La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c3
In conclusione, tra la fine del 2017
e i primi mesi del 2018 si sono determinate tre scelte di carattere istituzionale,
mediante le quali si incardinano definitivamente i percorsi duali nell’offerta di
istruzione e formazione professionale e altresì si mettono in condizione le aziende di
superare le resistenze all’utilizzo dell’apprendistato di primo livello come modalità di
formazione e inserimento di giovani in azienda. Il riferimento alle norme contenute
nella legge di
¶{p. 123}Bilancio del 2018, che rende permanenti le
risorse destinate specificamente al duale (75 milioni ogni anno), con una quota
aggiuntiva tra i 45 e i 55 milioni, determinata invece anno per anno e proveniente dal
Fondo sociale europeo, permettono ora alle regioni, a cui sono destinate per riparto
annuale tali risorse, di programmare con certezza sia i corsi triennali, sia di
incrementare l’investimento sul quarto anno per il diploma professionale.
Per le aziende, invece, sono state
rese stabili e permanenti le misure a suo tempo varate per la sperimentazione 2016-2017.
Mi riferisco all’esonero dal contributo di licenziamento dell’apprendista;
all’abbattimento – dal 10 al 5% – dell’aliquota contributiva prevista per le aziende con
più di nove dipendenti; allo sgravio totale per i contributi per la Naspi a carico del
datore di lavoro; e infine allo sgravio totale del contributo dello 0,30% per la
formazione continua previsto dalla legge n. 845/1978.
Sempre in relazione alle aziende, la
legge di Bilancio 2018 ha introdotto una novità interessante (assorbita da misure più
generali e più generose contenute nella legge di Bilancio 2021), ovvero la possibilità
attribuita a tutti i datori di lavoro che avessero assunto i giovani prima ospitati in
azienda come apprendisti o in alternanza rafforzata di ottenere la totale
decontribuzione per il triennio 2018-2020, fino a un tetto massimo di 3.000 euro.
Val la pena altresì ricordare che
l’accordo definito dalle organizzazioni sindacali con Confindustria nel 2016 veniva
sottoscritto, nel febbraio del 2018, con misure analoghe anche dalle organizzazioni
datoriali dell’artigianato.
Dai dati e dalle scelte fin qui
esposte si può dunque affermare che la sperimentazione ha dimostrato come la IeFP,
almeno nelle regioni dotate di una normativa e di strutture adeguate, possa avere le
carte in regola per affrontare le nuove sfide educative, nonché sia in grado di attivare
un rapporto organico con le dinamiche del mercato del lavoro. Non è un caso che il
d.lgs. n. 61/2017, riconoscendo la pari dignità della IeFP regionale con l’istruzione
secondaria gestita dallo Stato, abbia delineato, con un sistema biunivoco di passaggi,
sia un’unica filiera verticale dei titoli di studio che ¶{p. 124}va
dalla qualifica professionale fino alla laurea, sia l’attivazione di una Rete nazionale
delle scuole professionali (2019).
Non so se con tutto ciò si possa
parlare di un riscatto della IeFP, da tempo considerata come il ramo meno nobile
dell’istruzione; ma certo la sperimentazione duale ha rimesso in moto sul piano
normativo, organizzativo e didattico il mondo, peraltro ancora alquanto disomogeneo,
della formazione professionale.
4. Le altre vie del duale in italia: IFTS e ITS
Prima di provare a formulare qualche
proposta conclusiva, è utile richiamare le altre modalità attraverso cui ha preso forma
nel nostro paese l’apprendimento in forma duale, ovvero i percorsi di istruzione che
prevedono, oltreché la formazione in un’aula scolastica, anche l’apprendimento
on the job.
A tal fine, prima di presentare IFTS
e ITS e fare un richiamo all’alternanza scuola-lavoro come prevista dalla legge n. 107,
intendo esplicitare le origini e la forma dei percorsi di IeFP sui quali si è
incardinato il duale introdotto con il d.lgs. n. 81/2015.
