Character skills e didattica digitale
DOI: 10.1401/9788815374615/a1
In merito a questo elemento è
importante evidenziare due aspetti: in primo luogo la scarsa autorevolezza e capacità di
governance che in alcuni casi gli insegnanti hanno manifestato
rispetto alla classe. In secondo luogo, anche, una limitata curiosità da parte degli
allievi nei confronti di una attività innovativa e meno curricolare. A tutto ciò è
possibile, inoltre, aggiungere un’ulteriore riflessione: è naturale che i tipi di
attività richiesti dal progetto (la narrazione di sé e la riflessione sui contesti; il
gioco come esperienza didattica) siano stati percepiti dagli studenti in modi diversi:
per alcuni si è trattato di un’opportunità, di un’esperienza nuova che ha suscitato
interesse e slancio. Per altri invece si è trattato di un semplice «dovere» scolastico,
svolto in modo forse anche adeguato dal punto di vista formale ma senza particolare
coinvolgimento. Infine, per altri ancora si è trattato di uno sconvolgimento di una
routine scolastica, rispetto al quale i giovani si sono talora percepiti come inadeguati
e non efficaci. In relazione a questi comportamenti degli studenti, è evidente che
l’atteggiamento degli insegnanti ha svolto un ruolo cruciale. Abbiamo osservato infatti
al riguardo, soprattutto tra gli insegnanti con classi poco motivate, due posizioni
prevalenti e ben diverse: la prima è stata quella di coloro che hanno dedicato tempo a
spiegare il progetto, a rassicurare gli studenti, a motivarli, arginando in tal modo le
possibili defezioni; la seconda posizione è tipica invece di coloro che hanno a loro
volta quasi subìto il progetto stesso, organizzandolo sul piano formale ma senza
spendersi in attività di sostegno e accompagnamento. Non disponiamo d’informazioni
dirette per poter meglio definire le cause di questa polarizzazione tra docenti. In
linea generale, tuttavia, partendo dalle informazioni di contesto circa i singoli
istituti, dai focus groups e dalle interviste realizzate con i
dirigenti,
¶{p. 186}possiamo ipotizzare che un ruolo rilevante sia stato
giocato dalla mancata cooperazione e collaborazione all’interno del gruppo docente,
dalla gestione non ottimale della leadership da parte del
dirigente, dal carico e sovraccarico didattico, di progetti e di attività istituzionali
in capo a pochi docenti. Molto probabilmente è da questi elementi che è scaturito un
quadro come quello appena descritto, dal punto di vista della partecipazione.
Come già notato nel capitolo primo,
ogni traccia sollecitava la narrazione riflessiva dello studente, diventando l’occasione
per raccontare qualcosa su di sé, su ciò che sta a cuore, di cui si ha timore o
speranza, su ciò che piace e per cui si ha passione; per manifestare dubbi e critiche a
sé stessi, alla scuola, alla famiglia, agli amici.
I materiali raccolti con lo
storytelling sono stati trattati in modalità differenti. Sono
dapprima esaminati secondo una classica analisi del contenuto. Sono poi stati
ulteriormente processati attraverso il software Alceste (Analyse des Lexèmes
Co-occurents dans les Énoncés d’un TExt). Si tratta di uno strumento
attraverso il quale è possibile realizzare un’analisi dei materiali testuali, applicando
a essi una metodologia statistico-testuale finalizzata all’analisi del discorso. A
partire da un corpus testuale, adeguatamente preparato dal
ricercatore, è possibile effettuare un’analisi dettagliata dei «vocabolari tipici» di
diverse classi di significato, che si costruiscono attraverso una ricognizione
sull’intero corpus. La nostra analisi ha proceduto nel modo
seguente:
a) creazione di
tre corpus testuali, uno per ogni traccia dello
storytelling, comprensivo di tutte le narrazioni di tutte le
scuole;
b) analisi
specifica su ognuna delle tracce tematiche.
I risultati sono stati esposti nel
capitolo terzo.
