Note
  1.  Il segnale lo diede il notissimo articolo di J. Gooding, Blue lollar blues on the Assembly Line, in «Fortune», n. 7, luglio 1970, prontamente tradotto dalla FIAT per i propri dirigenti e meritoriamente riportato su «Quaderni piacentini», n. 42, novembre 1970, pp. 160-8. Poi è stata la volta dell’autorevole rapporto svolto da un gruppo di lavoro su commissione (dicembre 1971) del governo USA: Work in America, MIT Press, Cambridge (Mass.), 1973, giunto in cinque anni all’ottava edizione insieme ad alcune monografie di singoli componenti del gruppo. Cfr. anche R. Moss Kanter, Work in a New America,in «Daedalus», n. 107, inverno 1978 (tradotto parzialmente sotto altri titoli in «Quaderni di Rassegna sindacale», n. 74, settembre-ottobre 1978 e poi ne «Il Mulino», n. 266, novembre-dicembre 1979). Per l’URSS, cfr. B. Grancelli, Il disadattamento operaio nei collettivi di produzione sovietici, ne «La Critica sociologica», n. 30, estate 1974, pp. 49-69. Per l’Italia, D. De Masi, G. Fevola, I lavoratori nell’industria italiana, Milano, Franco Angeli, 1974, vol. II, pp. 516-72.
  2.  Sulla novità dell’impatto più che del fenomeno vedi, per l’assenteismo, P. Dubois, L’absentéisme ouvrier dans l’industrie,in «Revue française des Affaires sociales», n. 2, aprile-giugno 1977, pp. 15 ss.; e anche P. Albani, L’assenteismo operaio, Roma, Coines, 1976; A Cascioli, Assenteismo e alienazione, Milano, Franco Angeli, 1977.
  3.  Cfr. R. A. Rozzi, Psicologi e operai. Soggettività e lavoro nell’industria italiana, Milano, Feltrinelli, 1975; F. Battaglia, L’allergia al lavoro, Roma, Editori Riuniti, 1979.
  4.  Nella versione più estremizzata, si può citare il provocatorio I. Illich, Le chômage créateur, Paris, Editions du Seuil, 1977. Non risponde pienamente al titolo, invece, J. Rousselet, L’allergie au travail, Paris, Éditions du Seuil, 1974.
  5.  Tali non sono: G. Lefranc, Storia del lavoro e dei lavoratori, Milano, Jaca Book, 1978; M. Kranzberg, K. Gies, Breve storia del lavoro, Milano, Mondadori, 1976; P. Jaccard, Storia sociale del lavoro, Roma, A. Armando, 1963, volumi utili ma non indispensabili né esenti da difetti, specie quest’ultimo. Il testo più salassato è essenzialmente apologetico: A. Tilgher, Homo faber, Roma, Libreria di scienze e lettere, 1929. Alcuni spunti in L. Dal Pane, La storia come storia del lavoro. Discorsi di concezione e di metodo, Bologna, Pàtron, 1968.
  6.  C. Wright Mills, Colletti bianchi, Torino, Einaudi, 1966, p. 229: Il numero delle «persone impiegate in mansioni al di sotto delle loro normali capacità lavorative [...] è destinato ad aumentare poiché la frequenza scolastica è in aumento e il lavoro è sempre più standardizzato». Vedi ora il bel libro di R. Collins, The Credential Society, New York, Academie Press, 1979.
  7.  C. Offe, Lo Stato nel capitalismo maturo, Milano, Etas Libri, 1977, pp. 180-88.
  8.  M. Barbagli, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia, Bologna, Il Mulino, 1974; G. Franchi, Scuola, formazione e crisi economica, Milano, Feltrinelli, 1976.
  9.  Cfr. M. Colasanto, Processi formativi e occupazione, Milano, Vita e Pensiero, 1978, e l’ancora valido R. Emma, M. Rostan, Scuola e mercato del lavoro, Bari, De Donato, 1971.
  10.  L. Gruppi, Il lavoro come valore, in «Rinascita», n. 36, 16 settembre 1977. Segni di ripensamento son venuti dal successivo articolo Che cos’era il lavoro secondo Marx?, in «l’Unità», 23 gennaio 1980.
