelle interazioni tra persone e luoghi [Tuan 1974]: senso di luogo come contributo determinante nell’atto di interpretare il mondo attorno a noi. In quest’ottica la relazione tra individui e luogo è reciproca: le persone traggono significati (positivi o negativi) dal luogo e, attraverso la loro esperienza, veicolano altri significati verso il luogo medesimo. In accordo con il geografo Fritz Steele, il senso di luogo è l’esperienza risultante dall’insieme di tutti questi elementi (interpretazioni e significati cognitivi, sensazioni fisiche e materiali, pratiche e comportamenti effettivi ecc.) che le persone provano e provocano nei luoghi [1981]. E dunque il neo-ruralismo – osservato in quest’ottica – è quel fenomeno sociale capace di apportare ridefinizioni e rappresentazioni positive dei temi di luogo e cultura precedentemente sviliti.

3. Neo-rurali e nuovi contadini in Val Maira: nuove coscienze di vita e di luogo

3.1. La Valle Maira: da mondo dei vinti a meta di neo-rurali

Su queste premesse di «riscatto neo-rurale dei luoghi», in questo lavoro lo sguardo si è concentrato su un caso studio, quello del territorio «ultra-periferico» (utilizzando la terminologia della SNAI) della Valle Maira in provincia di Cuneo, un territorio che nel secolo passato è stato afflitto da un fortissimo decremento di popolazione in corrispondenza con la nascita delle grandi industrie del dopoguerra nei «centri» di pianura (basti citare la Fiat a Torino e la Michelin a Cuneo). Cambiamenti che hanno condotto al quasi totale abbandono demografico e al corrispondente crollo dell’economia di montagna che era perdurata e aveva resistito in equilibrio con il territorio per secoli, aggravata da una difficile accessibilità infrastrutturale dovuto alla morfologia del territorio valmairese che ha condotto a una scarsa presenza di investimenti economici e industriali assieme a una complessiva rarefazione sociodemografica ed economica nonché dei servizi fondamentali di cittadinanza [Allocco 2008; Elia et al. 2016]. Una situazione talmente {p. 166}grave che lo storico e partigiano Nuto Revelli [1977] arrivò a definire la Valle Maira e i territori limitrofi delle Alpi Cozie come Il mondo dei vinti.
Eppure, è proprio in questo territorio così duramente colpito dagli esiti della tarda-modernità che, a partire dagli anni Ottanta e ancor più nei Novanta, si mostreranno segnali di ripresa e di nuova centralità, con un rinnovamento del suo sense of place legato a nuovi comportamenti e rappresentazioni del territorio e del rapporto con esso da parte di una comunità animata anche da nuovi abitanti neo-rurali in grado di strutturare un rinnovato habitus [Bourdieu 1992; Hillier 2005].
Alla luce di ciò, la Valle Maira risulta così inquadrabile come area interna/spazio rurale marginale presso cui sono rinvenibili segnali di rinnovamento e nuova centralità messi in moto da un progetto/azione sociale a carattere neo-rurale.
Protagonisti di questa «rinnovata centralità» in Valle Maira sono proprio i «neo-rurali neo-contadini» che qui scelgono consapevolmente di investire il proprio progetto di vita e di lavoro, attraverso attività localizzate inserite tra primario agricolo e terziario turistico-ricettivo. Un nucleo pionieristico per il rinnovamento avviatosi a partire dagli anni Novanta:
negli ultimi dieci anni, in effetti, soprattutto nelle valli Maira e Varaita, a forte impronta occitana, si è manifestata un’accresciuta consapevolezza di sé, della popolazione nativa, che ha riscoperto lingua, usi e costumi a lei propri, ha promosso alcune attività legate all’agricoltura di montagna e al turismo sostenibile [...] e ha attirato dalla non lontana pianura di Cuneo e di Saluzzo giovani disposti a vivere e lavorare in un territorio in gran parte integro, lontano dai clamori, dall’inquinamento e dall’insicurezza dell’area metropolitana di Torino [Bartaletti 2004, 134].
Passata indenne attraverso la speculazione turistica degli anni Sessanta-Settanta, la valle ha visto nell’ultimo decennio il rientro di molti giovani figli di emigrati, che si sono inseriti impegnandosi in attività agricole, artigianali e turistiche [Anghilante e Valla 1999, 54].{p. 167}
A fare da motore di questo progetto di rinnovata centralità della Val Maira è stato – proprio a cavallo tra anni Ottanta e Novanta – il progetto «Percorsi Occitani» (PO), un circuito escursionistico che attraversa ad anello il territorio della valle e che ri-funzionalizza l’antica infrastruttura sentieristica con l’obiettivo di dare valore ai patrimoni territoriali materiali e immateriali della Val Maira, implementando un circuito di ospitalità diffusa e ricettività direttamente gestito dai membri della comunità locale, tra cui molti neo-rurali.
Un progetto che è stato e continua a essere un importante contributo allo sviluppo culturale, demografico ed economico per il territorio, che ha consentito e sta consentendo un netto rinnovamento di senso di luogo rispetto al «mondo dei vinti» che ne ha costituito l’immaginario negli scorsi decenni.
In breve, il progetto PO è nato formalmente nel 1992 e ha rappresentato un nuovo volano socioeconomico che – partendo dall’incontro con le forme più sostenibili di turismo come rispetto e valorizzazione del patrimonio territoriale – tende verso lo sviluppo socioeconomico-culturale olistico del territorio: ampliamento dei servizi di cittadinanza e di welfare fondamentali tali da permettere la scelta di rimanere a vivere sul territorio per le comunità residenti e per quei soggetti in cerca di nuovo insediamento o di ritorno alle radici familiari; sviluppo maggiormente diversificato dell’economia locale in grado di incrementare il settore primario e secondario artigianale; interesse e visione in merito alle possibilità di innovazione; orgoglio e riscoperta delle tradizioni. Un progetto territoriale che è divenuto rivendicazione di emancipazione e agency o «nuova unicità» per la Valle Maira.
Come accennato, un ruolo determinante in questo progetto di rinnovata relazione con il territorio è stato svolto dai neo-rurali, che con consapevolezza hanno lasciato il contesto urbano-metropolitano di provenienza, sono appassionati e apportatori di topophilia («attaccamento al luogo» come forte, positivo e proattivo senso del luogo) [Tuan 1974] per la Valle Maira, il luogo dove hanno scelto di vivere e nel quale conducono la propria attività lavorativa agro-terziaria
{p. 168}come realizzazione personale e come apporto benefico allo sviluppo locale [Pettenati 2010a; 2012].
Note