Giorgio Chiosso, Anna Maria Poggi, Giorgio Vittadini (a cura di)
Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c6
Questo approccio, per quanto possa essere condivisibile, pone al centro il tema dell’istruzione oggi e, in particolare, di come è possibile costruire conoscenza ai tempi delle tecnologie dell’informazione, ma lascia in disparte il tema educativo che pone invece il problema della selezione attraverso i valori di riferimento. Emblematica, a tale riguardo, è l’introduzione dell’ora di insegnamento scolastico dell’educazione civica [13]
che riaffida alla scuola finalità educative
{p. 134}in ambito sociale a cui aveva abdicato. Si sta passando, in modo consapevole o inconsapevole, da una scuola a cui era stato chiesto di educare attraverso la formazione a una scuola chiamata innanzitutto ad educare alla formazione, e alla formazione permanente, per lo sviluppo delle competenze di cittadinanza attiva e senza contrapposizioni fra istruzione ed educazione.
Infatti, l’idea di un’istruzione scolastica strettamente legata all’epistemologia delle discipline fondanti i saperi e di un’educazione familiare fortemente indirizzata verso i valori è culturalmente tanto insostenibile quanto impraticabile, sia perché le conoscenze oggi non sono più riconducibili esclusivamente alle mura scolastiche sia perché i valori non sono estranei alle conoscenze. Questo, per la scuola, non significa assumere le richieste che investono gli aspetti più disparati della vita degli studenti con l’intento di definire norme di comportamento, bensì integrarle nel percorso di formazione ed educazione della persona che, mentre apprende, è necessariamente all’interno di un contesto sociale e valoriale.
In questa prospettiva l’analisi della situazione in cui la scuola si colloca, la definizione delle priorità, la costruzione dell’offerta formativa, l’organizzazione del servizio, la progettazione didattica, la rilevazione dei risultati raggiunti, la rendicontazione sociale non sono astratte costruzioni artificiali, bensì passaggi fondamentali per avvicinare la complessa organizzazione scolastica alle persone che vivono qui e ora.

3. Le nuove consapevolezze

Dentro questo scenario proviamo a riassumere per punti alcune nuove consapevolezze [14]
che permettono le risposte alle domande precedenti.{p. 135}

3.1. Gli ambienti di vita degli studenti incidono in modo determinante e sempre maggiore sulla qualità del successo formativo

L’ambiente di vita con le sue risorse e la famiglia con le sue aspettative connotano fortemente gli esiti formativi ed educativi. La scuola, se lasciata da sola, non potrà mai raggiungere i risultati sollecitati dall’ambiente in quanto non dipendono esclusivamente dalla sua azione. È oramai una convinzione comune che l’apprendimento non è semplicemente determinato da insegnamenti efficaci e da dotazioni didattiche innovative, ma è fortemente condizionato dall’ambiente culturale, socioeconomico e familiare di cui la scuola è parte organica.

3.2. A parità di condizioni socioeconomiche gli ambienti di apprendimento fanno la differenza e determinano il successo o l’insuccesso formativo

Anche in condizioni di estrema difficoltà, determinate dall’ambiente sociale di appartenenza, abbiamo scuole che valorizzano le risorse a disposizione creando valore aggiunto e scuole che dissipano le risorse diventando esse stesse una parte del problema da risolvere. Sappiamo che la differenza è determinata in buona parte dalle persone, dalle motivazioni e dalle competenze professionali interne alla scuola, che contribuiscono a definire la relazione con l’ambiente di appartenenza. Gli studenti, le famiglie e la stessa comunità professionale e sociale percepiscono le diverse intenzionalità che determinano il clima scolastico e contribuiscono a rafforzarle, nel bene e nel male.

3.3. Il solo apprendimento cognitivo e il successo scolastico non sono predittori di successo formativo

I risultati nell’apprendimento sono importanti ma non sono determinanti come lo sono stati negli anni passati. {p. 136}Anzi, a parità di titolo di studio e disparità di valutazioni scolastiche, ha successo chi è motivato, coscienzioso, collaborativo, aperto. Allo stesso tempo i titoli di studio non sono una garanzia per le dimensioni collegate con la personalità, mentre quest’ultima è sempre più importante per il successo personale e sociale.

3.4. Le dimensioni cognitive e le dimensioni non cognitive sono interdipendenti e si modificano nel tempo anche grazie all’azione della scuola

I processi di insegnamento contribuiscono sia allo sviluppo delle competenze cognitive sia a rafforzare le cosiddette competenze non cognitive. Infatti i docenti, e le metodologie didattiche adottate, educano gli studenti ad essere attivi o passivi, aperti o chiusi, collaborativi o non collaborativi e questi aspetti, collegati con il carattere personale, sono improntati dalla scuola e si modificano nel tempo. Non c’è persona senza connessioni con l’ambiente di appartenenza e, proprio per questo motivo, l’ambiente di apprendimento [15]
è determinante nella costruzione del carattere e della personalità.
In sintesi, le istituzioni scolastiche sono sistemi organizzativi che, come le persone, hanno un carattere, sono sempre incluse in un ambiente socioeconomico e culturale che le «caratterizza» [16]
. La scuola con i suoi processi formativi ed educativi è l’istituzione pubblica che permette alle persone di impadronirsi del futuro e di contribuire al progresso del proprio ambiente. Per realizzare questo compito complesso, in questo tempo di repentini cambiamenti, determinante è rivalutare la «formazione armonica e integrale della persona» [17]
, {p. 137}che non può essere ridotta alla scelta di alcune competenze cognitive o non cognitive o ricondotta al successo scolastico.