4.1. I percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP)
La configurazione della IeFP
come sistema autonomo e di pari dignità rispetto a quello di istruzione è avvenuta
attraverso diverse tappe e risulta da un itinerario avviato fin dal 2003 con la
definizione del cosiddetto «secondo canale» della legge n. 53 «Moratti», in
riferimento alla formazione regionale, con cui si intendeva superare il divario che
contraddistingueva la formazione professionale dall’istruzione secondaria superiore
marchiandola come filiera di «serie B», unificando a questo scopo anche «obbligo
scolastico» e «obbligo formativo» nell’ambito di un «diritto-dovere all’istruzione e
alla formazione» fino ai 18 anni di età. Successivamente, nel 2008, sono stati
introdotti l’obbligo di istruzione nel primo biennio superiore e la possibilità di
¶{p. 125}assolverlo anche nei percorsi di formazione professionale.
Recentemente, con la riforma della «Buona Scuola» (2015) e con il riordino
dell’istruzione professionale (2019), sono stati meglio definiti gli «organici
raccordi» tra gli IP (istituti professionali) e la IeFP, disciplinando il regime
della sussidiarietà con il quale si prevede la complementarietà delle due filiere,
superando la modalità sostitutiva con la quale in molte regioni venivano assegnati i
titoli di qualifica professionale triennale rilasciati dagli istituti professionali,
inibendo, di fatto, l’offerta formativa nei CFP.
Abbiamo alle spalle una
stagione, seppur lunga, di grande trasformazione della formazione professionale. Nel
volgere di quasi un ventennio, ha finalmente preso forma un sistema unitario di
istruzione secondaria superiore articolato in percorsi quinquennali (licei, istituti
tecnici, istituti professionali) e percorsi di istruzione e formazione
professionale, di competenza regionale.
4.2. I percorsi di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS)
Istituiti con la legge n. 144
nel 1999, i percorsi di IFTS hanno un carattere di specializzazione e rispondono
all’obiettivo di formare figure professionali a livello post-secondario (con accesso
dalla maturità o dalla qualifica o dal diploma professionale, in questi ultimi due
casi previa certificazione delle competenze acquisite anche in contesto lavorativo).
Gli IFTS rispondono alla domanda proveniente dal mondo del lavoro e in particolare
dai settori produttivi e dei servizi interessati dalle innovazioni tecnologiche e
dall’internazionalizzazione dei mercati. Le priorità e la programmazione di detti
percorsi sono a carico delle regioni. La legge n. 107 del 2010 (art. 1, c. 46) ha
previsto che la loro frequenza permetta anche ai possessori di un diploma di quarta
annualità di IeFP di accedere all’Istruzione Tecnica Superiore (ITS).
Per avere un’idea compiuta del
comparto, serve uno sguardo aperto, che comprenda non solo gli IFTS, ma anche
¶{p. 126}i percorsi post-diploma e post-qualifica. Nell’insieme
definiscono e quantificano una domanda formativa e un’esigenza del mercato del
lavoro che spesso non viene adeguatamente considerata. Nell’accezione più ampia,
questa offerta formativa rappresenta un crescente fabbisogno delle imprese che ormai
non si orientano più sulle figure professionali dei qualificati, ma privilegiano la
selezione di figure tecniche, con competenze più specialistiche, non riscontrabili
nei percorsi triennali e in parte neppure in quelli quadriennali della IeFP.
La rilevazione dell’Inapp del
2019 evidenzia, in forma ancora più accentuata rispetto alla IeFP, la grande
diversità territoriale dell’offerta formativa di IFTS. Alle originarie Lombardia,
Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Abruzzo, Marche e Campania, che
hanno maturato una continuità nella scelta di questi percorsi, più recentemente si
sono unite Puglia e Veneto, a indicare comunque una crescita di questa offerta
formativa. La fotografia che se ne ricava è di una filiera fragile su cui governo e
regioni dovrebbero intervenire. Anche perché, senza un adeguato rilancio di questo
segmento formativo, rimane incompiuta la verticalizzazione della IeFP con il
sostanziale stop dopo i percorsi quadriennali di diploma professionale, unito alla
preclusione di un diretto accesso alla formazione terziaria degli ITS.
