La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c3
Allargando lo sguardo
all’universo molto frastagliato dei corsi post-qualifica e post-diploma, si entra in
una dimensione del tutto diversa anche in termini quantitativi. Questi percorsi non
sono codificati in un repertorio nazionale, quindi sono principalmente espressione
dei fabbisogni dei mercati del lavoro territoriali. Sono perciò caratterizzati da
¶{p. 128}un’elevata eterogeneità, non solo per settore economico, ma
anche per tipologia, durata e destinatari. Anche in questo caso i dati disponibili
riguardano solo una parte delle regioni (nove) ed evidenziano lo svolgimento di
1.274 percorsi per un totale di 14.112 iscritti.
A ben guardare, esiste
un’offerta formativa di specializzazione (IFTS + corsi post-qualifica + corsi
post-diploma), non a carattere terziario, consolidata con numeri del tutto simili a
quella degli ITS, ma che stenta ad avere visibilità e riconoscimento che pure
meriterebbe. Molto più flessibile e meno costosa, rappresenta un’importante
prospettiva – soprattutto in relazione al PNRR – per poter conseguire tre risultati:
completare la filiera lunga della IeFP, diffondere un’offerta formativa più
aggiornata al fabbisogno delle imprese (come evidenziato dai numerosi Rapporti
Excelsior di Unioncamere) e promuovere l’utilizzo dell’apprendistato formativo.
4.3. Istituti tecnici superiori (ITS)
Nati nel 2010 con l’obiettivo di
far sorgere una filiera formativa a carattere terziario ispirata al modello delle
Fachhochschulen tedesche e delle Scuole universitarie gli
IFTS sono solo percorsi; l’ITS ha un carattere istituzionale (è una fondazione) e
prevede percorsi di carattere terziario non accademico.
L’istituto e i percorsi ITS sono
stati regolamentati con durata biennale e triennale, con l’obbligo di prevedere
almeno il 30% delle ore in stage aziendale e con almeno il 50% delle ore assegnate a
docenti provenienti dal mondo del lavoro. È stata questa la risposta del sistema di
istruzione, fortemente voluta da Confindustria, alla base di straordinari mutamenti
tecnologici che stanno modificando strutturalmente il sistema socioeconomico
italiano.
Con un alto tasso di occupazione
(attorno all’80%), con capacità di cogliere le tendenze al cambiamento dei processi
economici e con una significativa flessibilità, i percorsi ITS hanno conosciuto una
forte legittimazione e ¶{p. 129}un esteso riconoscimento. Ben presto
tuttavia si è dovuto cominciare a fare i conti con alcuni limiti strutturali.
In primis, il modesto numero di giovani coinvolti
nell’offerta formativa: 13.381 nel maggio del 2019 (ultimo rapporto del Miur
disponibile). Un dato che evidenzia ben tre criticità: la scarsità di risorse
impiegate, la complessità del sistema organizzativo (strutturato in fondazioni con
non pochi problemi di patrimonializzazione, di governance ed
elevati costi di gestione) e l’irrisolta competitività con la laurea breve, titolo
che mantiene una forte attrattività vista l’analoga durata in molti casi dei
percorsi formativi. Ulteriore criticità riguarda i percorsi finanziati che nel 2019
sono stati 139, incardinati in 73 fondazioni, ciascuna con un proprio consiglio
d’amministrazione. Visto che non si arriva mediamente a due percorsi per fondazione,
si tratta di una macchina con tanti piloti (quante sono le componenti di gestione
previste dalla legge: Università, Istituti superiori, Centri di formazione
professionali, imprese), con tanti costi, ma con ben poca benzina per correre. Va
altresì ridimensionato il dato circa il successo nell’inserimento lavorativo, poiché
oltre il 60% dei contratti di lavoro stipulati al termine dei percorsi è costituito
da tempi determinati o da lavoro autonomo in regime agevolato.
Nonostante la spinta esercitata
dagli enti di formazione professionale per consentire l’accesso diretto dai percorsi
di IeFP agli ITS dei propri iscritti, solo il 9% proviene dal sistema della IeFP,
ovvero di giovani che hanno conseguito il diploma quadriennale, più un quinto anno
frequentato o nel sistema di istruzione e di IFTS. Né sembra facile immaginare che
venga accolta la proposta degli stessi enti di formazione professionale, rivolta a
consentire l’accesso agli ITS con il semplice diploma professionale quadriennale,
visto che gli ITS si configurano come formazione terziaria, con ammissione tramite
la maturità quinquennale. Si deve ulteriormente aggiungere che gli esiti valutativi
sull’intera offerta formativa degli ITS, evidenziano come solo il 53% dei percorsi
supera la sufficienza e il 24% viene classificato con una valutazione problematica o
critica. Se al proprio nascere questa offerta formativa rappresentava un’assoluta
¶{p. 130}novità, oggi ci troviamo di fronte a una molteplicità di
proposte. La vera svolta infatti si è avuta alla fine del 2015, con l’introduzione
nel nostro ordinamento del sistema di formazione duale; tale novità ha sottratto
agli ITS il primato di essere l’unico percorso di istruzione con apprendimento
on the job.
