La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c1
Ma non si tratta solo di
un’azione strumentale e organizzativa. Poiché si tratta di interventi con finalità
educativa, si devono stabilire e condividere linguaggi, codici, finalità e obiettivi
fra soggetti diversi (ente e impresa). Dunque, il
¶{p. 16}rapporto
col territorio non è declinato solo come costruzione di relazioni operative, ma
anche di valori, di orizzonti culturali. E, com’è facilmente intuibile, non è un
processo lineare, privo di asperità. Ma richiede una continua operazione di
mediazione e costruzione.
In questo senso, il rapporto col
territorio è un «uscire da sé» degli enti, un proiettarsi all’esterno per
intercettare domande e istanze del mondo produttivo e dei servizi al fine di
individuare una migliore sintonia (fine tuning) che aiuti le
giovani generazioni – in particolare quelle meno agiate – a inserirsi adeguatamente
nel mondo del lavoro.
Di più, si fa strada
l’intuizione che tale progettualità debba andare nel senso di costruire sul
territorio degli «ecosistemi formativi», ovvero insiemi di relazioni coerenti e
strutturate su più livelli, con più soggetti uniti dalla questione formativa (come,
ad esempio, una continuità formativa di filiera sviluppando partnership con ITS e
IFTS), e con una vera e propria governance tale da edificare
progettualità finalizzate all’inclusione sociale delle future generazioni.
Un secondo asse è quello
temporale. L’azione formativa tende a prolungarsi nel
tempo, oltre l’acquisizione della qualifica degli/lle allievi/e. Si tratta di
agevolare e accompagnare i/le giovani favorendoli nell’inserimento lavorativo perché
non si disperda e vanifichi quanto realizzato durante il percorso scolastico. Di
qui, lo sviluppo di servizi al lavoro, orientamento, assegni di accompagnamento:
strumenti che possano fluidificare la collocazione lavorativa.
Ciò non di meno, questo punto
richiede un supplemento di riflessione. Qual è il punto di equilibrio fra
l’implementazione di attività volte a favorire l’ingresso dei/lle giovani nel lavoro
e, invece, il divenire un’agenzia per il lavoro, analogamente a quelle già presenti
sul mercato? L’interrogativo rimane aperto, così come la tensione a realizzare
iniziative rivolte – non va dimenticato – a giovani che non di rado giungono a
questi percorsi di formazione da situazioni di marginalità sociale ed educativa.
Un terzo asse riguarda la
centralità delle persone. In una duplice declinazione: i/le
giovani e i tutor formativi. Nel primo caso, non si tratta di una novità per gli
enti di ¶{p. 17}formazione professionale. Per loro statuto e
origine, l’attenzione a quanti fra loro presentano difficoltà costituisce un
elemento fondativo, primario. Dare dignità e possibilità di entrare nel lavoro come
fattore di autonomia e di inserimento sociale. Oggi però quell’obiettivo pare
ampliarsi. Entrare nel mondo del lavoro, trovare un’occupazione è un requisito
necessario, ma non sufficiente. Attraverso il lavoro si arriva al tema
dell’occupabilità delle persone e alla piena cittadinanza. Al fornire alle giovani
generazioni, in particolare quelle meno abbienti, quell’insieme di risorse (sociali,
relazionali, formative) che consentano a una persona di muoversi adeguatamente in un
mercato del lavoro sempre instabile e in costante evoluzione.
Sotto questo profilo, gli enti
diventano progressivamente dei mediatori (culturali) fra giovani e imprese: i
linguaggi, i codici comportamentali e le rappresentazioni del lavoro diffuse presso
le giovani generazioni più spesso sono disallineate rispetto alle richieste e alle
esigenze delle imprese. Serve un’opera educativa di riallineamento e di maggiore
congruità, di mediazione appunto, sia sul versante dei giovani, ma anche nei
confronti delle imprese. Inoltre, va considerato come stia aumentando il peso delle
soft skills (motivazioni, atteggiamento, relazione)
rispetto a quelle hard (tecnico-professionali).
