La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c1
Di più, è lo stesso mondo degli
enti di formazione professionale a presentarsi frastagliato, (dis)articolato. E così
si percepisce e si autorappresenta. È sufficiente rinviare, in parte, all’idea e
alla visione di formazione professionale che non appare da tutti partecipata alla
medesima maniera. Fino alla scarsa condivisione di progettualità, di scambio di
esperienze, di messa in comune di buone pratiche. Talvolta, frutto di gelosie, di
temere la concorrenza di altri enti, per spirito di sopravvivenza: basti rinviare
alle disparità di realizzazione in merito alle attività di orientamento, di
rilevazione dei
¶{p. 21}fabbisogni professionali, così come
un’assenza di strategia di comunicazione all’esterno. In sintesi, si registra un
brulicare di iniziative, un’effervescenza di idee e di progetti, ma che non riescono
a elevarsi a sistema, a generare un vero e proprio organismo della formazione
professionale nazionale.
Il secondo ambito riguarda la
dimensione formativa. La metamorfosi di cui abbiamo dato evidenza, lascia aperti
anche una serie di interrogativi più squisitamente dedicati al fronte della
didattica. Come già osservato, il momento formativo si fonde in quello lavorativo.
Ma fino a che punto la dimensione educativa (scolastica) si può innestare – ed è
opportuno lo faccia – in quella professionale (impresa)? Fino a dove l’identità
scolastica si deve congiungere con quella imprenditoriale, senza perdere la propria
specificità e autonomia? Sono interrogativi aperti che forse non avranno una
risposta univoca, ma richiedono una capacità di equilibrio mobile.
Così pure per quanto riguarda la
valutazione delle competenze, soprattutto in modo congiunto fra scuola e impresa
che, per il momento, è rappresentato da una sommatoria di valutazioni, più che da
un’unione. E altrettanto vale per la misurazione delle soft
skills, rispetto alle hard skills: anche questo
è un territorio ancora in buona misura da esplorare.
Ancora, l’esperienza del duale
non si attaglia a tutti i/le ragazzi/e. Un orientamento efficace potrebbe aiutare le
giovani generazioni a intraprendere i percorsi più idonei. Ma anche una maggiore
flessibilità fra i due canali (tradizionale e duale), sia in entrata che in uscita,
faciliterebbe la possibilità dei/lle ragazzi/e di sperimentare una diversa idea del
«fallimento» scolastico.
Infine, si pone un tema di
prospettiva. Talvolta, la scelta di iscriversi a un percorso di IeFP è bloccata
dall’impossibilità di prefigurare un percorso che possa avere anche uno sbocco
presso un Istituto tecnico superiore (ITS), un’Istruzione e formazione tecnica
superiore (IFTS) o l’Università, se non passando dalla conquista di un diploma
superiore. Come procedere nell’aprire un canale che dalla IeFP, passando a ITS e
IFTS, possa consentire agli/lle allievi/e che lo desiderano un approdo
all’istruzione universitaria? ¶{p. 22}Qualche progetto si sta
avviando su questi aspetti, ma sono ancora i prodromi, sperimentazioni. Il terzo
ambito, collegato al precedente, riguarda l’organizzazione degli enti. La
sperimentazione duale genera riverberi sul piano della strutturazione degli enti di
IeFP. Sotto questo profilo, gli interpellati mettono in luce alcune opportunità. In
primo luogo, la possibilità – in relazione alla possibilità di disporre di maggiori
risorse economiche – di realizzare investimenti in nuovi macchinari e, in
particolare, nelle strumentazioni digitali, sempre più presenti nel mondo del
lavoro. In secondo luogo, l’apprendistato di primo livello appare poco noto e poco
appetibile per le imprese, in virtù anche delle molteplici declinazioni strumentali
di questa tipologia contrattuale
[11]
che rischia di disorientare le aziende. Servirebbe una maggiore azione
nella semplificazione e nell’informazione dell’utilità e bontà di questo strumento
per l’inserimento lavorativo. In terzo luogo, non sempre le imprese hanno
consapevolezza del loro ruolo educativo.