  11.  S. Garavini, in Il lavoro e i giovani, Roma, Editrice sindacale italiana, 1978, p. 8.
  12.  C. Napoleoni, Ambiguità del rapporto tra valori e lavoro,in «Rinascita», n. 31, 5 agosto 1977.
  13.  K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, Firenze, La Nuova Italia, 1970, vol. I, p. 296.
  14.  Ibidem, vol. II, p. 281.
  15.  L. Gruppi, op. cit., ibidem.
  16.  S. Garavini, op. cit., p. 7.
  17.  K. Marx, Lineamenti, cit., vol. II, p. 279.
  18.  K. Marx, Opere filosofiche giovanili, Roma, Editori Riuniti, 1963, p. 264.
  19.  Ibidem, pp. 263-4.
  20.  S. Garavini, op. cit., p. 5. C. Napoleoni parla del lavoro come «autoproduzione dell’uomo»: cfr. L’enigma del valore, in «Rinascita», n. 8, 24 febbraio 1978. E bisogna ammettere che il carattere antropologicamente fondativo del lavoro è un formidabile deterrente contro la critica del lavoro.
  21.  Cfr. H. Marcuse, Marxismo e rivoluzione, Torino, Einaudi, 1975, dove nel saggio Nuove fonti per la fondazione del materialismo storico, accredita a Marx stesso la definizione che poi userà in senso più strettamente hegeliano nel saggio del 1933, Sui fondamenti filosofici del concetto di lavoro nella scienza economica, in Cultura e società, Torino, Einaudi, 1969, in particolare p. 176: «Lo scopo del lavoro è l’esistenza stessa e non qualcosa fuori da essa».
  22.  K. Marx, Il Capitale, Roma, Edizioni Rinascita, 1956, vol. I, p. 195.
  23.  K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, Roma, Editori Riuniti, 1958, p. 41.
  24.  K. Marx, Opere filosofiche giovanili, cit., pp. 267-8.
  25.  J. Davydov, Il lavoro e la libertà, Torino, Einaudi, 1966, p. 61. Di un mito parla invece W. Morris quando dice: «C’è stato un tempo in cui gli uomini amavano il loro lavoro quotidiano», in Come potremmo vivere, Roma, Editori Riuniti, 1979, p. 133.
  26.  Sul fatto che l’intero concetto si debba basare su una concreta nozione di «perdita» insiste il saggio di V. Rieser, Il concetto di «alienazione» in sociologia, in «Quaderni di sociologia», n. 2, aprile-giugno 1965. Come notò P. Naville nel 1957, Dall’alienazione al godimento, Milano, Jaca Book, 1978, p. 435 (e poi R. Panzieri, Uso socialista dell’inchiesta operaia, in «Quaderni rossi», n. 5, aprile 1965, p. 68), nel Capitale questo concetto di «espropriazione metafisica» pare sparisca. Ma non vorrei seguire l’animosa disputa filologica accesa proprio su questo punto da A. Schaff, L’alienazione come fenomeno sociale, Roma, Editori Riuniti, 1979, pp. 77-98: non è in questione la teoria in sé, bensì il suo sviluppo nel pensiero di Marx.
  27.  P. Jaccard, op. cit., p. 210.
  28.  J. J. Rousseau, Emilio, Bari, Laterza, 1953, p. 165: «Di tutte le occupazioni che possono provvedere alla sussistenza di un uomo, quella che più ci avvicina allo stato di natura è il lavoro delle mani» (leggasi più correttamente: manuale). Riferendosi alla famosa indicazione data qui — «impara un mestiere», vale a dire un lavoro manuale artigiano — un seguace di Rousseau scrive che essa contiene «tutta la mistica moderna del lavoro e l’apologia del lavoro manuale che il nostro tempo conosce»: P. Jaccard, op. cit.,p. 212. Con un certo sarcasmo, G. Friedmann ha fatto rilevare che questo genere di apologie danno luogo poi ad «una specie di fanatismo del lavoro, che tende a presentarne soltanto gli aspetti positivi»: cfr. L’oggetto della sociologia del lavoro, in G. Friedmann, P. Naville, Trattato di sociologia del lavoro, Milano, Comunità, 1963, vol. I, p. 10.
  29.  P. J. Proudhon, La giustizia nella Rivoluzione e nella Chiesa, Torino, UTET, 1968, p. 683.
  30.  Ibidem. Ciò fa dire a É. Dolléans, Storia del movimento operaio. 1/1830-1871, Firenze, Sansoni, 1968, p. 200, che Proudhon ha «animato con la mistica del lavoro» l’obiettivo di lotta assegnato al movimento operaio.
