Ludovico Albert, Daniele Marini (a cura di)
La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c1
Operiamo già come agenzia del lavoro perché da anni [...] abbiamo strutture che si chiamano SAL (Sportello al lavoro) e
{p. 76}ogni scuola ha un proprio sportello. Noi abbiamo uno sportello dedicato, con un programma specifico. Difatti, noi siamo agenzia intermediaria perché abbiamo anche l’abilitazione e i nostri allievi o le aziende che si iscrivono vengono abbinati (NV2).
Tuttavia, una simile scelta non può essere esente dall’interrogare l’ente di formazione sulle sue finalità ultime, nella sua identità e adesione ai propri scopi. Qual è il limite fra offrire un’attività di accompagnamento nel mondo del lavoro la cui finalità è di inclusione sociale e educativa, da un lato; e, dall’altro, costituire un servizio di intermediazione che può diventare anche un’attività economica, analogo a quanto già realizzano le Agenzie per il lavoro private? Non è un interrogativo di lana caprina, perché sulla scorta della risposta offerta si possono definire strategie diverse da cui dipende l’identità dell’ente medesimo. Considerando le risposte dei testimoni privilegiati si osserva una diversità di orientamenti, alcuni ispirati più alle necessità di reperire – attraverso questi servizi al lavoro – risorse per sopravvivere come organizzazione.
Noi ci siamo buttati anche nell’APL perché uscire da un percorso triennale serve poi per immetterci nel mercato del lavoro, quindi provare a continuare a fare un percorso [...] E poi, dobbiamo prendere quei canali di finanziamento diversi dai finanziamenti stessi pubblici, che ci permettano di sopravvivere (SS1).
Sotto certi aspetti fungiamo proprio da agenzia del lavoro (NE2).
In altri casi, c’è una riflessività e un’attenzione a non mutare la propria identità e a sovrapporsi ad altri soggetti che appare più definita.
Noi facciamo placement sistematicamente perché, essendo coloro i quali formano quelle competenze, le aziende ci chiedono [...] anche nel nostro sito c’è la possibilità di fare incrocio domanda-offerta. Però non è un’attività chiamiamola «economica» per noi, è un’attività che sta nell’essere ente di formazione che lavora su quel tipo di professionalità, quindi a contatto con le aziende, ma sul placement non c’è intermediazione, non c’è {p. 77}quel ruolo di incrocio, cioè c’è ma non è un ruolo che in questo momento è istituzionalizzato, si andrebbe a invadere un campo diverso (NF1).
Noi siamo accreditati per i servizi del lavoro [...]. Questa era già una realtà prima, a maggior ragione lo è ora. Non tanto perché la nostra mission è quella del collocamento ma la nostra mission è quella di facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani (SC2).
L’interrogativo per gli enti di IeFP sulla plausibilità che l’accompagnamento al lavoro e la realizzazione di servizi dedicati possa mutare l’identità delle organizzazioni nate con finalità educative e formative rimane aperto, benché appaia chiaro che ci debba essere un limite non valicabile.
Gli enti non hanno fatto un passo verso l’essere anche agenzia per il lavoro, non diventano delle identità di intermediazione (NT1).
Temo che se diventassimo o ci ripensassimo solo agenzia per il lavoro perderemmo tutta quella componente formativa (NV1).
È un difficile equilibrio che va trovato, da un lato, fra le finalità fondative degli enti di IeFP e le esigenze di inclusione sociale delle giovani generazioni, con particolare attenzione a quelle più svantaggiate; e, dall’altro, la necessità di non fermare la propria azione sulla soglia dell’ingresso nel mercato del lavoro, che rischierebbe di essere vanificata in un contesto sempre più selettivo, senza però cadere nell’assumere la veste di un’agenzia di intermediazione.
Anche nei confronti del target di popolazione cui rivolgere una formazione in ambito duale la discussione appare aperta. Vi sono una serie di gruppi di soggetti che vanno dai giovani già diplomati, ai disoccupati piuttosto che ai lavoratori adulti cui si potrebbe offrire un percorso duale per agevolare un ingresso sul mercato del lavoro o per una riqualificazione. Sotto questo profilo, quasi tutti gli interpellati (17 casi su 20) ritengono che quest’offerta formativa potrebbe essere proposta. Tuttavia, con alcuni distinguo e attenzioni.{p. 78}
Chi è dubbioso di fronte a una simile prospettiva, mette in luce come – soprattutto per adulti e disoccupati – probabilmente la finalità educativo-formativa non è consona a persone il cui obiettivo primario è, in realtà, trovare un’occupazione e un salario. Che mal si concilia con gli obiettivi dell’inserimento duale. Ma anche sul versante delle imprese si potrebbe incontrare qualche ostacolo a vedersi inserito mediante tali percorsi un lavoratore adulto.
Non lo vedo tanto bene per lavoratori adulti o disoccupati perché il loro obiettivo è trovare lavoro, fare dei corsi brevi che diano competenze spendibili immediatamente. In un percorso duale, per degli adulti che devono guadagnare e mantenere una famiglia, lo vedo un po’ difficile da raggiungere. Per un adulto mi aspetto di più un percorso breve che mi dia competenze necessarie oggi per poter essere inseriti e trovare lavoro (NP1).
Dipende poi dal duale: se parliamo dell’apprendistato duale per un disoccupato che magari ha già superato i 40 anni, si fa fatica a dare una motivazione adeguata all’azienda per attivare quel tipo di percorso (NE1).