Di conseguenza, gli enti di IeFP
da erogatori di qualifiche, dovranno trasformarsi in certificatori di competenze: si
tratta di un cambiamento che richiede (e richiederà) uno sforzo significativo non
solo sotto il profilo organizzativo, ma anche didattico e nei confronti delle
istituzioni. La certificazione delle competenze richiede modalità di valutazione
innovative, così come l’effettivo riconoscimento e legittimazione da parte delle
istituzioni regionali. In questa direzione, i corsi associati a profili potranno
diventare percorsi di competenze componibili: una certificazione di competenze
richiede un’organizzazione didattica flessibile, non più sviluppata a «canne
d’organo», ma predisposta con un carattere modulare e componibile, quasi
tailor made.
In questo contesto, la novità è
rappresentata dal ruolo del tutor formativo che assume una centralità particolare
¶{p. 18}e una peculiarità. Non è solo una mera trasformazione del
profilo professionale di chi seguiva gli stage aziendali. Il
tutor formativo diventa un’interfaccia chiave nell’esperienza duale, poiché si pone
in un crocevia di relazioni fra il corpo docente, gli/le allievi/e e le imprese. Ciò
richiede capacità di visione, di mediazione, talvolta anche abilità psicologiche per
sostenere i/le giovani inserite nel lavoro. Insomma, una figura con capacità
«trasversali», con un ruolo «perno» del percorso duale e che richiede strutturazione
professionale e legittimazione.
1.2. Una valutazione da tripla «A»
Il bilancio che gli enti di IeFP
interpellati fanno sul percorso duale fin qui realizzato è largamente positivo.
Prendendo ad analogia i rating delle società finanziarie,
potremmo sostenere che ottengono una «tripla A»: Accoglienza, Accompagnamento,
Agenti di formazione. I tratti che gli enti mettono in evidenza nelle esperienze che
hanno e stanno svolgendo possono essere riassunti secondo queste tre dimensioni.
Accoglienza
perché gli enti di IeFP continuano a farsi carico di quella parte di
giovani che, a causa di condizioni di marginalità sociale, di povertà educativa e
sociale, di difficoltà a un approccio teorico dello studio, rischiano di rimanere
periferici, se non esclusi. Come sosteneva don Milani nel 1967 «la scuola ha un
problema solo: i ragazzi che perde». Non è però un’accoglienza passiva,
assistenziale. Ma l’obiettivo è di offrire nuove chances,
opportunità a giovani che necessitano di mobilitare le risorse di cui dispongono
(esplicite e potenziali) e di acquisirne altre, con l’obiettivo di assumere
occupabilità e cittadinanza. Il fatto che, alla prova degli esami finali, i/le
giovani che hanno sperimentato il percorso duale raggiungano risultati migliori
degli altri, è una prima conferma della bontà dell’intuizione del duale: la fusione
del sapere pratico con quello teorico danno vita a una ricomposizione dei saperi. E
non hanno minore dignità rispetto ai percorsi di formazione
tradizionali.¶{p. 19}
Accompagnamento
perché i/le giovani necessitano non solo di essere indirizzati, ma anche
accompagnati nell’intero percorso formativo e poi almeno nella fase iniziale
dell’inserimento lavorativo. Non con uno spirito «protettivo» e rassicurante, ma con
l’obiettivo di consolidare le competenze. È un accompagnamento fatto di orientamento
(e talvolta di ri-orientamento quando in precedenza hanno fatto scelte scolastiche
che hanno portato a un fallimento). Di affettività perché l’apprendimento necessita
anche di una relazione calda, di sprone a superare gli ostacoli e a rielaborare le
esperienze di inserimento lavorativo. E, successivamente, di servizi legati al
lavoro, nell’incrociare la domanda con l’offerta di lavoro. Spesso, infatti, il
mancato incontro fra domanda e offerta del lavoro è frutto di immagini e
rappresentazioni distorte delle professioni presso le giovani generazioni e le loro
famiglie. In questo senso, gli enti agiscono lungo due versanti: da un lato, aiutare
gli/le alunni/e a conoscere in modo più realistico le diverse professioni e i luoghi
di lavoro; dall’altro, le imprese a presentare le trasformazioni organizzative
avvenute al loro interno e cercare di comprendere anche le culture del lavoro, le
aspettative che le giovani generazioni presentano.
