Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c3
Capitolo terzo Nella capitale culturale d’Europa
Abstract
Nell’estate del 1801, dalla sua abitazione parigina sita in rue de la Planche
il napoletano Nicola Basti, parlando di sé in terza persona, scriveva al ministro
della polizia Fouché per chiedergli il permesso di restare nella capitale francese
allo scopo di continuare a seguire i corsi dell’istituto di sordomuti dell’abate
Cucurron Sicard. Da ormai diversi mesi uno dei più assidui frequentatori delle
lezioni tenutesi in rue de Saint-Jacques, egli, giunto in Francia a seguito delle
vicende del 1799, motivava la sua richiesta con l’aspirazione ad apprendere nuove
tecniche d’insegnamento da diffondere in patria. Fondato negli intensi mesi della
primavera 1794 che avevano preceduto la svolta termidoriana, il giornale «La Décade
philosophique, littéraire et politique» era stato a lungo il punto di riferimento (e
di ritrovo) della corrente repubblicana conservatrice dei cosiddetti idéologues, i
quali si erano prima assestati, nella stagione direttoriale, su posizioni di difesa
della Costituzione dell’anno III e poi attivati, dopo la svolta del 18 brumaio,
nell’animare la principale voce critica, seppur moderata, nei confronti della
politica napoleonica. Anche in terra francese i primissimi anni del secolo segnarono
quell’importante passaggio da intellettuali-rivoluzionari a intellettuali-funzionari
di cui Umberto Carpi ha descritto in pagine memorabili tanto i tratti
politico-culturali quanto i drammi esistenziali. Se da un lato la presenza a Parigi
del Ministero degli esteri della Repubblica italiana costituì un punto di
riferimento importante per il mondo dell’emigrazione peninsulare, dall’altro
l’accesso ai suoi uffici si rivelò non sempre dei più facili e comunque
costantemente condizionato dal profilo dei soggetti in questione.
Parigi, questo miscuglio di miseria e di eleganza, di palazzi e di catapecchie, sordida e splendida come un teatro d’opera dalle quinte innumerevoli, una scena meravigliosa montata in uno scarico di rifiuti, il fasto ostentato delle Tuileries e le strade buie inverosimilmente affollate.
1. Scienza, letteratura e politica sulle rive della Senna
Nell’estate del 1801, dalla sua
abitazione parigina sita in rue de la Planche il napoletano Nicola Basti, parlando di sé
in terza persona, scriveva al ministro della polizia Fouché per chiedergli il permesso
di restare nella capitale francese allo scopo di continuare a seguire i corsi
dell’istituto di sordo-muti dell’abate Cucurron Sicard. Da ormai diversi mesi uno dei
più assidui frequentatori delle lezioni tenutesi in rue de Saint-Jacques (non a caso a
due passi dal suo primo alloggio oltralpe, poi abbandonato per ragioni economiche),
egli, giunto in Francia a seguito delle vicende del 1799, motivava la sua richiesta con
l’aspirazione ad apprendere nuove tecniche d’insegnamento da diffondere in patria:
Napolitain réfugié en France à cause des revers de son pays et demeurant à Paris depuis quelques temps, s’est occupé de s’instruire de quelque objet utile et, en mettant à profit ses talents, il a pourvu à sa subsistance. Dès le commencement de pluviôse dernier, après avoir témoigné au ministre de l’Intérieur le désir ¶{p. 94}d’apprendre la méthode de l’instruction des sourds-muets, il en fut autorisé à suivre les leçons particulières du citoyen Sicard et il est dans l’espérance de propager cette méthode en Italie, où elle est presque inconnue. Or, pour continuer le cours de ses travaux, il vous prie, citoyen ministre, de vouloir bien lui accorder la permission de rester à Paris [2] .
Del resto, da tempo Basti continuava
a ricevere dai suoi compagni napoletani installatisi a Milano lettere in cui gli si
comunicavano le difficoltà nell’ottenere impieghi in Lombardia, paese nel quale «si
languisce, non essendoci molte risorse», e in cui gli si consigliava di restare a Parigi
e «far di tutto per non abbandonar codesto felice soggiorno»
[3]
. Insomma, nel giro di due anni dal suo arrivo in Francia tale permanenza si
profilava sempre più come un’occasione potenzialmente sconvolgente, perché, seppur in un
contesto di difficoltà economiche, offriva opportunità fino a pochi mesi prima
impensabili e dava avvio a un percorso formativo non realizzabile nei luoghi di provenienza
[4]
. Pertanto, ci appaiono condivisibili le riflessioni con cui, nel suo studio
sul soggiorno in Francia di diversi scienziati napoletani, Fabio D’Angelo ha invitato a
focalizzare l’attenzione «sull’esilio politico vissuto non soltanto come momento di
sofferenza e di allontanamento dal suolo natio, ma anche come opportunità di istruzione
e di crescita professionale», ossia come «importante occasione per apprendere nuove
conoscenze, oppure per consolidare quelle già acquisite»
[5]
.
