Andrea M. Maccarini (a cura di)
Character skills e didattica digitale
DOI: 10.1401/9788815374615/c3
La classe 4 riprende ulteriormente il tema della scuola con lo sguardo rivolto alla conclusione dell’anno scolastico
{p. 108}in corso: le parole con χ2 più elevato sono proprio scolastico e finire, seguite da anno, manca poco e concludere. Si osserva tuttavia una ambivalenza rispetto a tali parole: da una parte esse sono motivo di preoccupazione, per la preparazione sommaria ricevuta, per il persistere di condizioni di DAD a intermittenza, per le occasioni di verifica sui rendimenti che ancora saranno programmate prima della fine del quadrimestre rispetto alle quali la maggior parte degli studenti non si sente preparata.
Fig. 3.16. Disco delle forme testuali per classe di significato relativo alla classe 3 (La mia classe è…).
Fig. 3.16. Disco delle forme testuali per classe di significato relativo alla classe 3 (La mia classe è…).
Dall’altra sono, invece, motivo di speranza per quello che ci sarà dopo la fine della scuola, ossia le vacanze, la possibilità di vedere allentate le misure di controllo. L’ambivalenza torna anche rispetto ad altre parole tipiche della classe: possibilità e difficoltà. Le due parole, entrambe fortemente associate alla classe, evidenziano una polarizzazione: tra un futuro immaginato (e sperato) denso di opportunità e chances; e un futuro incerto, su cui gravano sia il peso dei mesi precedenti, sia l’indefinitezza della situazione.
In sintesi, alcune rappresentazioni, atteggiamenti e sen{p. 109}sibilità emergono con maggiore evidenza. Le riassumiamo qui, con l’intento di approfondire le questioni relative nel seguito del lavoro, mettendole in relazione con le SES, con i modi della riflessività personale e con alcuni fattori chiave di cui esploreremo la valenza esplicativa e interpretativa.
Fig. 3.17. Disco delle forme testuali per classe di significato relativo alla classe 4 (Quest’anno come andrà a finire?).
Fig. 3.17. Disco delle forme testuali per classe di significato relativo alla classe 4 (Quest’anno come andrà a finire?).
Un atteggiamento centrale che emerge quasi unanimemente negli alunni consiste nella voglia di autonomia e nella spinta verso obiettivi individuali, spesso identificati come un «fare la differenza» in certi ambiti o contesti, sociali e professionali. Si noti che questa spinta all’autorealizzazione si esprime insieme alla percezione di un vuoto complessivo nel contesto socio-culturale più ampio. In altri termini, è estremamente difficile rinvenire nelle narrazioni di questi giovani un ancoraggio a una qualche eredità culturale considerata sensata. E rispetto al futuro, è altrettanto poco frequentata un’idea di autorealizzazione che si estenda al «cambiare un contesto». Il «fare la differenza» di cui si diceva si declina dunque per lo più come in una forma di eccellenza individuale in un determinato ambito o progetto, {p. 110}non tanto come progetto di trasformazione della realtà e investimento di sé in tale progetto.
Corrispondentemente, il campo relazionale entro cui la vita si svolge appare essere quello della famiglia e di poche amicizie, mentre sembra assente il mondo adulto nel suo complesso, in espressioni più universalistiche. La ricostruzione delle linee di confine dell’identità personale sembra avvenire attraverso i legami e le solidarietà «corte», lontano dal senso di «trascendenza del sé» che ideali o istituzioni civili possono rappresentare. È fuori da esse che la vita prende forma. Ed è la continuità generazionale in ambito familiare a emergere – senza, peraltro, dare luogo a un analogo progetto futuro. Cioè a dire, sembra che la «familiarità» sia riconosciuta come bene prezioso nella propria crescita, ma non entri nel progetto di ciò che a loro volta questi adolescenti immaginano di fare e di essere.
Tutta questa elaborazione riflessiva è poi avvolta in un forte timore del futuro, in rapporto all’inadeguatezza che i giovani vedono nel mondo adulto, e in particolare nella scuola, nel prepararli a rispondere alle sfide. Questi adolescenti hanno una chiara idea: quella di non potersi fidare delle istituzioni o dei ruoli adulti in genere e di dover contare soprattutto su sé stessi [1]
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Occorre, infine, notare che la scuola è raramente collocata da questi alunni sul lato positivo della crisi. Si situa invece tendenzialmente sul lato negativo di ciò che si è imparato in questo anno di vita. Per esempio, la diffusissima lamentela circa il fatto che le ore di scuola in presenza siano dominate dalle verifiche restituisce l’immagine di una scuola che spesso ha giocato la propria autorevolezza, e il valore positivo del «ritorno a scuola», sul piano del controllo sociale e del potere coercitivo piuttosto che della creatività e del valore {p. 111}aggiunto formativo, erodendo la fiducia reciproca e con essa le condizioni di possibilità delle relazioni educative.
In ogni caso, la crisi indotta dalla pandemia pare stia provocando un cambiamento lungo due direttrici. Una è la capacità di organizzarsi la vita. L’altra è la mutata (e perturbata) dimensione emozionale e relazionale, che oscilla tra l’implosione-introversione e una riselezione e riscoperta riflessiva delle relazioni davvero significative. La riflessività e una spinta alla maturazione sono in atto. Le forme e i modi prevalenti in cui questi processi si svolgono stanno probabilmente evolvendosi nel tempo, attraverso la frattura della pandemia come trigger della trasformazione. Si tratterà di seguire e studiare meglio queste tendenze complesse di ricostruzione delle soggettività, personali e sociali.
Note
[1] In questo senso le rappresentazioni in questione suonano come una conferma – dal lato delle impressioni soggettive – della tesi secondo cui le istituzioni, in particolare quelle educative, abbiano un’efficacia decrescente e sappiano sempre meno svolgere la funzione di «esonero» (Entlastung) che è stata spesso descritta come una loro caratteristica definitoria. Cfr. su questo Maccarini [2019, cap. 8].