4.4. L’alternanza scuola-lavoro
Infine merita di essere
ricordata, pur non essendo un percorso duale che dà luogo a una qualifica o a un
titolo secondario o terziario, l’alternanza scuola-lavoro, introdotta con il d.lgs.
n. 77 nel 2005 come diritto per tutti gli studenti del secondo ciclo e poi estesa
come quota obbligatoria (400 ore in azienda per gli studenti dell’ultimo triennio
degli istituti tecnici e professionali e 200 per coloro che frequentavano i percorsi
liceali) dalla Buona Scuola nel 2015 per il segmento di istruzione. Si tratta di
un’innovazione che poneva finalmente termine alla cesura tra scuola e lavoro, tra
formazione e impresa. Nel sistema scolastico la gestione di tale cambiamento è stata
però segnata da molta improvvisazione e da risorse inadeguate, dando così fiato alle
trombe di coloro che, per puro pregiudizio ideologico, giudicavano questa scelta
come un tradimento delle finalità tipiche della scuola e un’occasione di
sfruttamento dei giovani da parte delle imprese. Nonostante questo, la gran parte
delle esperienze realizzate è stata del tutto positiva con studenti che finalmente
incontravano il lavoro in un’azienda e imprese che cominciavano a riconoscere la
necessità di diventare, oltreché luogo produttivo, anche esperienza formativa.
L’avvento del governo rosso-verde ha fortemente ridimensionato questa innovazione,
dimezzando le ore dedicate all’alternanza e riducendo altresì le risorse impiegate.
Tale scelta non è stata più successivamente modificata, a testimonianza della
difficoltà a riconoscere la necessità non solo di un ponte tra scuola e lavoro ma
altresì di attribuire un valore educativo anche all’esperienza del
lavoro.¶{p. 131}
5. Per uscire dalla nicchia
L’analisi fin qui condotta sulla
sperimentazione del duale negli anni 2016-2018 ci consegna alcune conferme sul
raggiungimento degli obiettivi di partenza e altresì alcune criticità che ostacolano il
conseguimento di traguardi più ambiziosi.
Rispetto agli obiettivi centrati, vi
è certamente il rafforzamento dei sistemi di IeFP, laddove esistenti, per effetto
dell’ampliamento dell’offerta formativa duale che ha affiancato quella preesistente. In
secondo luogo, la formazione duale si conferma come filiera di contrasto efficace alla
dispersione scolastica e agli abbandoni, riportando al centro dei processi formativi la
componente esperienziale dell’apprendimento. Infine con il duale migliora la transizione
dalla scuola al lavoro, sia rispetto ai tempi di inserimento del giovane nel mercato del
lavoro, sia nell’acquisizione di competenze professionali maggiormente richieste dalle
aziende.
Circa le criticità, non si può non
rilevare che la disomogeneità nell’offerta territoriale di IeFP resta ancora alquanto
marcata. Nonostante i correttivi apportati dal Ministero del Lavoro nella ripartizione
delle risorse in modo da sostenere le realtà regionali più deboli, ci sono ancora molte
realtà territoriali fragili e incapaci di dar vita a un’offerta formativa stabile e
qualificata. Allo stesso modo, in un sistema produttivo fatto per più del 90% da piccole
e microimprese, la mancata conferma di premialità alle imprese che inseriscono giovani
in apprendistato o in alternanza rafforzata ha di fatto rallentato alquanto la crescita
numerica dei giovani coinvolti. Infine, una certa confusione e frammentarietà normativa
ha indebolito le potenzialità che lo strumento può generare sia in termini di migliore
acquisizione di soft skills che di abilità professionali dei
giovani in formazione duale.
La via italiana al duale non può
restare a lungo confinata in una nicchia. Occorre non accontentarsi di qualificate e
originali sperimentazioni – come ben documenta la ricerca della Fondazione per la Scuola
della Compagnia di San Paolo, condotta dal prof. Daniele Marini – per darsi traguardi
più ambiziosi. Il confronto con la Germania resta impietoso. Mentre in Italia il numero
dei giovani frequentanti corsi ¶{p. 132}formativi duali – IeFP, IFTS e
ITS – si attesta attorno al 7-8%, in Germania i giovani che conseguono un titolo di
studio secondario o terziario in forma duale supera il 30%.
Per cui, se si vuole fuoriuscire da
questa nicchia, servono scelte nette e coraggiose in termini di risorse, di impianto di
strutture formative di eccellenza nelle regioni del Sud, di sostegni reali alle imprese
specialmente quelle medio-piccole, di riconoscimento e sviluppo della funzione di
placement per i CFP, di revisione della normativa circa le
modalità di inserimento al lavoro dei giovani. Il tutto accompagnato da una qualificata
e accattivante campagna di comunicazione che offra, in termini di senso comune, maggiore
legittimazione a questa originale forma di apprendimento.
5.1. Le risorse
Abbiamo un’occasione unica per
il paese di investimenti che guardano alle generazioni di domani. Si chiama PNRR.
Nell’ultima versione sono state opportunamente inserite due schede programmatiche
relative agli ITS e al duale in apprendistato. Per quest’ultimo si prevedono
investimenti per 600 milioni in cinque anni, raddoppiando così le risorse dedicate
al sistema duale. Ciò consentirebbe di inserire ulteriori 22.000 giovani, in età
15-18 anni, nei percorsi formativi di IeFP per il conseguimento della qualifica e
del diploma professionale. La metà di questi dovrebbe andare in apprendistato di
primo livello e la rimanente metà in alternanza rafforzata. Così avremmo anche il
raddoppio dei giovani (+11.000) in apprendistato. Il 90% delle risorse verrebbe
destinato alle Agenzie formative e il 10% a confermare le diverse agevolazioni
contributive per le imprese. Solo mediante questa forma di duale avremmo così più
del 5% dei giovani che complessivamente proseguono gli studi dopo l’obbligo. Se a
questi si aggiungono i giovani che potrebbero essere coinvolti con le risorse del
PNRR negli ITS o IFTS, potremmo forse quasi raggiungere la soglia del 20%,
avvicinandoci significativamente alla media europea di giovani in
VET.
¶{p. 133}
Note