Sotto questo profilo sarebbe
utile attribuire un riconoscimento particolare a quelle che realizzano percorsi
virtuosi di accoglienza e inserimento lavorativo, così da farle diventare buone
pratiche e diffondere comportamenti emulativi. Infine, ma non per importanza, la
pandemia ha posto un ulteriore aspetto di frontiera che riguarda i nuovi «luoghi»
della formazione: FAD, e-learning, alfabetizzazione digitale.
Non si tratta, in realtà, di temi nuovi, ma la situazione di blocco totale
(lockdown) anche delle attività formative, le ha poste in
primo piano per la prosecuzione della didattica, obbligando i docenti a vere e
proprie conversioni della propria azione didattica. Anche questo versante diventa un
ulteriore banco di prova che sfida l’insegnamento e l’organizzazione degli enti.
Il quarto ambito è relativo a un
tema dalle radici antiche: la burocrazia, tema che da troppo tempo si trascina ed è
pervasiva nella vita sociale. Anche nel caso degli enti di IeFP e della
sperimentazione duale questa dimensione ¶{p. 23}interviene
irrigidendo i processi di innovazione. Non è soltanto determinato dall’eccesso di
carte da sbrigare, che tolgono tempo e risorse all’azione formativa. E talvolta sono
gli stessi enti che si fanno carico di sbrigare quelle delle piccole imprese con cui
sviluppano partnership. Ma l’eccesso di norme, come sempre, produce asimmetrie,
disomogeneità e paradossi, come nel caso emblematico del contrasto fra l’inserimento
di minori in azienda (nelle sue diverse forme) e l’obbligo formativo necessario per
poter accedere al lavoro, piuttosto che le norme sulla sicurezza nei luoghi di
lavoro. Il duale costituisce una sperimentazione che non può essere incanalata e
ingessata entro obiettivi e criteri tipici delle dinamiche formative tradizionali,
così come talvolta accade nelle normative regionali. Mancano criteri e indicatori
declinabili con la nuova sperimentazione, soprattutto secondo le metriche delle
istituzioni regionali. Ciò è frutto ancora della prevalenza del rapporto
docente/discente tipico della situazione classe, mentre nell’apprendimento sul
lavoro le condizioni diventano altre e difficilmente traducibili negli schemi
canonici richiesti dalla burocrazia.
Al termine, se gli «enti» di
formazione, sulla spinta della sperimentazione duale, si trasformano in «agenti»,
allora sarebbe utile mutare anche la categoria del «duale» che – come già
evidenziato – indica due momenti complementari, ma distinti fra loro. Qui siamo di
fronte a una forma nuova della didattica e dell’apprendimento, dove il momento
formativo si fonde con quello lavorativo. Allora, si potrebbe definire questa
modalità come «Sistema For.Lav.», in una crasi di formazione e lavoro.
2. Il sistema duale: una transizione «senza fratture»
La prima parte dell’intervista ha
inteso ricostruire i motivi e i fattori che hanno spinto gli enti a sperimentare il
sistema duale. L’elemento principale che emerge dalle interviste è che si sia trattato,
in realtà, di una naturale evoluzione rispetto a una serie di attività e modalità
formative che questi enti avevano già iniziato a sperimentare in un
¶{p. 24}recente passato. Seppure con esperienze e sistemi diversi,
tuttavia l’adesione alla sperimentazione duale è avvenuta «senza fratture»
[12]
rispetto al flusso nel quale gli enti di IeFP s’erano già incamminati. In
qualche modo, si potrebbe sostenere che la sperimentazione duale ha realizzato una sorta
di sistematizzazione di quanto già stava accadendo, indirizzandola e offrendo una
cornice istituzionale alle singole esperienze in corso.