Infine, i testi in questione sono
stati reinterpretati alla luce dei modi della riflessività, secondo la teorizzazione di
Archer. Quest’ultima analisi è servita, poi, per incrociare i modi riflessivi con le SES
di studenti e studentesse.
4. Che cosa sono i «serious games»: «Il viaggio nel tempo di Urul»
Passiamo ora a illustrare il secondo
strumento per la rilevazione delle informazioni tra gli studenti: il serious
game. Tale esperienza è stata proposta a partire dall’idea che una
tecnica come questa potesse qualificarsi come risorsa per favorire la riflessione su
aspetti critici della relazione educativa e mettere ¶{p. 187}sotto
osservazione le SES in una forma innovativa e non convenzionale. Uno dei vantaggi dei
serious games risiede poi nella loro flessibilità e
applicabilità a situazioni, obbligate nel caso in questione, in cui sia particolarmente
importante disporre di strumenti d’indagine online.
Abbiamo chiarito nel capitolo primo
che alla radice di questa opzione metodologico-tecnica sta un interesse latente. La
didattica digitale nelle sue varie forme può essere considerata come una sorta di grande
«variabile interveniente» che accelera mutamenti e tendenze di lungo periodo, in qualche
modo già in atto. La tecnologia entra in misura crescente nei processi di
socializzazione/educazione, anche in ambiente scolastico. Ciò rende particolarmente
interessante impiegare nel nostro studio strumenti non tradizionali.
Nel nostro caso, il
gioco è stato lo strumento attraverso il quale sono state
osservate le tre SES selezionate: Cooperazione tra pari,
Passione per gli obiettivi e Resistenza allo
stress. Il gioco è stato progettato e realizzato ad hoc
per esplorare queste specifiche competenze, in collaborazione con il Politecnico di Torino, la start-up torinese Tonic
Minds e Fondazione Links. Tale collaborazione ha coinvolto anche gli aspetti tecnici,
estremamente importanti, relativi alla somministrazione, ossia all’effettivo svolgimento
delle partite. La scelta del tipo di gioco e la sua costruzione sono state guidate da
vari contributi di ricerca sull’argomento. La decisione di adottare un serious
game ha preso spunto dai contributi sulla cosiddetta
gamification. È, anzitutto, essenziale un passaggio
chiarificatore che distingua gamification e serious
game. L’espressione gamification si utilizza per
riferirsi a interventi in ambito educativo e organizzativo aventi la finalità di
conseguire un risultato utile (ma talora anche osservabile e misurabile) attraverso una
tecnica di gioco. Si tratta cioè di un’esperienza di apprendimento o di valutazione di
competenze (per rimanere nell’ambito educativo), che viene realizzata attraverso la
simulazione di un gioco predisposto ad hoc. La teoria più diffusa e
condivisa quando si parla di gamification è la cosiddetta
elemental theory [Werbach 2014], secondo cui essa consiste
nell’utilizzo di elementi tipici dei giochi in contesti non ludici. In altre parole,
essa rappresenta il tentativo di rendere più gradevoli anche le attività più ordinarie
che un determinato individuo deve svolgere. A partire da queste considerazioni occorre
specificare la differenza tra un gioco completo (full game),
serious game e gamification. Si
definiscono full games i prodotti il cui obiettivo
¶{p. 188}si riduce al puro intrattenimento del giocatore; si definiscono
serious games i giochi formativi, in cui le componenti
educativa e ludica sono attentamente bilanciate; infine, si definisce propriamente
gamification l’intervento che presenta caratteristiche mutuate
dai giochi, come punti e livelli, che vengono applicati a contesti di non-gioco per
scopi diversi da quelli di un prodotto d’intrattenimento. In quest’ultimo caso, quindi,
cambia il fine del gioco, che non è l’intrattenimento o il divertimento ma un elemento
diverso, che tuttavia viene reso più godibile e interessante [Deterding et
al. 2011]. Nel caso delle SES, alcuni autori hanno condotto esperienze di
gamification e serious game applicate
