Ludovico Albert, Daniele Marini (a cura di)
La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c3
Abbiamo un’occasione unica per il paese di investimenti che guardano alle generazioni di domani. Si chiama PNRR. Nell’ultima versione sono state opportunamente inserite due schede programmatiche relative agli ITS e al duale in apprendistato. Per quest’ultimo si prevedono investimenti per 600 milioni in cinque anni, raddoppiando così le risorse dedicate al sistema duale. Ciò consentirebbe di inserire ulteriori 22.000 giovani, in età 15-18 anni, nei percorsi formativi di IeFP per il conseguimento della qualifica e del diploma professionale. La metà di questi dovrebbe andare in apprendistato di primo livello e la rimanente metà in alternanza rafforzata. Così avremmo anche il raddoppio dei giovani (+11.000) in apprendistato. Il 90% delle risorse verrebbe destinato alle Agenzie formative e il 10% a confermare le diverse agevolazioni contributive per le imprese. Solo mediante questa forma di duale avremmo così più del 5% dei giovani che complessivamente proseguono gli studi dopo l’obbligo. Se a questi si aggiungono i giovani che potrebbero essere coinvolti con le risorse del PNRR negli ITS o IFTS, potremmo forse quasi raggiungere la soglia del 20%, avvicinandoci significativamente alla media europea di giovani in VET.
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5.2. Centri di eccellenza di formazione e inserimento professionale nelle regioni del Sud

Troppo grande è ormai il divario nei sistemi di IeFP tra le diverse regioni. Ciò è particolarmente vero tra quelle del Nord e quelle del Sud. Nelle regioni dell’Italia centrale l’offerta formativa è sì diversificata, ma non è sideralmente lontana dai modelli consolidati dell’Italia settentrionale. Per cui salta agli occhi un evidente paradosso: nelle regioni dove è più alto l’abbandono scolastico e dove sono più numerosi i giovani Neet, l’offerta di IeFP è debole, frammentata, discontinua e spesso disconnessa dalle dinamiche del mercato del lavoro. Si è di fronte a una palese violazione del principio costituzionale che assicura a tutti una buona istruzione e una formazione di qualità. Il divario non si può colmare con azioni meramente endogene, serve qualche leva dotata di risorse straordinarie e di attori qualificati per sbloccare sistemi per molti versi inadeguati ad affrontare una domanda di buona formazione professionale per un numero rilevante di persone giovani.
Forse è anche per questo che Anpal, mediante risorse provenienti dal PON-IOG, intende promuovere nelle regioni del Sud interventi ad alto impatto sociale e occupazionale al fine di incardinare Centri di eccellenza in grado di fornire, specialmente nelle aree urbane, servizi lungo tutta la filiera: dall’orientamento all’inserimento in percorsi di alternanza scuola-lavoro o in forma duale; dalla formazione tecnico-professionale alle attività di sostegno per la nascita e lo sviluppo di start up imprenditoriali promosse da giovani. Interventi di dimensioni finanziarie rilevanti tali da diventare volano per tutto un territorio e insieme costituire modelli a cui agganciare una rinnovata filiera di agenzie formative. La novità sta nel fatto che questi Centri di eccellenza dovrebbero nascere non solo attraverso la mano pubblica, ma anche mediante l’apporto di capitali pazienti – nella fattispecie Fondazioni bancarie o Fondazione con il Sud – o anche risorse provenienti dalle imprese del territorio interessate a sviluppare il modello delle Academy del lavoro. Queste risorse, associate agli investimenti del PNRR, potrebbero {p. 134}fare la differenza e imprimere una svolta che oggi appare lontana e improbabile. È pur vero che la sperimentazione duale ha fatto nascere piccole attività formative di qualità anche capaci di contrastare, in parte, il dilagante fenomeno degli abbandoni scolastici. Ma nessuna delle pur significative esperienze raggiunge la soglia critica capace di smuovere l’inerzia del sistema istituzionale e raggiungere un numero rilevante di giovani. Insomma, serve qualcosa di esemplare ma radicato nel territorio, capace di mobilitare una pluralità di risorse e anche di risvegliare vocazioni professionali altrimenti condannate all’irrilevanza. Se non ora, quando? Potremmo dire, vista la straordinarietà del tempo presente e delle risorse che l’UE mette a disposizione per i prossimi cinque anni.

