La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c3
Abbiamo un’occasione unica per
il paese di investimenti che guardano alle generazioni di domani. Si chiama PNRR.
Nell’ultima versione sono state opportunamente inserite due schede programmatiche
relative agli ITS e al duale in apprendistato. Per quest’ultimo si prevedono
investimenti per 600 milioni in cinque anni, raddoppiando così le risorse dedicate
al sistema duale. Ciò consentirebbe di inserire ulteriori 22.000 giovani, in età
15-18 anni, nei percorsi formativi di IeFP per il conseguimento della qualifica e
del diploma professionale. La metà di questi dovrebbe andare in apprendistato di
primo livello e la rimanente metà in alternanza rafforzata. Così avremmo anche il
raddoppio dei giovani (+11.000) in apprendistato. Il 90% delle risorse verrebbe
destinato alle Agenzie formative e il 10% a confermare le diverse agevolazioni
contributive per le imprese. Solo mediante questa forma di duale avremmo così più
del 5% dei giovani che complessivamente proseguono gli studi dopo l’obbligo. Se a
questi si aggiungono i giovani che potrebbero essere coinvolti con le risorse del
PNRR negli ITS o IFTS, potremmo forse quasi raggiungere la soglia del 20%,
avvicinandoci significativamente alla media europea di giovani in
VET.
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5.2. Centri di eccellenza di formazione e inserimento professionale nelle regioni del Sud
Troppo grande è ormai il divario
nei sistemi di IeFP tra le diverse regioni. Ciò è particolarmente vero tra quelle
del Nord e quelle del Sud. Nelle regioni dell’Italia centrale l’offerta formativa è
sì diversificata, ma non è sideralmente lontana dai modelli consolidati dell’Italia
settentrionale. Per cui salta agli occhi un evidente paradosso: nelle regioni dove è
più alto l’abbandono scolastico e dove sono più numerosi i giovani Neet, l’offerta
di IeFP è debole, frammentata, discontinua e spesso disconnessa dalle dinamiche del
mercato del lavoro. Si è di fronte a una palese violazione del principio
costituzionale che assicura a tutti una buona istruzione e una formazione di
qualità. Il divario non si può colmare con azioni meramente endogene, serve qualche
leva dotata di risorse straordinarie e di attori qualificati per sbloccare sistemi
per molti versi inadeguati ad affrontare una domanda di buona formazione
professionale per un numero rilevante di persone giovani.
Forse è anche per questo che
Anpal, mediante risorse provenienti dal PON-IOG, intende promuovere nelle regioni
del Sud interventi ad alto impatto sociale e occupazionale al fine di incardinare
Centri di eccellenza in grado di fornire, specialmente nelle aree urbane, servizi
lungo tutta la filiera: dall’orientamento all’inserimento in percorsi di alternanza
scuola-lavoro o in forma duale; dalla formazione tecnico-professionale alle attività
di sostegno per la nascita e lo sviluppo di start up
imprenditoriali promosse da giovani. Interventi di dimensioni finanziarie rilevanti
tali da diventare volano per tutto un territorio e insieme costituire modelli a cui
agganciare una rinnovata filiera di agenzie formative. La novità sta nel fatto che
questi Centri di eccellenza dovrebbero nascere non solo attraverso la mano pubblica,
ma anche mediante l’apporto di capitali pazienti – nella fattispecie Fondazioni
bancarie o Fondazione con il Sud – o anche risorse provenienti dalle imprese del
territorio interessate a sviluppare il modello delle Academy del lavoro. Queste
risorse, associate agli investimenti del PNRR, potrebbero
¶{p. 134}fare la differenza e imprimere una svolta che oggi appare
lontana e improbabile. È pur vero che la sperimentazione duale ha fatto nascere
piccole attività formative di qualità anche capaci di contrastare, in parte, il
dilagante fenomeno degli abbandoni scolastici. Ma nessuna delle pur significative
esperienze raggiunge la soglia critica capace di smuovere l’inerzia del sistema
istituzionale e raggiungere un numero rilevante di giovani. Insomma, serve qualcosa
di esemplare ma radicato nel territorio, capace di mobilitare una pluralità di
risorse e anche di risvegliare vocazioni professionali altrimenti condannate
all’irrilevanza. Se non ora, quando? Potremmo dire, vista la straordinarietà del
tempo presente e delle risorse che l’UE mette a disposizione per i prossimi cinque
anni.
5.3. Misure di sostegno al ruolo formativo delle imprese
Il ponte tra scuola e lavoro
regge se vi sono due solidi pilastri: il tutor formativo e il tutor aziendale.
