Ludovico Albert, Daniele Marini (a cura di)
La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c3
Allargando lo sguardo all’universo molto frastagliato dei corsi post-qualifica e post-diploma, si entra in una dimensione del tutto diversa anche in termini quantitativi. Questi percorsi non sono codificati in un repertorio nazionale, quindi sono principalmente espressione dei fabbisogni dei mercati del lavoro territoriali. Sono perciò caratterizzati da
{p. 128}un’elevata eterogeneità, non solo per settore economico, ma anche per tipologia, durata e destinatari. Anche in questo caso i dati disponibili riguardano solo una parte delle regioni (nove) ed evidenziano lo svolgimento di 1.274 percorsi per un totale di 14.112 iscritti.
A ben guardare, esiste un’offerta formativa di specializzazione (IFTS + corsi post-qualifica + corsi post-diploma), non a carattere terziario, consolidata con numeri del tutto simili a quella degli ITS, ma che stenta ad avere visibilità e riconoscimento che pure meriterebbe. Molto più flessibile e meno costosa, rappresenta un’importante prospettiva – soprattutto in relazione al PNRR – per poter conseguire tre risultati: completare la filiera lunga della IeFP, diffondere un’offerta formativa più aggiornata al fabbisogno delle imprese (come evidenziato dai numerosi Rapporti Excelsior di Unioncamere) e promuovere l’utilizzo dell’apprendistato formativo.

4.3. Istituti tecnici superiori (ITS)

Nati nel 2010 con l’obiettivo di far sorgere una filiera formativa a carattere terziario ispirata al modello delle Fachhochschulen tedesche e delle Scuole universitarie gli IFTS sono solo percorsi; l’ITS ha un carattere istituzionale (è una fondazione) e prevede percorsi di carattere terziario non accademico.
L’istituto e i percorsi ITS sono stati regolamentati con durata biennale e triennale, con l’obbligo di prevedere almeno il 30% delle ore in stage aziendale e con almeno il 50% delle ore assegnate a docenti provenienti dal mondo del lavoro. È stata questa la risposta del sistema di istruzione, fortemente voluta da Confindustria, alla base di straordinari mutamenti tecnologici che stanno modificando strutturalmente il sistema socioeconomico italiano.
Con un alto tasso di occupazione (attorno all’80%), con capacità di cogliere le tendenze al cambiamento dei processi economici e con una significativa flessibilità, i percorsi ITS hanno conosciuto una forte legittimazione e {p. 129}un esteso riconoscimento. Ben presto tuttavia si è dovuto cominciare a fare i conti con alcuni limiti strutturali. In primis, il modesto numero di giovani coinvolti nell’offerta formativa: 13.381 nel maggio del 2019 (ultimo rapporto del Miur disponibile). Un dato che evidenzia ben tre criticità: la scarsità di risorse impiegate, la complessità del sistema organizzativo (strutturato in fondazioni con non pochi problemi di patrimonializzazione, di governance ed elevati costi di gestione) e l’irrisolta competitività con la laurea breve, titolo che mantiene una forte attrattività vista l’analoga durata in molti casi dei percorsi formativi. Ulteriore criticità riguarda i percorsi finanziati che nel 2019 sono stati 139, incardinati in 73 fondazioni, ciascuna con un proprio consiglio d’amministrazione. Visto che non si arriva mediamente a due percorsi per fondazione, si tratta di una macchina con tanti piloti (quante sono le componenti di gestione previste dalla legge: Università, Istituti superiori, Centri di formazione professionali, imprese), con tanti costi, ma con ben poca benzina per correre. Va altresì ridimensionato il dato circa il successo nell’inserimento lavorativo, poiché oltre il 60% dei contratti di lavoro stipulati al termine dei percorsi è costituito da tempi determinati o da lavoro autonomo in regime agevolato.
Nonostante la spinta esercitata dagli enti di formazione professionale per consentire l’accesso diretto dai percorsi di IeFP agli ITS dei propri iscritti, solo il 9% proviene dal sistema della IeFP, ovvero di giovani che hanno conseguito il diploma quadriennale, più un quinto anno frequentato o nel sistema di istruzione e di IFTS. Né sembra facile immaginare che venga accolta la proposta degli stessi enti di formazione professionale, rivolta a consentire l’accesso agli ITS con il semplice diploma professionale quadriennale, visto che gli ITS si configurano come formazione terziaria, con ammissione tramite la maturità quinquennale. Si deve ulteriormente aggiungere che gli esiti valutativi sull’intera offerta formativa degli ITS, evidenziano come solo il 53% dei percorsi supera la sufficienza e il 24% viene classificato con una valutazione problematica o critica. Se al proprio nascere questa offerta formativa rappresentava un’assoluta {p. 130}novità, oggi ci troviamo di fronte a una molteplicità di proposte. La vera svolta infatti si è avuta alla fine del 2015, con l’introduzione nel nostro ordinamento del sistema di formazione duale; tale novità ha sottratto agli ITS il primato di essere l’unico percorso di istruzione con apprendimento on the job.