5.3. Misure di sostegno al ruolo formativo delle imprese

Il ponte tra scuola e lavoro regge se vi sono due solidi pilastri: il tutor formativo e il tutor aziendale. Mentre la prima figura è stata progressivamente definita dalle diverse agenzie formative, sulla seconda regna ancora una rilevante incertezza. Sono entrambe però fondamentali perché il ponte regga e il processo formativo possa prendere una configurazione innovativa incentrata proprio sull’apprendimento on the job. A tal fine – come in precedenza ricordato – nell’agosto del 2016 l’allora Italia lavoro (ora Anpal servizi) aveva lanciato un bando per attribuire ai datori di lavoro che inserivano giovani in apprendistato di primo livello o in alternanza rafforzata un sostegno per un importo massimo di 3.000 euro. La misura, oltre non essere stata adeguatamente promossa, ha avuto una gestione alquanto travagliata: prima una sospensione della stessa a metà del 2018, poi la scelta di una nuova proroga con un nuovo bando, che però non è mai uscito. Certamente il non aver compreso quanto fosse rilevante implementare adeguatamente questa scelta ha alquanto raffreddato l’atteggiamento delle imprese nei confronti del duale. Va tenuto conto che più del 90% degli inserimenti dei giovani avviene in micro e piccole imprese che difficil{p. 135}mente possono distaccare un loro collaboratore per seguire per circa 400-500 ore il giovane apprendista o in alternanza. Dunque, se nel PNRR sarà confermato l’investimento prima richiamato, l’efficacia dello stesso dipenderà molto anche dal sostegno che verrà dato alle imprese per i tutor aziendali. È necessario che Anpal lanci un nuovo programma con una dotazione di risorse FSE coordinata con il numero di giovani che entreranno nel duale nei prossimi cinque anni, riconoscendo alle aziende un contributo pari a 5.000 euro per coprire, almeno parzialmente, i costi del distacco del tutor aziendale dalle funzioni produttive. Analogamente attraverso i Fondi interprofessionali si potrebbe finanziare una formazione apposita per i tutor aziendali in modo da definirne bene le funzioni nell’ambito del processo formativo, che deve portare il giovane non solo ad apprendere nuove competenze, ma anche a sapersi muovere efficacemente in impresa e nel mercato del lavoro. L’investimento dell’impresa avrebbe come riscontro la possibilità di selezionare, senza altri oneri, le persone che vorrà poi stabilmente annoverare tra i propri collaboratori. In tal modo il sistema duale diverrebbe non solo via originale per l’apprendimento, ma anche strumento di politica attiva del lavoro.

5.4. Sviluppo della funzione e delle attività di «placement» dei CFP

La ricerca di Fondazione per la Scuola condotta dal prof. Marini ha fatto emergere due dati importanti: primo, non tutti i giovani sono pronti a un’esperienza formativa con il sistema duale; secondo, l’individuazione dell’impresa in cui inserire e accompagnare il giovane diventa una funzione di importanza decisiva per la riuscita del percorso, il conseguimento del titolo e un rapido accesso al mercato del lavoro. Orientare il giovane e accompagnarlo nei percorsi del duale e trovare l’impresa pronta ad accoglierlo costituiscono un’area di funzioni innovative per gli operatori dei CFP o, per lo meno, uno sviluppo qualitativo importante di attività preesistenti. Non a caso la sperimentazione ha preso il via {p. 136}proprio con un bando volto a selezionare le agenzie formative che avessero una pratica pregressa di queste funzioni. E le risorse messe a disposizione da Italia Lavoro erano finalizzate sia a rafforzare i percorsi di orientamento del giovane, sia a sostenere in modo particolare gli inserimenti in azienda mediante il contratto di apprendistato, ovvero con la via duale che presentava maggior discontinuità rispetto al passato. Ora, a sperimentazione conclusa, appare evidente dalla ricerca che questa funzione va resa esplicita sia per riconoscere le effettive competenze necessarie, sia perché venga codificata nell’organigramma dei CFP e altresì riconosciuta sul piano contrattuale. Da qui nasce l’esigenza che quanto fatto nella fase iniziale della sperimentazione venga replicato e meglio finanziato in una prospettiva di sviluppo dell’apprendistato formativo. Ciò è tanto più necessario per migliorare la qualità delle performance dei CFP già selezionati, ma ancor di più per le agenzie formative e per le realtà regionali dove le funzioni di orientamento e placement non sono né chiaramente individuate, né riconosciute sul piano organizzativo e contrattuale.
Anche qui, sempre a fronte del piano di investimenti previsti nel PNRR, servono risorse FSE aggiuntive per orientare gli enti di formazione a investire nella preparazione degli operatori e a inquadrare questa nuova figura professionale nel proprio organigramma. Solo in tal modo l’esperienza di formazione in azienda, cioè in un ambiente del tutto diverso dall’aula scolastica per orari, culture e modelli organizzativi, potrà non essere ridotta a mero addestramento, ma valorizzata come leva formidabile per l’inserimento lavorativo del giovane.