Per noi è una naturale evoluzione di quello che era il nostro approccio alla formazione professionale, nel senso che non c’è nulla di diverso da quello che stavamo già facendo precedentemente. Diciamo che l’aspetto della sperimentazione duale è servito da un lato (da un punto di vista delle risorse che ha messo a disposizione) a poter avere maggiori risorse a disposizione per incrementare e sviluppare quello che già in parte si faceva e, dall’altro, è servito anche a rimettere a fuoco alcune situazioni che per noi in parte erano già avviate, però hanno avuto uno sviluppo ulteriore in seguito a questo ragionamento sul duale (DL1).
Una conferma che l’introduzione del
duale abbia permesso di strutturare e razionalizzare maggiormente esperienze già
maturate antecedentemente è data dalle motivazioni sulla scorta delle quali gli enti di
IeFP hanno adottato la sperimentazione.
In prevalenza, i testimoni
interpellati sottolineano due aspetti prevalenti. Il primo è relativo alla dimensione
didattica (7 casi su 20), alla necessità di dare continuità e compimento a un’azione
formativa e di crescita della persona sviluppata lungo il triennio. Grazie al duale si è
dato compimento al IV anno di istruzione delle giovani generazioni poiché:
[...] avevamo la possibilità di dare ai ragazzi l’opportunità di raggiungere il diploma di qualifica. Quindi è stata una motivazione didattica, educativa e formativa per dare una completezza di percorso ai nostri ragazzi (SA1).¶{p. 25}
Per certi versi, la sperimentazione
introdotta offre una sponda alla necessità di affermazione e legittimazione di un
universo formativo più spesso considerato marginale, di serie B, poco noto al grande
pubblico. Come se la «vera» istruzione avvenga esclusivamente entro i canali pubblici,
presso i licei o gli istituti tecnici. Mentre al settore privato e regionale sia
destinato un ruolo ancillare nel sistema formativo nazionale. Ciò nonostante, il duale
apre una breccia nella riflessione se gli assetti pedagogici e didattici attualmente
vigenti nell’istruzione pubblica siano tuttora validi rispetto all’avvento della
cosiddetta Quarta rivoluzione industriale e dei processi di digitalizzazione che stanno
stravolgendo il mondo del lavoro e le organizzazioni produttive
[13]
.
Il nodo è vedere se l’impostazione pedagogica e didattica del 90% della scuola italiana sia ancora valida in una società in cui l’obbiettivo è ormai la formazione, non solo pedagogica dell’individuo, ma anche di natura professionale, immaginando che lo sviluppo delle competenze professionali diventi sempre più complesso (NL2).
Di più, qualcuno si spinge a
sottolineare come si intraveda in questa nuova forma educativa anche una dimensione
etica nel senso di una visione nuova e più compiuta tanto delle politiche attive, quanto
per favorire la costruzione di una dimensione di più effettiva «cittadinanza» delle
giovani generazioni.
[Il duale è] un motivo etico rispetto allo sviluppo delle forme di politica attiva del lavoro e di formazione che servono per l’integrazione lavorativa dei giovani (CT2).
Il secondo aspetto, complementare al
precedente, richiama la relazione col territorio, la valorizzazione delle reti di
¶{p. 26}rapporti già instaurati con il sistema produttivo locale e le
famiglie. L’introduzione del duale rafforza l’intensità e la continuità della
reciprocità degli enti di IeFP verso imprese e famiglie (7 casi su 20), raccogliendone
bisogni e istanze.
Note
[12] Mutuo questa definizione dall’analisi, su altri versanti, di G. Fuà e C. Zacchia (a cura di), Industrializzazione senza fratture, Bologna, Il Mulino, 1984.
[13] Per una riflessione su questi temi rinviamo a Marini, Fuori classe. Dal movimento operaio ai lavoratori imprenditivi della Quarta rivoluzione industriale, cit.; A. Magone e T. Mazali (a cura di), Il lavoro che serve. Persone nell’industria 4.0, Milano, Guerini, 2018; Marini e Setiffi (a cura di), Una grammatica della digitalizzazione. Interpretare la metamorfosi di società, economia e organizzazioni, cit.