4.4. L’alternanza scuola-lavoro

Infine merita di essere ricordata, pur non essendo un percorso duale che dà luogo a una qualifica o a un titolo secondario o terziario, l’alternanza scuola-lavoro, introdotta con il d.lgs. n. 77 nel 2005 come diritto per tutti gli studenti del secondo ciclo e poi estesa come quota obbligatoria (400 ore in azienda per gli studenti dell’ultimo triennio degli istituti tecnici e professionali e 200 per coloro che frequentavano i percorsi liceali) dalla Buona Scuola nel 2015 per il segmento di istruzione. Si tratta di un’innovazione che poneva finalmente termine alla cesura tra scuola e lavoro, tra formazione e impresa. Nel sistema scolastico la gestione di tale cambiamento è stata però segnata da molta improvvisazione e da risorse inadeguate, dando così fiato alle trombe di coloro che, per puro pregiudizio ideologico, giudicavano questa scelta come un tradimento delle finalità tipiche della scuola e un’occasione di sfruttamento dei giovani da parte delle imprese. Nonostante questo, la gran parte delle esperienze realizzate è stata del tutto positiva con studenti che finalmente incontravano il lavoro in un’azienda e imprese che cominciavano a riconoscere la necessità di diventare, oltreché luogo produttivo, anche esperienza formativa. L’avvento del governo rosso-verde ha fortemente ridimensionato questa innovazione, dimezzando le ore dedicate all’alternanza e riducendo altresì le risorse impiegate. Tale scelta non è stata più successivamente modificata, a testimonianza della difficoltà a riconoscere la necessità non solo di un ponte tra scuola e lavoro ma altresì di attribuire un valore educativo anche all’esperienza del lavoro.{p. 131}

5. Per uscire dalla nicchia

L’analisi fin qui condotta sulla sperimentazione del duale negli anni 2016-2018 ci consegna alcune conferme sul raggiungimento degli obiettivi di partenza e altresì alcune criticità che ostacolano il conseguimento di traguardi più ambiziosi.
Rispetto agli obiettivi centrati, vi è certamente il rafforzamento dei sistemi di IeFP, laddove esistenti, per effetto dell’ampliamento dell’offerta formativa duale che ha affiancato quella preesistente. In secondo luogo, la formazione duale si conferma come filiera di contrasto efficace alla dispersione scolastica e agli abbandoni, riportando al centro dei processi formativi la componente esperienziale dell’apprendimento. Infine con il duale migliora la transizione dalla scuola al lavoro, sia rispetto ai tempi di inserimento del giovane nel mercato del lavoro, sia nell’acquisizione di competenze professionali maggiormente richieste dalle aziende.
Circa le criticità, non si può non rilevare che la disomogeneità nell’offerta territoriale di IeFP resta ancora alquanto marcata. Nonostante i correttivi apportati dal Ministero del Lavoro nella ripartizione delle risorse in modo da sostenere le realtà regionali più deboli, ci sono ancora molte realtà territoriali fragili e incapaci di dar vita a un’offerta formativa stabile e qualificata. Allo stesso modo, in un sistema produttivo fatto per più del 90% da piccole e microimprese, la mancata conferma di premialità alle imprese che inseriscono giovani in apprendistato o in alternanza rafforzata ha di fatto rallentato alquanto la crescita numerica dei giovani coinvolti. Infine, una certa confusione e frammentarietà normativa ha indebolito le potenzialità che lo strumento può generare sia in termini di migliore acquisizione di soft skills che di abilità professionali dei giovani in formazione duale.
La via italiana al duale non può restare a lungo confinata in una nicchia. Occorre non accontentarsi di qualificate e originali sperimentazioni – come ben documenta la ricerca della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, condotta dal prof. Daniele Marini – per darsi traguardi più ambiziosi. Il confronto con la Germania resta impietoso. Mentre in Italia il numero dei giovani frequentanti corsi {p. 132}formativi duali – IeFP, IFTS e ITS – si attesta attorno al 7-8%, in Germania i giovani che conseguono un titolo di studio secondario o terziario in forma duale supera il 30%.
Per cui, se si vuole fuoriuscire da questa nicchia, servono scelte nette e coraggiose in termini di risorse, di impianto di strutture formative di eccellenza nelle regioni del Sud, di sostegni reali alle imprese specialmente quelle medio-piccole, di riconoscimento e sviluppo della funzione di placement per i CFP, di revisione della normativa circa le modalità di inserimento al lavoro dei giovani. Il tutto accompagnato da una qualificata e accattivante campagna di comunicazione che offra, in termini di senso comune, maggiore legittimazione a questa originale forma di apprendimento.

5.1. Le risorse

Abbiamo un’occasione unica per il paese di investimenti che guardano alle generazioni di domani. Si chiama PNRR. Nell’ultima versione sono state opportunamente inserite due schede programmatiche relative agli ITS e al duale in apprendistato. Per quest’ultimo si prevedono investimenti per 600 milioni in cinque anni, raddoppiando così le risorse dedicate al sistema duale. Ciò consentirebbe di inserire ulteriori 22.000 giovani, in età 15-18 anni, nei percorsi formativi di IeFP per il conseguimento della qualifica e del diploma professionale. La metà di questi dovrebbe andare in apprendistato di primo livello e la rimanente metà in alternanza rafforzata. Così avremmo anche il raddoppio dei giovani (+11.000) in apprendistato. Il 90% delle risorse verrebbe destinato alle Agenzie formative e il 10% a confermare le diverse agevolazioni contributive per le imprese. Solo mediante questa forma di duale avremmo così più del 5% dei giovani che complessivamente proseguono gli studi dopo l’obbligo. Se a questi si aggiungono i giovani che potrebbero essere coinvolti con le risorse del PNRR negli ITS o IFTS, potremmo forse quasi raggiungere la soglia del 20%, avvicinandoci significativamente alla media europea di giovani in VET.
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Note