Mentre la prima figura è stata progressivamente definita dalle diverse agenzie
formative, sulla seconda regna ancora una rilevante incertezza. Sono entrambe però
fondamentali perché il ponte regga e il processo formativo possa prendere una
configurazione innovativa incentrata proprio sull’apprendimento on the
job. A tal fine – come in precedenza ricordato – nell’agosto del 2016
l’allora Italia lavoro (ora Anpal servizi) aveva lanciato un bando per attribuire ai
datori di lavoro che inserivano giovani in apprendistato di primo livello o in
alternanza rafforzata un sostegno per un importo massimo di 3.000 euro. La misura,
oltre non essere stata adeguatamente promossa, ha avuto una gestione alquanto
travagliata: prima una sospensione della stessa a metà del 2018, poi la scelta di
una nuova proroga con un nuovo bando, che però non è mai uscito. Certamente il non
aver compreso quanto fosse rilevante implementare adeguatamente questa scelta ha
alquanto raffreddato l’atteggiamento delle imprese nei confronti del duale. Va
tenuto conto che più del 90% degli inserimenti dei giovani avviene in micro e
piccole imprese che difficil¶{p. 135}mente possono distaccare un
loro collaboratore per seguire per circa 400-500 ore il giovane apprendista o in
alternanza. Dunque, se nel PNRR sarà confermato l’investimento prima richiamato,
l’efficacia dello stesso dipenderà molto anche dal sostegno che verrà dato alle
imprese per i tutor aziendali. È necessario che Anpal lanci un nuovo programma con
una dotazione di risorse FSE coordinata con il numero di giovani che entreranno nel
duale nei prossimi cinque anni, riconoscendo alle aziende un contributo pari a 5.000
euro per coprire, almeno parzialmente, i costi del distacco del tutor aziendale
dalle funzioni produttive. Analogamente attraverso i Fondi interprofessionali si
potrebbe finanziare una formazione apposita per i tutor aziendali in modo da
definirne bene le funzioni nell’ambito del processo formativo, che deve portare il
giovane non solo ad apprendere nuove competenze, ma anche a sapersi muovere
efficacemente in impresa e nel mercato del lavoro. L’investimento dell’impresa
avrebbe come riscontro la possibilità di selezionare, senza altri oneri, le persone
che vorrà poi stabilmente annoverare tra i propri collaboratori. In tal modo il
sistema duale diverrebbe non solo via originale per l’apprendimento, ma anche
strumento di politica attiva del lavoro.
5.4. Sviluppo della funzione e delle attività di «placement» dei CFP
La ricerca di Fondazione per la
Scuola condotta dal prof. Marini ha fatto emergere due dati importanti: primo, non
tutti i giovani sono pronti a un’esperienza formativa con il sistema duale; secondo,
l’individuazione dell’impresa in cui inserire e accompagnare il giovane diventa una
funzione di importanza decisiva per la riuscita del percorso, il conseguimento del
titolo e un rapido accesso al mercato del lavoro. Orientare il giovane e
accompagnarlo nei percorsi del duale e trovare l’impresa pronta ad accoglierlo
costituiscono un’area di funzioni innovative per gli operatori dei CFP o, per lo
meno, uno sviluppo qualitativo importante di attività preesistenti. Non a caso la
sperimentazione ha preso il via ¶{p. 136}proprio con un bando volto
a selezionare le agenzie formative che avessero una pratica pregressa di queste
funzioni. E le risorse messe a disposizione da Italia Lavoro erano finalizzate sia a
rafforzare i percorsi di orientamento del giovane, sia a sostenere in modo
particolare gli inserimenti in azienda mediante il contratto di apprendistato,
ovvero con la via duale che presentava maggior discontinuità rispetto al passato.
Ora, a sperimentazione conclusa, appare evidente dalla ricerca che questa funzione
va resa esplicita sia per riconoscere le effettive competenze necessarie, sia perché
venga codificata nell’organigramma dei CFP e altresì riconosciuta sul piano
contrattuale. Da qui nasce l’esigenza che quanto fatto nella fase iniziale della
sperimentazione venga replicato e meglio finanziato in una prospettiva di sviluppo
dell’apprendistato formativo. Ciò è tanto più necessario per migliorare la qualità
delle performance dei CFP già selezionati, ma ancor di più per le agenzie formative
e per le realtà regionali dove le funzioni di orientamento e
placement non sono né chiaramente individuate, né
riconosciute sul piano organizzativo e contrattuale.
