Giorgio Chiosso, Anna Maria Poggi, Giorgio Vittadini (a cura di)
Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c6
Da qui il passaggio ai Piani dell’Offerta Formativa (POF) [22]
definiti in relazione ai contesti, alla domanda delle famiglie, alle caratteristiche dei soggetti coinvolti. Con i
{p. 139}POF sono venuti meno i «programmi ministeriali» definiti a livello centrale e si sono promosse le Indicazioni per il curricolo. Infatti, le Indicazioni si limitano ad alcune enunciazioni generali per l’orientamento delle scelte che vanno assunte, in autonomia, dalle scuole. In sostanza, si tratta di una profonda modificazione ordinamentale, che colloca nelle scuole le competenze di indirizzo, definizione, organizzazione, controllo e verifica dell’offerta formativa e dei propri risultati. Uno spostamento dal «centro pantocratore» che determina alla «scuola autonoma» che si autodetermina [23]
: «Il Piano è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia» [24]
.
L’idea di scuola autonoma è talmente affascinante da essere vera per antonomasia e dunque indiscutibile. Infatti, l’identità culturale delle istituzioni scolastiche, la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa, organizzativa, la comunità professionale, la comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, sono diventate espressioni sempre più presenti nei discorsi sulla scuola ideale e, di fatto, sempre più assenti nella scuola reale in quanto difficili da realizzare alle condizioni date. Per entrare nel merito prendiamo alcuni principi dell’organizzazione scolastica, che definiscono il processo di elaborazione di un curricolo [25]
:
1. principio di intenzionalità (le finalità e gli scopi da perseguire);
2. principio di organizzazione (la coerenza fra le diverse componenti);
3. principio di decisionalità (chi si pone come guida e prende le decisioni);{p. 140}
4. principio di socialità (la condivisione fra i soggetti coinvolti nell’elaborazione);
5. principio di selettività (le scelte che bisogna compiere);
6. principio di pubblicità (la comunicazione e la diffusione).
Assumere e realizzare questi principi nella definizione di un curricolo diviene un compito difficile e, in mancanza di autonomia, un compito impossibile [26]
.

5. La libera intraprendenza delle scuole

Sono degli incorreggibili ottimisti coloro che chiedono al Ministero di assumere quanto prima le proprie responsabilità di indirizzo e di controllo, creando le giuste condizioni di fattibilità, attraverso una riforma delle strutture portanti del sistema come l’autonomia scolastica, gli organi collegiali, il sistema di valutazione, il contratto dei docenti e dei dirigenti.
Proprio questa refrattarietà e rigidità del sistema ha portato le istituzioni scolastiche, in particolare le più organizzate, ad intraprendere in autonomia i percorsi che ritenevano più significativi e qualificanti per il proprio contesto. Difatti tutte le ultime innovazioni organizzative e didattiche, le stesse «Avanguardie educative» [27]
, non sono state promosse da sperimentazioni ministeriali, eppure si stanno diffondendo su tutto il territorio nazionale.
Un nuovo modo di intendere l’autonomia si sta facendo sistema. È un’intraprendenza nata liberamente nelle scuole, {p. 141}oramai diffusa e radicata, che non vede più il governo del sistema nel centralismo ministeriale, tetragono ai colpi di ventura [28]
, e nemmeno nell’autonomia funzionale decentrata che, di fatto, non ha mai visto una effettiva realizzazione oltre alle incombenze burocratiche passate dal Ministero alle scuole. Stiamo invece assistendo a scuole che escono dalla propria isola e si ritrovano in arcipelaghi, riunendosi intorno a una progettualità comune.
Un’intraprendenza con specifiche finalità e una propria organizzazione. In alcuni casi abbiamo protocolli di intesa, in altri casi convenzioni, in altri ancora statuti. A volte le scuole hanno costituito reti di scopo, altre volte hanno stretto associazioni, oppure si sono poste come centri di ricerca e formazione o addirittura sono entrate in cooperative o in fondazioni con il privato sociale. In alcune situazioni le adesioni a queste libere iniziative, connotate di senso, sono maggiori della presenza delle scuole, connotata territorialmente, all’interno degli Uffici scolastici regionali. In definitiva si è diffuso un fenomeno nuovo e inatteso, generato dalla necessità di governare i cambiamenti attraverso processi di innovazione didattica e organizzativa.
Le «reti di scuole» sono già normate nel Regolamento sull’autonomia scolastica [29]
:
Le istituzioni scolastiche possono promuovere accordi di rete o aderire ad essi per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali [...] L’accordo può avere a oggetto attività didattiche, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di formazione e aggiornamento [...] le istituzioni scolastiche possono promuovere e partecipare ad accordi e convenzioni per il coordinamento di attività di comune interesse che coinvolgono, su progetti determinati, più scuole, enti, associazioni del volontariato e del privato sociale.
In sintesi, c’è una grande apertura, con una pluralità di definizioni e di configurazioni ma, purtroppo, senza le neces{p. 142}sarie funzioni di gestione. Anzi alcuni aspetti già previsti dallo stesso Regolamento e relativi all’autonomia didattica e organizzativa (artt. 4 e 5) sono comunque di difficile applicazione e altri ancora (come la gestione finanziaria, del personale o degli edifici scolastici) implicano interessi troppo divergenti e confliggenti per essere introdotti. In definitiva, l’autonomia scolastica è in buona parte irrealizzata ma comunque è inadeguata rispetto all’intraprendenza potenziale delle scuole. La stessa Amministrazione non è riuscita a incanalare le libere iniziative delle scuole solo perché quotidianamente immersa nelle emergenze. Paradossalmente siamo di fronte a una situazione «fortunatamente» fuori controllo, generata dalla volontà di governare i cambiamenti da parte delle stesse scuole nonostante l’immobilismo del governo centrale.