  31.  P. J. Proudhon, op. cit., p. 618.
  32.  Ibidem, p. 704.
  33.  K. Marx, Opere filosofiche giovanili, cit., pp. 202-3.
  34.  Cfr. L. J. Brentano, Le origini del capitalismo, Firenze, Sansoni, 1954; W. Sombart, Il capitalismo moderno, Torino, UTET, 1967.
  35.  K. Marx, Opere filosofiche giovanili, cit., p. 194.
  36.  Fa un po’ meraviglia che sul problema della storicità del lavoro positivo non s’interroghi minimamente un assertore convinto ed esperto d’alienazione qual’è A. Schaff, L’alienazione come fenomeno sociale, cit., p. 298: «Per quanto riguarda la genesi e l’origine del lavoro alienato, è possibile limitarsi a dare una tale risposta sommaria...».
  37.  K. Marx, Estratti dal libro di James Mill, ‘Élements d’economie politique’, in K. Marx, F. Engels, Opere, vol. III, Editori Riuniti, Roma, 1976, pp. 247-8.
  38.  K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, cit., p. 76.
  39.  Di fronte ad affermazioni scapestrate come questa, ci si affretta a spiegare che Marx (o Engels?) non parlava di abolire il lavoro tout court. E fin qui, d’accordo. Infatti quell’espressione galeotta non tornerà più. Tuttavia, com’è possibile credere d’aver reso più ragionevole l’obiettivo, sostenendo che «Marx non proclama il dolce far niente, ma si limita solo (sic) a divulgare, la sostituzione del lavoro coatto dall’esterno con il libero agire creativo», come scrive A. Schaff, op. cit., p. 298? Si comprende allora come l’unica via d’uscita, in una prospettiva così meta-storica, possa consistere nell’utopia tecnologica: «Nell’automazione risiede la soluzione del problema dell’azione alienante scatenata dalla divisione del lavoro», p. 299. Non si comprende invece come possa essere fatta risalire al povero Marx, e addirittura ai Grundrisse, l’idea di una «prosecuzione conseguente dello sviluppo sociale» che significhi «automatizzazione nel campo della tecnica produttiva», ibidem.
  40.  K. Marx, Il Capitale, cit., vol. III3, p. 231.
  41.  K. Marx, F. Engels, Il partito e l’internazionale, Roma, Edizioni Rinascita, 1948, p. 232. È questa l’espressione che verrà ripresa dall’unico Lenin engelsiano, quello di Stato e rivoluzione (V. I. Lenin, Opere, Roma, Editori Riuniti, 1967, vol. XXV, p. 440), così tributario dell’Antidühring. Osserverà nel ’20 H. Kelsen, Socialismo e Stato, Bari, De Donato, 1979, p. 87: «Non vi è alcun motivo per supporre che il lavoro diventerà, da un peso, un bisogno, tanto più il lavoro del singolo, inserito in un piano economico molto complicato, che funziona solo con una amplissima divisione del lavoro. Tuttavia — annota Kelsen — non si deve dimenticare che qui Marx parla come politico e non come economista».
  42.  K. Marx, Lineamenti, cit., vol. II, p. 278.
  43.  Ne parlerà poi S. Freud, Il disagio della civiltà, Torino, Boringhieri, 1971, p. 24, riferendosi alla proprietà, che il lavoro ha, di scaricare le pulsioni dell’individuo e di «gius tifica [re] la sua vita nella società». (Questa interpretazione ricorda quella di S. Giacomo sulla giustificazione per opere, Epistola, 2, 24).
  44.  K. Marx, Il Capitale, cit., vol. III3, p. 232.
  45.  K. Marx, Lineamenti, cit., vol. II, p. 410.
  46.  F. Engels, Antidühring, Edizioni Rinascita, Roma, 1956, p. 320. Sul ruolo di questa ed altre opere, di mutazione del marxismo in scienza generale, cfr. G. Lichtheim, Il marxismo,Bologna, Il Mulino, 1971, p. 379-92. Più recente, e con approccio più «interno», l’opera storiografica di H. J. Steinberg, Il socialismo tedesco da Bebel a Kautsky, Roma, Editori Riuniti, 1979; sulla fondazione di un’ideologia scientifica del socialismo vedi le pp. 50-100. Ultimamente la discussione è divampata in un apposito convegno: «L’Antidühring affermazione o deformazione del marxismo?», Perugia, 4-5 ottobre 1979. Di imminente uscita il volume di L. Basso, che aveva promosso il convegno: Socialismo e rivoluzione, Milano, Feltrinelli.
