Character skills e didattica digitale
DOI: 10.1401/9788815374615/c3
La classe 4 riprende ulteriormente
il tema della scuola con lo sguardo rivolto alla conclusione dell’anno scolastico
¶{p. 108}in corso: le parole con
χ2 più elevato sono proprio
scolastico e finire, seguite da
anno, manca poco e
concludere. Si osserva tuttavia una ambivalenza rispetto a tali
parole: da una parte esse sono motivo di preoccupazione, per la preparazione sommaria
ricevuta, per il persistere di condizioni di DAD a intermittenza, per le occasioni di
verifica sui rendimenti che ancora saranno programmate prima della fine del quadrimestre
rispetto alle quali la maggior parte degli studenti non si sente preparata.
Dall’altra sono, invece, motivo di
speranza per quello che ci sarà dopo la fine della scuola, ossia le vacanze, la
possibilità di vedere allentate le misure di controllo. L’ambivalenza torna anche
rispetto ad altre parole tipiche della classe: possibilità e
difficoltà. Le due parole, entrambe fortemente associate alla
classe, evidenziano una polarizzazione: tra un futuro immaginato (e sperato) denso di
opportunità e chances; e un futuro incerto, su cui gravano sia il
peso dei mesi precedenti, sia l’indefinitezza della situazione.
In sintesi, alcune
rappresentazioni, atteggiamenti e sen¶{p. 109}sibilità emergono con
maggiore evidenza. Le riassumiamo qui, con l’intento di approfondire le questioni
relative nel seguito del lavoro, mettendole in relazione con le SES, con i modi della
riflessività personale e con alcuni fattori chiave di cui esploreremo la valenza
esplicativa e interpretativa.
Un atteggiamento centrale che
emerge quasi unanimemente negli alunni consiste nella voglia di autonomia e nella spinta
verso obiettivi individuali, spesso identificati come un «fare la differenza» in certi
ambiti o contesti, sociali e professionali. Si noti che questa spinta
all’autorealizzazione si esprime insieme alla percezione di un vuoto complessivo nel
contesto socio-culturale più ampio. In altri termini, è estremamente difficile rinvenire
nelle narrazioni di questi giovani un ancoraggio a una qualche eredità culturale
considerata sensata. E rispetto al futuro, è altrettanto poco frequentata un’idea di
autorealizzazione che si estenda al «cambiare un contesto». Il «fare la differenza» di
cui si diceva si declina dunque per lo più come in una forma di eccellenza individuale
in un determinato ambito o progetto, ¶{p. 110}non tanto come progetto di
trasformazione della realtà e investimento di sé in tale progetto.
Corrispondentemente, il campo
relazionale entro cui la vita si svolge appare essere quello della famiglia e di poche
amicizie, mentre sembra assente il mondo adulto nel suo complesso, in espressioni più
universalistiche. La ricostruzione delle linee di confine dell’identità personale sembra
avvenire attraverso i legami e le solidarietà «corte», lontano dal senso di
«trascendenza del sé» che ideali o istituzioni civili possono rappresentare. È fuori da
esse che la vita prende forma. Ed è la continuità generazionale in ambito familiare a
emergere – senza, peraltro, dare luogo a un analogo progetto futuro. Cioè a dire, sembra
che la «familiarità» sia riconosciuta come bene prezioso nella propria crescita, ma non
entri nel progetto di ciò che a loro volta questi adolescenti immaginano di fare e di
essere.
Tutta questa elaborazione
riflessiva è poi avvolta in un forte timore del futuro, in rapporto all’inadeguatezza
che i giovani vedono nel mondo adulto, e in particolare nella scuola, nel prepararli a
rispondere alle sfide. Questi adolescenti hanno una chiara idea: quella di non potersi
fidare delle istituzioni o dei ruoli adulti in genere e di dover contare soprattutto su
sé stessi
[1]
.
Occorre, infine, notare che la
scuola è raramente collocata da questi alunni sul lato positivo della crisi. Si situa
invece tendenzialmente sul lato negativo di ciò che si è imparato in questo anno di
vita. Per esempio, la diffusissima lamentela circa il fatto che le ore di scuola in
presenza siano dominate dalle verifiche restituisce l’immagine di una scuola che spesso
ha giocato la propria autorevolezza, e il valore positivo del «ritorno a scuola», sul
piano del controllo sociale e del potere coercitivo piuttosto che della creatività e del
valore ¶{p. 111}aggiunto formativo, erodendo la fiducia reciproca e con
essa le condizioni di possibilità delle relazioni educative.
In ogni caso, la crisi indotta
dalla pandemia pare stia provocando un cambiamento lungo due direttrici. Una è la
capacità di organizzarsi la vita. L’altra è la mutata (e perturbata) dimensione
emozionale e relazionale, che oscilla tra l’implosione-introversione e una riselezione e
riscoperta riflessiva delle relazioni davvero significative. La riflessività e una
spinta alla maturazione sono in atto. Le forme e i modi prevalenti in cui questi
processi si svolgono stanno probabilmente evolvendosi nel tempo, attraverso la frattura
della pandemia come trigger della trasformazione. Si tratterà di
seguire e studiare meglio queste tendenze complesse di ricostruzione delle soggettività,
personali e sociali.
Note
[1] In questo senso le rappresentazioni in questione suonano come una conferma – dal lato delle impressioni soggettive – della tesi secondo cui le istituzioni, in particolare quelle educative, abbiano un’efficacia decrescente e sappiano sempre meno svolgere la funzione di «esonero» (Entlastung) che è stata spesso descritta come una loro caratteristica definitoria. Cfr. su questo Maccarini [2019, cap. 8].