soprattutto in ambito educativo e aziendale [Adhiatma, Rahayu e Fachrunnisa 2019]. La
prima vera rassegna della letteratura su questi temi in ambito educativo si ha con lo
studio di Fiona Fui-Hoon Nah, Qing Zeng, Venkata Rajasekhar Telaprolu, Abhishek
Padmanabhuni Ayyappa e Brenda Eschenbrenner del 2014. Questa rassegna prende in esame
interventi applicati ai più vari contesti educativi, dalle scuole primarie
all’università, nonché per fini diversi, che spaziano dagli apprendimenti curricolari di
alcune discipline all’implementazione delle SES. Ai fini della nostra riflessione sono
utili in modo particolare alcuni spunti. Lo studio di Betts, Bal e Betts [2013] descrive
un’esperienza mirata all’apprendimento cooperativo attraverso uno strumento denominato
Curatr. I risultati mostrano, tuttavia, una mancanza di
relazione tra i punteggi ottenuti nel gioco e l’effettiva
competenza/conoscenza/esperienza – diversamente osservata e misurata. Tutto ciò indica
che è necessaria prudenza sia nell’adozione dello strumento, sia nell’interpretazione
dei suoi esiti. Un altro esempio è lo studio di Brewer e colleghi [2013], che si è
concentrato su un esperimento di gamification applicato ai bambini.
Per questo segmento di popolazione studentesca è stato necessario introdurre nel gioco
un sistema di punteggi e ricompense/premialità per favorire la partecipazione e la
motivazione. Il sistema delle premialità pare avere esiti positivi anche rispetto agli
apprendimenti, come notano De Freitas e Routledge [2013]. Gibson e colleghi [2013] hanno
evidenziato inoltre un incremento della motivazione, partecipazione,
performance e apprendimento se esso è agganciato a punteggi e
classifiche (il che evidenzia l’efficacia di ambienti competitivi, anche quando per
ottenere il risultato occorre passare attraverso logiche cooperative di squadra).
È sulla scorta di questa pur rapida
rassegna della letteratura che abbiamo identificato i seguenti otto elementi – già
indicati ¶{p. 189}nel capitolo primo – che possono essere considerati
essenziali per una esperienza di serious game applicata al contesto
educativo.
1) Punteggi: il
sistema dei punteggi assegnati durante il gioco e alla fine della sessione di gioco
motiva gli apprendimenti e incrementa i risultati. I punteggi sono percepiti come
ricompense e come indicatori del proprio posizionamento rispetto al compito assegnato,
quindi hanno a che fare con i meccanismi reputazionali. Nel caso del gioco applicato
alle scuole selezionate per la nostra ricerca è stato applicato un sistema di punteggi,
sia parziali per singola partita, sia totali, cioè dopo giochi ripetuti.
2) Livelli:
l’introduzione di diversi livelli nell’architettura del gioco è utile per dare ai
giocatori il senso della progressione nel gioco stesso e nella sua complessità. Il
livello iniziale richiede minori sforzi e meno tempo per passare al livello successivo
rispetto a quanto non accada con i livelli medio-alti. Man mano che si sale nei livelli
vengono anche richieste competenze più sofisticate. Anche questo elemento è stato
introdotto nel nostro gioco.
3) Badge: questi
sono utilizzati come forme di apprezzamento/riconoscimento tra giocatori nel processo
verso il raggiungimento dell’obiettivo. Il possesso di un badge mantiene la motivazione
del giocatore da un livello all’altro. Nel nostro gioco, questo elemento è stato
inserito nella forma dei «ruoli» di Esploratore/trice e Guida.
4) Classifiche:
le classifiche servono a un duplice obiettivo. Da un lato mantengono alta la motivazione
dei giocatori, mentre dall’altro creano un senso di coinvolgimento nel gioco, ma anche
di competizione tra pari o tra gruppi di pari. In genere il sistema delle classifiche
indica pubblicamente solo i nomi di coloro che si posizionano nelle prime 3 o 5
posizioni. Questa cautela evita gli effetti di scoraggiamento di coloro che sono
collocati nella parte bassa nella classifica. Questo elemento è stato inserito nel
game, prevedendo dei nickname per le scuole che ne garantissero
il reciproco anonimato.