  47.  K. Kautsky, Il programma di Erfurt, Roma, Samonà e Savelli, 1971, p. 146.
  48.  A. Bebel, La donna e il socialismo, Milano, Max Kantorowicz editore, 1892 (reprint Roma, Savelli, 1971). Notizie sulla diffusione di questo testo in H. J. Steinberg, Il socialismo tedesco da Bebel a Kautsky, cit. pp. 186-194, e in G. Roth, I socialdemocratici nella Germania imperiale, Bologna, Il Mulino, 1971, pp. 224-30, dove si fa notare che le opere più diffuse di Bebel e di Lassalle hanno avuto «una influenza diretta non-marxiana, che svolgeva un ruolo fondamentale per la comprensione della propaganda tra il popolo», p. 229.
  49.  A. Bebel, La donna e il socialismo, cit., pp. 350-2.
  50.  Ibidem, pp. 354-5.
  51.  Ibidem, pp. 357-60.
  52.  Ibidem, p. 362.
  53.  Ibidem, p. 406. Di questo testo K. Kautsky, Il programma di Erfurt, cit., p. 127, diede un giudizio benevolo, così motivato: «La socialdemocrazia può fare proposte positive solo per la società attuale, non per quella futura. Proposte che vadano al di là possono basarsi non su fatti ma solo su premesse inventate, e sono quindi fantasticherie, sogni [...]. Da non confondere con questi sogni sono invece i tentativi di indagare quale direzione dovrebbero assumere le tendenze dello sviluppo economico non appena questo sarà stato posto su basi socialiste. Qui non si tratta di inventare “ricette per la trattoria del futuro” [...]. Indagini di questo tipo non sono assolutamente inutili. I pensatori più significativi della socialdemocrazia hanno iniziato simili ricerche. Nelle opere di Marx e Engels si trovano sparsi numerosi risultati di tali indagini. Bebel ci ha dato una presentazione sommaria delle sue ricerche in questo campo, nel suo libro La donna e il socialismo».
  54.  N. Bucharin, E. Preobrazenskij, ABC del comunismo, Roma, Newton Compton, 1975, p. 64. Assai più cauto sarà Stalin, che nel 1952 parlerà della possibilità di «non essere inchiodati per tutta la vita a una professione qualsiasi»: Problemi economici del socialismo nell’URSS, «Rinascita», n. 10, ottobre 1952, p. 29, ora ripubblicato col medesimo titolo a cura di F. Botta, Bari, De Donato, 1976, p. 131
  55.  K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, cit., p. 29.
  56.  G. D. H. Cole, nel volume sui precursori del socialismo, Storia del pensiero socialista, Bari, Laterza, 1967, I, p. 74, annette un’importanza centrale al fatto che nella concezione di Fourier nessun lavoratore dovesse dedicarsi a un’unica occupazione per lunghi periodi.
  57.  Cfr. G. M. Bravo, Wilhelm Weitling e il comunismo tedesco prima del Quarantotto, Torino, Giappichelli, 1963.
  58.  Su questa positività dell’essere umano, cfr. il paragrafo «L’alienazione del lavoro. Marx», in part. pp. 394-99, in R. A. Nisbet, La tradizione sociologica, Firenze, La Nuova Italia, 1977. E anche G. Lichtheim, Il marxismo, cit., p. 602.
  59.  K. Marx, F. Engels, La sacra famiglia, ovvero Critica della critica critica, Roma, Edizioni Rinascita, 1954, p. 41.
  60.  Attraverso una lettura piuttosto rozza e un apparentamento con Calvino, questo traguardo viene negato a Lenin da J. B. Sorenson nel cap. «An Ethic of Work» di The Life and Death of  Soviet Trade Unionism 1917-1928, New York, Atherton Press, 1969, in part. p. 143.