5.5. Mettere mano alla normativa: le riforme necessarie

Per uscire dalla nicchia e sfuggire all’irrilevanza non si può non mettere mano rapidamente alla regolazione dei principali strumenti di inserimento al lavoro dei giovani: tirocinio e apprendistato. La prospettiva è l’apprendistato come unico e vero contratto di formazione. Un obiettivo che {p. 137}passa, sia attraverso la revisione della normativa sui tirocini, che dell’apprendistato. Circa i tirocini si potrebbe seguire una via analoga a quella francese, riducendo drasticamente la possibilità di attivarne la fattispecie extracurricolare, legando la durata degli stessi al tipo di mansione che si andrà a svolgere. E allo stesso tempo, fissare l’obbligo per i tirocini curricolari (quelli che vengono attivati durante il percorso di studi) di una retribuzione minima di 350-400 euro mensili. Questa revisione porterebbe a rafforzare il sistema duale di istruzione-formazione, facendo dell’apprendistato un vero contratto formativo finalizzato a ottenere, anche lavorando, un titolo secondario o terziario. Oggi l’apprendistato, articolato su tre livelli, è troppo macchinoso per poter essere facilmente utilizzato dalle imprese che, in molti casi, anche per il minor costo e i minori vincoli, si affidano ai tirocini. Inoltre, quello maggiormente scelto dalle imprese – l’apprendistato di secondo livello – non è un vero contratto formativo, in quanto la formazione è ridotta a 120 ore e non dà luogo al conseguimento di un titolo di studio. Ma poiché non si fanno nozze con i fichi secchi, emerge anche la necessità di un investimento di risorse per ridurre la contribuzione dovuta dal datore di lavoro e sostenere i costi per i tutor aziendali. Sul versante delle scuole e delle agenzie formative occorre poi destinare più risorse per avere moduli formativi flessibili e compatibili con l’organizzazione delle imprese, introducendo la figura professionale del tutor per l’orientamento e l’inserimento al lavoro.
In sostanza, dunque, il rafforzamento del sistema duale di istruzione e formazione nei percorsi di IeFP, di IFTS e di ITS e la revisione della normativa su tirocinio e apprendistato darebbero forma a un investimento sui giovani come unica e vera garanzia di equità generazionale.

5.6. L’innominato: l’apprendistato formativo

Quando tra il 2015 e il 2016 sono state scritte le norme che regolano il sistema duale di formazione e avviata la sperimentazione, non ci si è resi conto (ed è un mio cruccio)
{p. 138}che il nuovo apprendistato appariva come un innominato o al massimo aveva una definizione tecnico-residuale, conosciuto solo come di primo o di terzo livello. In effetti quello indicato dalla normativa come di secondo livello aveva un nome proprio («professionalizzante») e di fatto così era generalmente chiamato e individuato. L’assenza di un nome proprio agli apprendistati che corrispondono alla definizione europea della VET, ha contribuito non poco alla loro irrilevanza o comunque alla loro scarsa conoscenza. Quando una cosa non è nominata con un nome proprio, finisce per essere dimenticata. E così è stato. Anche lo stesso PNRR, che pur assegna 600 milioni al rafforzamento del sistema duale, non nomina mai l’apprendistato con la sua qualificazione specifica, come «formativo». Di qui la scelta nella nuova normativa di chiamare l’apprendistato con il suo nome proprio, in quanto la finalità specifica di questa singolare forma contrattuale è quella di far conseguire un titolo di studio secondario e terziario con un percorso formativo in aula e on the job. Ma non basta una revisione normativa. Serve un’adeguata e accattivante campagna di comunicazione che faccia entrare nel linguaggio del quotidiano questa accezione dell’apprendistato e consenta a tutti di coglierne l’originale finalità. Qualcosa che consenta di far capire alle famiglie, ai giovani, agli imprenditori e ai consulenti del lavoro, agli insegnanti e ai formatori di utilizzare un termine semplice, comprensibile e dal significato univoco.
Note