In questo discorso, il ruolo di
Parigi risulta quanto mai centrale, non solo perché in quegli anni vi confluirono
numerosi di quei rifugiati peninsulari che nei primi mesi dell’esilio si erano
installati nelle città del sud-est, ma anche perché la capitale stava oramai diventando
l’epicentro di ¶{p. 95}un mondo in mutamento, il luogo di attrazione nel
quale continuavano a giungere cittadini di diversa provenienza e con varie competenze
[6]
. Cosicché, agli esuli «classici» arrivati in Francia nel 1799 e poi lesti a
prolungare il proprio soggiorno per sfruttare le possibilità professionali offerte da
tale contesto si sarebbero aggiunti nel corso del tempo anche altri italiani, che spesso
finirono con il trovarsi a frequentare gli stessi luoghi di ritrovo dei loro
connazionali.
Non a caso, quel Basti che agli
albori del secolo chiedeva di restare in Francia per seguire i corsi dell’abate Sicard,
a Parigi sarebbe rimasto per tutta la vita facendosi apprezzare finanche dalla
sospettosa polizia di Fouché, che lo avrebbe descritto quale «homme estimable»,
segnalando come egli avesse «vécu à Paris donnant des leçons de langue et de musique et
tachant de cultiver son esprit pour la littérature»
[7]
. Proprio nella capitale francese egli sarebbe morto nel lontano 1843, dopo
essere stato a lungo un punto di riferimento dell’emigrazione meridionale ed essersi non
poco impegnato nel facilitare gli scambi linguistici fra Italia e Francia. Ad esempio,
nel settembre 1814 si sarebbe attivato per inviare l’importo del patrimonio del defunto
prete Gregorio Granata (come lui giunto in Francia dopo le vicende rivoluzionarie) al di
lui fratello Carlo, ai tempi funzionario murattiano in Basilicata
[8]
. Dieci anni più tardi, ancora, avrebbe aiutato il siciliano Scrofani nella
pubblicazione della sua Dominazione degli stranieri in Sicilia,
opera che questi avrebbe dato alle stampe nel 1824 per l’editore parigino Anthelme Boucher
[9]
. ¶{p. 96}Inoltre, nel 1838, dopo aver effettuato diverse
traduzioni di testi latini, avrebbe pubblicato egli stesso un Gran Dizionario
italiano-francese e francese-italiano di oltre 1.300 pagine e per il
quale aveva ottenuto un sostegno governativo
[10]
.
D’altronde, il caso di Basti fu
tutt’altro che isolato, perché in quei primi anni del nuovo secolo furono numerosi gli
esuli che optarono per la scelta di prolungare la permanenza parigina al fine di
cogliere le opportunità offerte dal nuovo contesto. Ad esempio, nel dicembre 1802 il
calabrese Michele Carnevale, altro esule arrivato in Francia nel 1799, dopo essersi
installato in rue Basse Porte Saint Denis e aver avviato dei corsi di lingua italiana,
chiedeva al ministro Régnier la definitiva residenza a Parigi, rivendicando «son
occupation de montrer la langue» e sottolineando come «depuis trois ans qu’il est ici,
son attachement au gouvernement et l’estime de ses concitoyens sont garantie de ses sentiments»
[11]
. Il piemontese Michele Buniva, invece, avrebbe successivamente fatto ritorno
in patria, ma le sue competenze mediche acquisite in qualità di professore
dell’Università di Torino, associate a un profilo politico che gli era valso
l’inclusione nella lista degli «hommes qui ont bien mérité de la liberté», gli permisero
una rapida integrazione nelle istituzioni culturali del tempo, tanto che già nella
primavera 1800, dopo esser stato «incorporé au Lycée de Grenoble» e poi nominato fra i
componenti delle Sociétés Savantes di Lione, otteneva incarichi
d’insegnamento presso la prestigiosa scuola veterinaria della Maison d’Alfort
[12]
.