  61.  L.A.L. De Saint-Just, Progetto di Costituzione, in Terrore e libertà, Roma, Editori Riuniti, 1966, p. 105.
  62.  Vedilo in La tradizione socialista in Inghilterra. Antologia di testi politici 1820-1852, a cura di G. Bianco e E. Grendi, Torino, Einaudi, 1970, p. 129. Sul disprezzo per il lavoro manuale e le sue radici storiche, cfr. R. Girod, «Atteggiamenti relativi al valore del lavoro», in G. Friedmann, P. Naville, Trattato di sociologia del lavoro, cit., vol. II, pp. 150-4.
  63.  «... Onde si ridono di noi che gli artefici appelliamo ignobili e diciamo nobili quelli che null’arte imparano e stanno oziosi...»: T. Campanella, G. Bruno, Opere, Milano-Napoli, Ricciardi, 1956, p. 1080. Cfr. il giudizio di K. Lówith, Da Hegel a Nietzsche, Torino, Einaudi, 1949, p. 425: «Il lavoro si è conquistato con grande lentezza la sua validità sociale».
  64.  Ma bisognerebbe aggiungere che in ciò si distingue più di ogni altra la cultura del socialismo francese.
  65.  P. Jaccard, Storia sociale del lavoro, cit., p. 318.
  66.  Ma lo «Stato del Lavoro», l’equivalenza «Sozialismus ist Arbeit», giungono su quest’impeto fino alla rivoluzione tedesca dove s’incontrano le grandi utopie di un socialismo senza capitale e di un socialismo del capitale. Cfr. di M. Cacciati, Sul problema dell’organizzazione. Germania 1917-1921, in. G. Lukàcs, Kommunismus 1920-1921, Padova, Marsilio, 1972; e Walther Rathenau e il suo ambiente, Bari, De Donato, 1979.
  67.  Vedi l’antologia, a cura di G. M. Bravo, Il socialismo prima di Marx, Roma, Editori Riuniti, 1966.
  68.  «... Nei paesi più progrediti potranno essere applicati quasi generalmente i provvedimenti seguenti: [...] 8. Eguale obbligo di lavoro per tutti, costituzione di eserciti industriali, specialmente per l’agricoltura»: K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito comunista, Torino, Einaudi, 1966, p. 158. Una variante è contenuta nei «Principi del comunismo», testo preliminare steso da Engels, Ibidem, p. 297: «... e) Eguale obbligo di lavoro per tutti i membri della società fino all’abolizione completa della proprietà privata. Formazione di eserciti industriali, specialmente per l’agricoltura».
  69.  URSS. Le Costituzioni 1977, 1936, 1924, Firenze, Edizioni del Riccio, 1977.
  70.  M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo,in Sociologia delle religioni, Torino, UTET, 1976, pp. 107 ss.; W. Sombart, Il borghese, Milano, Longanesi, 1978.
  71.  Vedi il saggio storiografico di P. Bairati, Benjamin Franklin e il dio operaio, Milano, Franco Angeli, 1979.
  72.  J. Rousselet, L’allergie au travail, cit., p. 183.
  73.  F. Engels, Prefazione alla prima edizione tedesca del 1880,in Il partito e l’Internazionale, cit., p. 38-9. P. Jaccard, op. cit., p. 273, nota la cesura profonda che è intervenuta, parlando di «uno spirito completamente diverso, che avrà la meglio», pur avendo rilevato (p. 261) che «la comune esaltazione del lavoro» unisce il socialismo scientifico e quello utopistico.
  74.  G. D. H. Cole, Storia del pensiero socialista, vol. I, I precursori, cit., p. 245.
  75.  P. Rolle, Sociologia del lavoro, Bologna, Il Mulino, 1973, pur non collocandosi in una prospettiva teorica marxiana, fa molto opportunamente notare che «dall’attività non si può giungere al lavoro, a meno che non si comprenda l’attività sotto la forma del lavoro»: vedi alle pp. 116-43 la sua polemica con alcuni contemporanei e la disamina delle opposte ma comuni inclinazioni in proposito di Proudhon e di De Man. Marx, nelle sue polemiche, sottolineava fino alla noia che nei ragionamenti sulla natura e misura del lavoro, occorre partire sempre dalla sua «determinatezza sociale», dal suo «carattere socialmente determinato»: vedi le Teorie sul plusvalore, vol. I, Roma, Editori Riuniti, 1961, pp. 593-4. E nei Grundrisse aveva annotato che, inteso come attività, il lavoro è un tipico «non-valore»: Lineamenti, cit., I, pp. 279-80.