4. Ordine e disordine [18]

Mentre chiediamo alla scuola di rileggere il proprio servizio con l’assunzione di nuove consapevolezze, rivedendo i propri scopi e rinnovando le metodologie, di fatto le norme e gli ordinamenti fondamentali dell’organizzazione scolastica non si sono modificati in modo organico, bensì in modo frammentato e confuso, creando disorientamento e refrattarietà nei confronti dei cambiamenti e delle stesse innovazioni che si intendevano promuovere. Da qui, vogliamo introdurre un’ulteriore consapevolezza, oramai radicata nel pensiero comune: i cambiamenti più innovativi non sono definiti dalla norma bensì dalle stesse scuole. Eventualmente la norma li assume e li diffonde e, in questo modo, i cambiamenti passano da movimenti spontanei a ordinamento per tutte le scuole sul territorio nazionale. Ma oggi i cambiamenti sono tanto repentini e le innovazioni tanto capillari che sono difficilmente riconducibili ad un «ordine» nazionale. Tant’è che l’Amministrazione centrale e periferica del Ministero si è, inevitabilmente, arroccata nella gestione dell’ordinaria emergenza. Ne consegue una governance paralizzata dal quotidiano senza attenzione ai processi innovativi in atto. Questo tema è talmente importante da essere dimenticato in quanto indicibile e inaudito per l’attuale politica scolastica.
A titolo esemplificativo analizziamo un aspetto cruciale per le istituzioni scolastiche come il «curricolo» [19]
, dai più conosciuto e definito a livello di comunicazione comune come il «programma scolastico». Veniamo da una struttura ordinamentale, ancora latente, in cui al Ministero spettava l’elaborazione e la definizione del «programma» nel suo {p. 138}complesso, con le finalità e i contenuti, mentre al singolo docente era affidata la sua applicazione. Lo stesso termine «programmi» aveva caratterizzato i programmi Ermini del 1955, i programmi della scuola media del 1979 e della scuola primaria nel 1985. Un paradigma organizzativo di tipo centralista che chiedeva alle scuole e ai docenti di essere sempre più corrispondenti a un modello nazionale a garanzia di uniformità ed equità, ma che nel tempo ha creato una frattura evidente fra scuola «ideale» e scuola «reale», in quanto l’offerta e i risultati nei territori non corrispondevano, di fatto, a quanto definito dal centro.
Possiamo ritrovare il cambiamento di questo paradigma nel processo di decentramento del sistema verso l’autonomia scolastica e la contestualizzazione dell’offerta formativa [20]
:
L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo [21]
.
Da qui il passaggio ai Piani dell’Offerta Formativa (POF) [22]
definiti in relazione ai contesti, alla domanda delle famiglie, alle caratteristiche dei soggetti coinvolti. Con i
{p. 139}POF sono venuti meno i «programmi ministeriali» definiti a livello centrale e si sono promosse le Indicazioni per il curricolo. Infatti, le Indicazioni si limitano ad alcune enunciazioni generali per l’orientamento delle scelte che vanno assunte, in autonomia, dalle scuole. In sostanza, si tratta di una profonda modificazione ordinamentale, che colloca nelle scuole le competenze di indirizzo, definizione, organizzazione, controllo e verifica dell’offerta formativa e dei propri risultati. Uno spostamento dal «centro pantocratore» che determina alla «scuola autonoma» che si autodetermina [23]
: «Il Piano è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia» [24]
.
Note
[13] Legge 20 agosto 2019, n. 92, Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica. Si veda A.M. Poggi, «Non cognitive skills», cittadinanza ed educazione civica, pp. 185-203 del presente volume.
[14] I quattro assunti riportati di seguito trovano solide documentazioni in letteratura e un’analisi puntuale svolta da INVALSI sulle scuole delle regioni Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia per il Portale del Ministero dell’Istruzione Superiamo i divari.
[15] Cfr. Ambiente di apprendimento, in Indicazioni nazionali per il curricolo.
[16] «I sistemi autopoietici sono operativamente chiusi e esattamente in questo senso essi sono sistemi autonomi». «La chiusura (dei sistemi sociali) è il presupposto dell’apertura», N. Luhmann, Organizzazione e decisione, cit., pp. 39 e 41.
[17] Cfr. Finalità della scuola, in Indicazioni nazionali per il curricolo.
[18] Ordine, disordine, organizzazione è il sottotitolo di Il metodo di E. Morin, Milano, Feltrinelli, 1983.
[19] Attualmente Indicazioni nazionali per il curricolo, Indicazioni nazionali per i licei e Linee guida per gli istituti tecnici e professionali.
[20] Legge 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa; d.p.r. 275/1999, Regolamento recante norme in materia di Autonomia delle istituzioni scolastiche ai sensi dell’art. 21, della legge 15 marzo 1999, n. 59.
[21] D.p.r. 275/1999, art. 1, comma 2, Natura e scopi dell’autonomia delle istituzioni scolastiche.
[22] Con la legge 107/2015, art. 1, comma 14, il POF diventerà Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF). «Ogni istituzione scolastica predispone, con la partecipazione di tutte le sue componenti, il piano triennale dell’offerta formativa, rivedibile annualmente. Il piano è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia».
[23] A. De Toni e S. De Marchi, Scuole auto-organizzate: verso ambienti di apprendimento innovativi, Milano, Fabbri, 2017.
[24] D.p.r. 275/1999, art. 3, comma 1, Piano dell’offerta formativa.