Gli adulti disoccupati farebbero fatica ad aderire a questo tipo di realtà e alle regole del gioco (NV1).
Al netto delle attenzioni da avere sull’allargamento e sul coinvolgimento di altri target di popolazione nel percorso duale, la maggioranza dei testimoni privilegiati si dichiara sostanzialmente favorevole a includere altre fasce.
[...] toglierei il limite di età. Molti sono scettici a essere apprendisti a 40-50 anni, ma non ha senso perché si è sempre apprendisti in tanti ambiti di vita. Se stai facendo una riqualificazione vuol dire che stai apprendendo nuove competenze. Anche per gli adulti e anche l’ITS dovrebbe essere fatto solamente in apprendistato. Si dovrebbe fare a prescindere, non è una questione tecnica, ma di cultura (NT1).
Sui disoccupati, dipende. Se si prova con una formazione strettamente collegata all’apprendistato di secondo livello sì, assolutamente sì, perché permette l’inserimento nel mondo del lavoro, ma anche di poter avere un sostegno al reddito (NF1).{p. 79}
Noi abbiamo visto che per alcune fasce di utenza, ad esempio persone molto adulte, il tipo di impostazione duale potrebbe esser molto interessante, proprio per una riqualificazione sulle competenze. Di fatto, anche per i giovani diplomati potrebbe essere interessante aprire l’esperienza del duale (SM1).
Alla fine, il percorso duale può diventare, con le dovute accortezze, un percorso adattabile anche ad altre figure di lavoratori, di età adulta e/o da riqualificare sotto il profilo professionale. A patto che siano esplicite e condivise le finalità iniziali del percorso medesimo, al fine di non ingenerare equivoci – come abbiamo già osservato in precedenza anche per gli adolescenti – sulla valenza dell’esperienza di inserimento.

6. Qualche indicazione di prospettiva

Il percorso duale non si configura più come una sperimentazione, ma è entrato nella fase di strutturazione e consolidamento dell’esperienza formativa degli enti di IeFP. Sulla scorta di quanto fin qui maturato, abbiamo domandato agli interpellati di fornire qualche indicazione su interventi che potessero favorire la diffusione e il rafforzamento del duale in Italia. Due sono le iniziative prevalenti che emergono.
Da un lato, si pone una questione legata alle risorse economiche che potrebbero sostenere e favorire l’espansione del percorso duale. Sia sotto il profilo di avere maggiori certezze sull’impiego delle risorse disponibili e sulla possibilità di sostenere la formazione di professionalità interne ai centri da dedicare al duale; sia con l’erogazione di assegni di collocamento che aiutino l’inserimento lavorativo dei/delle giovani che escono dal processo formativo.
Manca un vero e proprio finanziamento che dica: tu centro hai una persona che si dedica a quello [duale, N.d.R.], una persona che dedica una parte della sua attività a quello (NE1).
Un corso duale vale 95.000 euro, che è una cosa scandalosa, perché per un corso di 900 ore è pochissimo. Pensa che un corso {p. 80}di 200 ore di informatica in regione lo pagano 140.000 euro: è una cosa scandalosa come trattano il duale (SS1).
L’assegno di collocamento sarebbe una bella opportunità, purché non segua le normative di garanzie giovani (SP1).
Sicuramente qualche assegno di collocamento per seguire i giovani dopo l’uscita dei percorsi potrebbe essere una cosa interessante, cioè realizzare qualcosa che dia un feedback (NP1).
Dall’altro lato, c’è un aspetto legato all’informazione e sensibilizzazione dei soggetti interessati alla «cultura» del duale, alla sua filosofia e approccio. Talvolta, gli enti si scontrano non solo con la scarsa conoscenza delle opportunità che questo percorso consente, ma anche con un orientamento che vede il lavoro slegato dal momento dello studio. E non solo presso le famiglie, ma anche da parte delle parti sociali. In questo senso, viene proposto che siano le associazioni di categoria e le organizzazioni sindacali a farsi promotrici di azioni di sensibilizzazione – se non proprio di formazione – verso i propri associati. Perché superare la questione culturale è essenziale per veicolare l’approccio duale.
Bisogna investire sulla comunicazione di che cosa è il duale, perché la formazione professionale in duale viene considerata la «figlia bastarda» della scuola [...]. Questi ragazzi hanno seguito, magari hanno una certificazione, però a volte ci sono casi di analfabetismo funzionale, non riescono a trovare un lavoro. Questa dispersione implicita è gravissima. Se invece ci fosse una comunicazione a monte, fatta bene, di che cos’è il sistema duale, questi target potrebbero essere convogliati e valorizzati nella didattica specifica che a loro serve, cioè con un effetto sociale maggiore (CT1).
Le associazioni dovrebbero creare una mentalità per la quale l’idea che l’esperienza formativa e di insegnamento che fanno, non è un’esperienza che è finalizzata a individuare un guadagno lì. Il guadagno si ha nella creazione e supporto di un sistema complessivo formato da delle professionalità di un certo livello (NL2).
In più ci sono anche i soggetti sociali: le norme non le cambi se non c’è la parte datoriale e sindacale. Esse, per come le ho viste io, sono abbastanza diffidenti in quanto credono che il lavoro sia sfruttamento: «prima la scuola e poi il lavoro» (NT1).
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Note