  76.  P. J. Proudhon, Che cos’è la proprietà?, Bari, Laterza, 1967, p. 119. Nella voce Leggi, Voltaire aveva scritto: «Quelli che lavorano non debbono privarsi del frutto del loro lavoro per premiare la superstizione e l’ozio» (Dizionario filosofico, Torino, Einaudi, 1950, p. 298). Ma era un philosophe.
  77.  Vedi la Difesa del lavoro contro le pretese del capitale, in La tradizione socialista, cit., p. 66.
  78.  K. Axelos, Marx pensatore della tecnica, Milano, Sugar, 1963, pp. 70-1, fa notare che «come rivoluzionario Marx pone l’accento sulla negatività del lavoro [giacché] gli uomini che egli vede non si affermano nel lavoro».
  79.  Il partito e l’Internazionale, cit., p. 181.
  80.  Ibidem, p. 233.
  81.  L. Firpo, Il concetto del lavoro ieri, oggi, domani, Fondazione Agnelli, quad. 18, 1977, p. 37.
  82.  È quanto viene rimproverato al vecchio Engels — che pure aveva descritto magistralmente le condizioni della classe operaia in Inghilterra — da K. Korsch, Karl Marx, Bari, Laterza, 1969, pp. 208-9.
  83.  L. Colletti, intervista a «Rinascita», n. 23, 6 giugno 1978.
  84.  K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito comunista, cit., p. 116.
  85.  P. Jaccard, Storia sociale del lavoro, cit., p. 272.
  86.  W. Morris, Come potremmo vivere, cit., pp. 106-7.
  87.  Ibidem, pp. 110-13.
  88.  Ibidem, pp. 115-6.
  89.  Ibidem, p. 168.
  90.  Ibidem, p. 132.
  91.  Ibidem, p. 118.
  92.  Ibidem, p. 77.
  93.  A. Illuminati, J. J. Rousseau e la fondazione dei valori borghesi, Milano, Il Saggiatore, 1977, p. 167.
  94.  Si vedano ad esempio: il ritratto «Samuel Smiles e il Vangelo del lavoro», in A. Briggs, L’Inghilterra vittoriana, Roma, Editori Riuniti, 1978, pp. 122-44; e la già citata biografia di P. Bairati, Benjamin Franklin e il dio operaio. Sull’uso edificante delle massime che quest’ultimo pubblicò sul Poor Richard’s Almanack, ad opera di contesse e industriali del vecchio mondo, cfr. P. Jaccard, Storia del lavoro, cit., pp. 254-6. Sull’etica del lavoro negli USA vedi il tentativo di ridimensionamento compiuto da H. G. Gutman, Lavoro, cultura e società in America nel secolo dell’industrializzazione 1815-1919, Bari, De Donato, 1979.
  95.  P. Lafargue, Il diritto all’ozio, Milano, Feltrinelli, 1971, p. 115. Il curatore, M. Dommanget, fa notare a p. 55 che il genero di Marx non si richiama qui all’Internazionale perché «l’apologia, per non dire la deificazione del lavoro fatta al congresso di Ginevra (1886) dai delegati francesi, poteva solo infastidirlo».
  96.  A. Tilgher, Homo faber, cit., p. 83.
  97.  Ibidem, pp. 127-8.
  98.  G. Sartori, Il potere del lavoro nella società post-pacificata,in «Quaderni della Rivista italiana di scienza politica», n. 2, 1976, p. 93.
  99.  P. Naville, Il metodo nella sociologia del lavoro, in G. Friedmann, P. Naville, Trattato di sociologia del lavoro, cit., vol. I, p. 58.
  100.  Accecato è risultato anche J. Boggs: La rivoluzione americana, Milano, Jaca Book, p. 39, dove si pronostica un non-lavoro da progresso: «Entro pochi anni l’uomo-forza produttiva sarà sorpassato come il mulo».
  101.  F. Balbo, Opere 1945-64, Torino, Boringhieri, 1966, p. 926.
  102.  Cfr.: A. H. Maslow, Motivation and Personality, New York, Harper & Brothers, 1954; D. McGregor, L’aspetto umano dell’impresa, Milano, Franco Angeli, 1972; F. Herzberg, Work and thè nature of Man, London, Staples Press, 1968; L.E. Davis, J. C. Taylor, (a cura di), Design of Jobs, Harmondsworth, Penguin Books, 1972.