Il successo occupazionale (del
69%) che contraddistingue l’ambito degli IFTS, testimonia un forte ancoraggio col
mondo del lavoro, derivante dall’impostazione data a questa offerta formativa che
prevede l’obbligo di tirocinio curriculare in azienda per almeno il 30% dell’intero
orario di ogni percorso (mediamente tra le 800 e le 1.000 ore), una quota del
personale docente proveniente dal mondo del lavoro, oltre al vincolo di gestione
attraverso una ATS (Associazione temporanea di scopo) dei soggetti erogatori (CFP,
scuole secondarie, università e imprese). Anche le specializzazioni degli IFTS, come
quelle degli ITS, che vengono definite con accordo in Conferenza Stato-Regioni, sono
state articolate in coerenza con le aree economico-professionali delle figure
nazionali della IeFP, proprio nell’ottica di favorire
l’imple¶{p. 127}mentazione della filiera lunga della formazione,
obiettivo dichiarato, ma finora assolutamente non perseguito.
L’ultimo monitoraggio
disponibile (2020) evidenzia che nelle regioni sopracitate sono stati eseguiti 118
corsi di IFTS, nella quasi totalità finanziati con risorse FSE, esclusa la Lombardia
che ha utilizzato anche risorse del Ministero del Lavoro destinate ai percorsi
duali. Il numero dei partecipanti è stato di 2.658 allievi, con un successo
formativo (il conseguimento del certificato di specializzazione) dell’80%.
Un’evidente criticità si
riscontra allorché si considera la provenienza degli allievi iscritti agli IFTS. Il
71% proviene dalla scuola secondaria superiore ed è in possesso del diploma o
maturità, il 20% proviene da facoltà universitarie e solo il 6% (raggruppando
qualificati e diplomati) proviene dalla IeFP, smentendo così le premesse di
rafforzamento della filiera lunga.
Giova qui ricordare che nel
2019-2020 le Regioni Emilia-Romagna, Puglia e Veneto hanno dato vita a un avviso per
la realizzazione di percorsi di IFTS in apprendistato di primo livello senza
finanziamento pubblico. L’intero costo è stato sostenuto dalle imprese che in
partenariato con alcuni enti formativi hanno promosso i percorsi, assunto gli
allievi e provveduto a una quota-parte della formazione. Successivamente, visto
l’interesse suscitato dall’iniziativa, con un secondo bando la Regione
Emilia-Romagna ha introdotto un parziale finanziamento pubblico, a supporto di
quello predisposto dalle aziende. Questa sperimentazione dice, con tutta evidenza,
che le imprese non solo esprimono un apprezzamento per questa offerta formativa,
corrispondente a un target specifico di fabbisogno occupazionale, ma che sono anche
disposte a sostenerne, in tutto o in parte, i costi. Un chiaro segnale per l’attore
pubblico che vuol proiettarsi verso i nuovi scenari del mercato del lavoro.
Allargando lo sguardo
all’universo molto frastagliato dei corsi post-qualifica e post-diploma, si entra in
una dimensione del tutto diversa anche in termini quantitativi. Questi percorsi non
sono codificati in un repertorio nazionale, quindi sono principalmente espressione
dei fabbisogni dei mercati del lavoro territoriali. Sono perciò caratterizzati da
¶{p. 128}un’elevata eterogeneità, non solo per settore economico, ma
anche per tipologia, durata e destinatari. Anche in questo caso i dati disponibili
riguardano solo una parte delle regioni (nove) ed evidenziano lo svolgimento di
1.274 percorsi per un totale di 14.112 iscritti.
Note