Anche qui, sempre a fronte del
piano di investimenti previsti nel PNRR, servono risorse FSE aggiuntive per
orientare gli enti di formazione a investire nella preparazione degli operatori e a
inquadrare questa nuova figura professionale nel proprio organigramma. Solo in tal
modo l’esperienza di formazione in azienda, cioè in un ambiente del tutto diverso
dall’aula scolastica per orari, culture e modelli organizzativi, potrà non essere
ridotta a mero addestramento, ma valorizzata come leva formidabile per l’inserimento
lavorativo del giovane.
5.5. Mettere mano alla normativa: le riforme necessarie
Per uscire dalla nicchia e
sfuggire all’irrilevanza non si può non mettere mano rapidamente alla regolazione
dei principali strumenti di inserimento al lavoro dei giovani: tirocinio e
apprendistato. La prospettiva è l’apprendistato come unico e vero contratto di
formazione. Un obiettivo che ¶{p. 137}passa, sia attraverso la
revisione della normativa sui tirocini, che dell’apprendistato. Circa i tirocini si
potrebbe seguire una via analoga a quella francese, riducendo drasticamente la
possibilità di attivarne la fattispecie extracurricolare, legando la durata degli
stessi al tipo di mansione che si andrà a svolgere. E allo stesso tempo, fissare
l’obbligo per i tirocini curricolari (quelli che vengono attivati durante il
percorso di studi) di una retribuzione minima di 350-400 euro mensili. Questa
revisione porterebbe a rafforzare il sistema duale di istruzione-formazione, facendo
dell’apprendistato un vero contratto formativo finalizzato a ottenere, anche
lavorando, un titolo secondario o terziario. Oggi l’apprendistato, articolato su tre
livelli, è troppo macchinoso per poter essere facilmente utilizzato dalle imprese
che, in molti casi, anche per il minor costo e i minori vincoli, si affidano ai
tirocini. Inoltre, quello maggiormente scelto dalle imprese – l’apprendistato di
secondo livello – non è un vero contratto formativo, in quanto la formazione è
ridotta a 120 ore e non dà luogo al conseguimento di un titolo di studio. Ma poiché
non si fanno nozze con i fichi secchi, emerge anche la necessità di un investimento
di risorse per ridurre la contribuzione dovuta dal datore di lavoro e sostenere i
costi per i tutor aziendali. Sul versante delle scuole e delle agenzie formative
occorre poi destinare più risorse per avere moduli formativi flessibili e
compatibili con l’organizzazione delle imprese, introducendo la figura professionale
del tutor per l’orientamento e l’inserimento al lavoro.
In sostanza, dunque, il
rafforzamento del sistema duale di istruzione e formazione nei percorsi di IeFP, di
IFTS e di ITS e la revisione della normativa su tirocinio e apprendistato darebbero
forma a un investimento sui giovani come unica e vera garanzia di equità
generazionale.
5.6. L’innominato: l’apprendistato formativo
Quando tra il 2015 e il 2016
sono state scritte le norme che regolano il sistema duale di formazione e avviata la
sperimentazione, non ci si è resi conto (ed è un mio cruccio)
¶{p. 138}che il nuovo apprendistato appariva come un innominato o al
massimo aveva una definizione tecnico-residuale, conosciuto solo come di primo o di
terzo livello. In effetti quello indicato dalla normativa come di secondo livello
aveva un nome proprio («professionalizzante») e di fatto così era generalmente
chiamato e individuato. L’assenza di un nome proprio agli apprendistati che
corrispondono alla definizione europea della VET, ha contribuito non poco alla loro
irrilevanza o comunque alla loro scarsa conoscenza. Quando una cosa non è nominata
con un nome proprio, finisce per essere dimenticata. E così è stato. Anche lo stesso
PNRR, che pur assegna 600 milioni al rafforzamento del sistema duale, non nomina mai
l’apprendistato con la sua qualificazione specifica, come «formativo». Di qui la
scelta nella nuova normativa di chiamare l’apprendistato con il suo nome proprio, in
quanto la finalità specifica di questa singolare forma contrattuale è quella di far
conseguire un titolo di studio secondario e terziario con un percorso formativo in
aula e on the job. Ma non basta una revisione normativa. Serve
un’adeguata e accattivante campagna di comunicazione che faccia entrare nel
linguaggio del quotidiano questa accezione dell’apprendistato e consenta a tutti di
coglierne l’originale finalità. Qualcosa che consenta di far capire alle famiglie,
ai giovani, agli imprenditori e ai consulenti del lavoro, agli insegnanti e ai
formatori di utilizzare un termine semplice, comprensibile e dal significato
univoco.
Note