  103.  CEE, Rapporto del gruppo di studio «Problemi dell’inflazione», Bruxelles, 1976: vedilo tradotto in «Mondo economico», n. 40, 23 ottobre 1976, p. 39.
  104.  D. Linhart, Quelques reflexions à propos du refus du travail, in «Sociologie du travail», n. 1, gennaio-marzo 1978, p. 314, sostiene che accanto all’organizzazione scientifica del lavoro (in francese, OST) si scopre una OSL: Organisation Scientifique du Loisir.
  105.  Vedila in I lavoratori e il progresso tecnico, Roma, Editori Riuniti, 1956, pp. 23-66; e anche in S. Leonardi, Progresso tecnico e rapporti di lavoro, Torino, Einaudi, 1957.
  106.  A. Pichierri, Introduzione a A. Touraine, L’evoluzione del lavoro operaio alla Renault, Torino, Rosenberg & Sellier, 1974, p. VIII. Ciò viene notato anche da A. Baldissera, Recenti antologie sull’organizzazione del lavoro in Italia, in «Quaderni di sociologia», n. 2-3, aprile-settembre 1976, p. 326.
  107.  C. R. Walker, R.H. Guest, L’uomo alla catena di montaggio, Milano, Franco Angeli, 1973.
  108.  G. Friedmann, Problemi umani del macchinismo industriale, Torino, Einaudi, 1949 e 1971; Dove va il lavoro umano?,Milano, Comunità, 1955. Ma vedi anche Il lavoro in frantumi,Milano, Comunità, 1960.
  109.  S. Weil, La condizione operaia, Milano, Comunità, 1965.
  110.  Si vedano le considerazioni di N. Magna, «Per una storia dell’operaismo in Italia. Il trentennio post-bellico», in AA.VV., Operaismo e centralità operaia, Roma, Editori Riuniti, 1978, sul formarsi della «ideologia del lavoro-valore, faccia destra della teoria del valore lavoro», p. 310, e di una «dimensione qualitativa del lavoro», p. 331.
  111.  Cfr. gli Atti del convegno organizzato nel 1975 dall’Università di Modena, e le riflessioni critiche ivi contenute: Il Piano del lavoro della Cgil 1949-1950, Milano, Feltrinelli, 1978.
  112.  «Il valore del lavoro, non quello marxiano che faticosamente si trasforma in prezzo della forza-lavoro, ma quello del socialismo utopistico, del cristianesimo ragionevole, quello delle rivoluzioni culturali, il valore del lavoro non fonda la moderna centralità operaia, fonda il suo contrario, l’antica ottocentesca centralità del rapporto singolo di capitale, davanti a cui stava la dispersa massa delle classi subalterne»: così M. Tronti, in Operaismo e centralità operaia, cit., pp. 20-21
  113.  «Il lavoro non ha nulla a che fare con la dignità», è la risposta data da un operaio moderno a F. Zweig, L’operaio nella società del benessere, Roma, Cinque Lune, 1966, p. 110: una delle ricerche più dissacranti rispetto agli stereotipi dell’autore stesso.
  114.  D. Diderot, Confutazione del libro «Sull’uomo» di Helvetius, in Potere politico e libertà di stampa, Roma, Editori Riuniti, 1966, p. 159.
  115.  Proposta di progetto a medio termine, Roma, Editori Riuniti, 1978, p. 26. Sulla «rivalutazione del lavoro produttivo e socialmente utile», ibidem, cfr. il cap. II
  116.  L’alternativa dei socialisti, documenti Mondo Operaio, Edizioni Avanti!, pp. 38-9. «Se lavori disaggradevoli e molesti non potendo eseguirsi per mezzo della meccanica e della chimica, vengono trasformati mediante qualche processo in lavori graditi e non si potessero trovare le forze necessarie, allora ognuno ha il dovere di prestare l’opera sua»: A. Bebel, La donna e il socialismo, cit., p. 360. Dove la differenza vera sta nel fatto che dietro a ciò Bebel vedeva una rivoluzione, non un garofano. Per il giovane Engels, Descrizione delle colonie comunistiche sorte negli ultimi tempi e ancora esistenti (1845), in K. Marx, F. Engels, Opere complete, IV, Roma, Editori Riuniti, 1976, p. 531, quei lavori «una volta nella comunità, non sono più umili; e poi, sarà possibile eliminarli quasi del tutto migliorando gli impianti, le macchine».