Agenti di
formazione, da non confondersi con «agenzie» di formazione. Agenti
nel senso di sviluppare per i giovani una agency
[10]
, ovvero di formare l’abilità di sapere agire, di strutturare un percorso
e una progettualità di vita. Questo aspetto si correla fortemente con la tensione
degli enti di IeFP a ricercare una condivisione di progettualità formativa, anche
sul territorio, con altre realtà interessate a sviluppare sinergie formative. Poiché
l’attenzione alla persona non può essere disgiunta da un’altrettanta attenzione al
contesto. Sempre di più, in una realtà segnata da velocità di cambiamento accelerata
e da incertezza, è necessario individuare alleanze formative fra più realtà che
permettano la costruzione di progetti partecipati.¶{p. 20}
1.3. Alcune questioni aperte
Al termine dell’analisi
esplorativa, vale la pena evidenziare anche un insieme di criticità e questioni che
rimangono aperte sui primi anni di esperienza duale, e che richiedono interventi di
aggiustamento. Possono essere ricondotte ad alcuni grandi macroambiti. Un primo
aspetto è di «sistema». Per un verso, com’è facilmente intuibile, si registra (e,
purtroppo, conferma) un divario territoriale – analogamente ad altri fenomeni – che
separa le aree dove la presenza di imprese è consolidata e strutturata (le aree del
Centro-Nord), da quelle dove il novero del sistema produttivo è meno diffuso
(Mezzogiorno). Le situazioni si presentano per alcuni versi radicalmente diverse e,
di conseguenza, anche l’azione degli enti di IeFP ne risente generando una prima
frattura nelle condizioni operative. A questo aspetto si aggiunge quello
istituzionale, con differenze marcate da parte delle regioni del Mezzogiorno (anche
se non tutte) nel gestire un’innovazione come quella del duale. Mentre più spesso
nel Nord del paese gli enti pubblici regionali hanno loro stessi spinto e promosso
l’applicazione del duale, nel Mezzogiorno prevale una latitanza su questo versante.
Per altro verso, queste faglie
territoriali nell’esperienza duale (e non solo) riflettono anche una sostanziale
assenza di regia a livello nazionale nella sua applicazione. Il demandare alle
regioni la gestione della sperimentazione, agli occhi degli interpellati, ha marcato
nuovamente le divisioni territoriali. Proprio per le difficoltà in cui sono immerse
le istituzioni regionali, in particolare nel Mezzogiorno del paese.
Di più, è lo stesso mondo degli
enti di formazione professionale a presentarsi frastagliato, (dis)articolato. E così
si percepisce e si autorappresenta. È sufficiente rinviare, in parte, all’idea e
alla visione di formazione professionale che non appare da tutti partecipata alla
medesima maniera. Fino alla scarsa condivisione di progettualità, di scambio di
esperienze, di messa in comune di buone pratiche. Talvolta, frutto di gelosie, di
temere la concorrenza di altri enti, per spirito di sopravvivenza: basti rinviare
alle disparità di realizzazione in merito alle attività di orientamento, di
rilevazione dei
¶{p. 21}fabbisogni professionali, così come
un’assenza di strategia di comunicazione all’esterno. In sintesi, si registra un
brulicare di iniziative, un’effervescenza di idee e di progetti, ma che non riescono
a elevarsi a sistema, a generare un vero e proprio organismo della formazione
professionale nazionale.
Note
[10] Il primo a evidenziare questa dimensione fu A. Giddens, Central Problems in Social Theory: Actions, Structure and Contradiction in Social Analysis, London, MacMillian, 1979.