6. Un’autonomia modificata e ampliata

Con le modifiche al titolo V della seconda parte della Costituzione prendeva istituzionalmente il via un vero e proprio «sistema delle autonomie», all’interno del quale le istituzioni scolastiche godevano di un grado di autonomia diverso rispetto allo Stato, alle regioni e agli enti locali. I poteri alle scuole non venivano concessi, ma riconosciuti, in quanto esse svolgono una specifica funzione sociale e la esercitano in un territorio in cui coesistono altre autonomie. Di fatto i tanti discorsi intorno all’autonomia scolastica non hanno fatto altro che creare una schizofrenia fra le buone intenzionalità del dichiarato e la contingenza della realtà. A tale riguardo la ricerca comparativa a livello internazionale ci documenta che in Italia i margini di autonomia sono alti nelle definizioni progettuali, ad esempio con riferimento al «curricolo» (cfr. par. 4), ma poi sono nulli per quanto riguarda gli effettivi poteri di gestione e sviluppo, ad esempio con riferimento all’autonomia finanziaria collegata agli aumenti salariali o all’autonomia gestionale collegata con la scelta dei docenti [30]
. In sostanza, a differenza degli altri paesi, mancano {p. 143}le leve più potenti per promuovere e governare il miglioramento. Ora, se si volesse aprire un cantiere sull’autonomia, a normativa vigente, vi sarebbero dei passaggi inesplorati nel d.p.r. 275/1999 che permetterebbero degli sviluppi particolarmente innovativi. Ad esempio l’art. 11 riporta:
Il Ministro della Pubblica istruzione, anche su proposta del Consiglio nazionale della pubblica istruzione (oggi Consiglio superiore della pubblica istruzione), del Servizio nazionale per la qualità dell’istruzione (oggi Sistema nazionale di valutazione) [...] promuove, eventualmente sostenendoli con appositi finanziamenti disponibili negli ordinari stanziamenti di bilancio, progetti in ambito nazionale, regionale e locale, volti a esplorare possibili innovazioni.
Inoltre all’art. 12 si ritrova che i contenuti dell’autonomia «possono essere progressivamente modificati ed ampliati dal Ministro della Pubblica istruzione con successivi decreti». In sostanza ci sono tutte le premesse per arrivare a una «autonomia modificata e ampliata».
Si dovrebbe innanzitutto concordare su un principio: l’autonomia per la scuola, come per le persone, deve essere una conquista. Infatti, la vera autonomia non è determinata dalla norma, bensì da intraprendenza, responsabilità, efficienza, efficacia e economicità [31]
all’interno di una organizzazione di persone che intenzionalmente si autodeterminano.
Pensiamo in particolare a una maggiore autonomia legata alle risorse professionali ed economiche, all’ambiente di apprendimento e al curriculum. Sappiamo che un’autonomia su questi aspetti innesta processi di innovazione e miglioramento con ottimi risultati nell’offerta formativa e negli apprendimenti; così è stato, con una certa analogia, nelle esperienze delle charter school nel sistema scolastico degli Stati Uniti, che godono di un sistema particolare di autonomia, e nelle esperienze delle academies del Regno Unito, che usufruiscono di finanziamento pubblico, ma con autonomia su risorse economiche, professionali, programmi
{p. 144}e organizzazione scolastica. Anche in Italia abbiamo delle scuole con statuti speciali (dunque è possibile), ma operano in situazioni particolari e sono in un numero talmente ridotto che non permettono nessuna lettura di impatto [32]
.
Note
[22] Con la legge 107/2015, art. 1, comma 14, il POF diventerà Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF). «Ogni istituzione scolastica predispone, con la partecipazione di tutte le sue componenti, il piano triennale dell’offerta formativa, rivedibile annualmente. Il piano è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia».
[23] A. De Toni e S. De Marchi, Scuole auto-organizzate: verso ambienti di apprendimento innovativi, Milano, Fabbri, 2017.
[24] D.p.r. 275/1999, art. 3, comma 1, Piano dell’offerta formativa.
[25] Vedi la rilettura dell’analisi del curricolo proposta da C. Scurati, in M. Castoldi, Curricolo per competenze: percorsi e strumenti, Roma, Carocci, 2013, p. 33.
[26] P. Watzlawick, Le ragioni dell’insuccesso non vanno dunque cercate nella impossibilità del compito ma piuttosto nella soluzione adottata per risolverlo, in J.H. Wekland e R. Fisch, Change, Milano, Astrolabio, 1974, p. 39.
[27] Attualmente le scuole all’interno di Avanguardie educative sono 1.119 (22 fondatrici, 34 capofila, 27 poli regionali, 1.070 adottanti). Le Avanguardie educative sono un movimento scolastico autonomo, supportato da INDIRE, che intende: «individuare, supportare, diffondere, portare a sistema pratiche e modelli educativi volti a ripensare l’organizzazione della Didattica, del Tempo e dello Spazio del “fare scuola” in una società della conoscenza in continuo divenire», http://www.indire.it/progetto/avanguardie-educative/.
[28] Noti versi di Dante, «Ben tetragono ai colpi di ventura» (Par. XVII, 24).
[29] Art. 7 del d.p.r. 8 marzo 1999, n. 275, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
[30] Cfr. Talis 2013, Teaching and Learning International Survey, Focus Italia 2014, tabella 2-8.
[31] Efficienza, efficacia ed economicità sono tipicamente citati come criteri di valutazione del buon andamento della Pubblica Amministrazione.
[32] Le scuole sperimentali in Italia sono tre: Città Pestalozzi di Firenze, Rinascita di Milano, Don Milani di Genova.