5) Premi e
ricompense: l’utilizzo di premi e ricompense è indicato come essenziale
per la motivazione dei giocatori. In generale l’esperienza di ricerca empirica evidenzia
una maggiore efficacia di molteplici piccole ricompense piuttosto che di una sola grande
ricompensa finale. Se la ricompensa è visibile agli altri – per esempio attraverso un
carattere identificativo, come una stelletta su un’uniforme, da cui si originano alcuni
benefits – ¶{p. 190}questo aumenta la
competizione. Per il gioco oggetto della ricerca è stato utilizzato il sistema della
ricompensa finale, consistente in una uscita didattica di
orienteering.
6) Progress
bars: sono utilizzate per visualizzare i progressi compiuti, non livello per
livello ma complessivamente nel gioco. Queste aiutano nella motivazione in vista del
raggiungimento di obiettivi e ricompense secondarie. Inoltre, contrastano la
disaffezione al gioco e la demotivazione derivante da risultati non positivi. Anche
questo elemento è stato incluso nel nostro gioco.
7) Storyline:
serve a informare e aggiornare i giocatori sull’andamento della storia del gioco e a
mantenere costante il loro impegno. La storia inoltre contribuisce a sviluppare
strategie di problem solving e a calarle realisticamente
nell’esperienza di vita vissuta (oppure a operare una traslazione o comparazione). Per
questo è stata inclusa nel gioco.
8) Feedback:
sono utili se frequenti, istantanei, chiari, per mantenere il coinvolgimento attivo dei
partecipanti. Tale elemento è stato incluso nel gioco, causando però effetti più di
disturbo e rumore di fondo che non di coinvolgimento attivo.
Il gioco creato ad
hoc per questa indagine è «Il viaggio nel tempo di Urul»
[2]
ed è stato articolato in partite, squadre, ruoli e obiettivi. Si tratta di
un gioco online, da fare a squadre, ambientato in un castello medievale ma con un
tematismo orientato al futuro. Urul è il personaggio fantastico della storia, arriva
dall’anno 3025 e ha incontrato i ragazzi in una dimensione temporale fluida, che dal
presente li ha portati prima nel futuro, lasciando traccia nelle divise spaziali, e poi
indietro nel tempo, nel lontano 1400. La figura A1 dà un’idea di come apparisse il
personaggio.
I giocatori sono esploratori spaziali
(fig. A2), arrivati nel castello con un salto temporale. I giocatori sono ora
intrappolati nel castello, che è pieno di stanze, cioè in un labirinto apparentemente
senza uscita, e devono escogitare una strategia per uscire dal castello e ritornare
nella dimensione reale. Il punto è arrivare alla stanza più remota del castello, dove
Urul è rimasto intrappolato con la «macchina del tempo», e far ripartire il dispositivo
temporale.
I giocatori all’interno della stessa
squadra si distinguono in Guide ed Esploratori/trici. Le Guide visualizzano sullo
schermo del PC la mappa dell’interno del castello, mentre gli
Esplora
¶{p. 191}tori/trici si trovano tridimensionalmente all’interno
del castello e devono, istruiti dalle Guide su come muoversi, raccogliere diamanti
disseminati nelle varie stanze e raggiungere la stanza in cui è ubicata la macchina del
tempo, che consentirà loro di rifare a rovescio il salto temporale, tornando nella
propria epoca. I giocatori, visualizzati nel gioco come avatar e
con dei nickname, indossano tute spaziali che sembrano provenire dal futuro, sono
distanti l’uno dall’altro e non possono vedersi, né conoscere la loro reale identità.
Possono soltanto comunicare tra loro tramite {p. 192}il dispositivo di
scrittura istantanea, non possono quindi usare la voce (che avrebbe svelato l’identità).
Note
[2] Il gioco è raggiungibile al seguente link: https://urul.it/.