In un’altra celebre istituzione
scientifica, il Muséum d’Histoire naturelle, ottenne l’incarico di
aide-naturaliste¶{p. 97} l’esule pugliese
Matteo Tondi e proprio tale funzione, poi svolta in qualità di assistente dei
mineralogisti Déodat de Dolomieu e René Just Haüy, gli consentì di ottenere
l’autorizzazione a restare a Parigi. Per il rilascio di tale permesso si era molto
attivato il direttore del Muséum in persona, ossia l’ex convenzionale Antoine Fourcroy
[13]
, il quale sin dal novembre 1800 lo raccomandò a Fouché descrivendolo come
«habile minéralogiste» e dicendosi convinto che «la France lui doit protection»
[14]
. Ma le istituzioni francesi non furono le uniche a manifestare interesse nei
confronti di Tondi, in quanto a Parigi una simile attenzione gli fu rivolta anche dalle
autorità della Repubblica cisalpina prima e italiana poi
[15]
. Il ministro degli esteri Marescalchi, infatti, riferiva al vicepresidente
Melzi che, pur non conoscendolo di persona, aveva sentito sul suo conto numerosi
«elogi», tanto da valutare «l’acquisto del Tondi per un vero tesoro, giacché alle
immense cognizioni ch’egli possiede per la scienza in generale, egli conosce i modi
particolari di trattare i metalli da lui appresi in Ungheria e Iscozia, cosa che lo
renderebbe assai utile alla Repubblica»
[16]
. In via meno ufficiale si muoveva anche l’esule piacentino Giunio Poggi, il
quale scriveva all’amico Francesco Reina a Milano per chiedergli
quali sono i disposti presi dal governo in favore del detto Tondi, mineralogista celebre in Europa, di nascita napoletano, che Marescalchi raccomandò per impiegarlo in una scuola di miniere. Quest’uomo che può dare un nuovo ramo di finanze alla Cisalpina non dev’essere da noi trascurato, egli è grande, onesto e patriota [17] .
L’interesse di parte cisalpina per
il pugliese Tondi ci appare un elemento di grande rilevanza perché attesta, al
¶{p. 98}di là del singolo caso del mineralogista di San Severo (che
comunque sarebbe rimasto a Parigi ancora un decennio prima di far ritorno in patria solo
nel 1811), come proprio la continuazione di un soggiorno nato come esilio avrebbe
permesso la conoscenza fra uomini accomunati da lingua e convinzioni politiche, ma
provenienti da entità statuali diverse. L’impegno nella Parigi consolare, pertanto,
consentì loro di lavorare a diretto contatto con un personale (non solo francese) fino
ad allora sconosciuto e di farsi apprezzare anche da uomini che, pur dalla capitale
transalpina, lavoravano per la causa italiana. La continuazione di quel soggiorno,
insomma, era tutt’altro che il segno di un generale disinteresse nei confronti della
situazione peninsulare, perché in quel contesto si potevano apprendere competenze
sfruttabili anche in patria e da quel contesto si dovevano attingere forze valide per
l’assestamento della politica napoleonica nella penisola.
Note
[1] L. Aragon, La settimana santa, Milano, Edizioni Settecolori, 2022, p. 172.
[2] ANF, F/7, cart. 10843/A, dr. Nicolas Basti.
[3] A.M. Rao, Esuli. L’emigrazione politica italiana in Francia (1792-1802), Napoli, Guida, 1992, pp. 473-474.
[4] P. Moulinier, Les étudiants étrangers à Paris au XIXe siècle. Migrations et formation des élites, Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2012.
[5] F. D’Angelo, Dal Regno di Napoli alla Francia. Viaggi ed esilio fra Sette e Ottocento, Napoli, Dante e Descartes, 2018, pp. 32-33.
[6] Sulla costruzione di Parigi in quegli anni si rimanda a: M. Gribaudi, Paris ville ouvrière: une histoire occultée, 1789-1848, Paris, Le Grand livre du mois, 2014; P. Mansel, Paris, capitale de l’Europe, 1814-1852, Paris, Perrin, 2013; B. Belhoste, Paris savant. Parcours et rencontres au temps des Lumières, Paris, Armand Colin, 2011; A. Lilti, Le Monde des salons. Sociabilité et mondanité à Paris au XVIII siècle, Paris, Fayard, 2005; D. Roche (a cura di), La ville promise. Mobilité et accueil à Paris, fin XVIIe-début XIXe siècle, Paris, Fayard, 2000.
[7] ANF, F/7, cart. 6474.
[8] ANF, MC/ET/LXII, cart. 811, Inventaire après décès de Grégoire Granata (8/09/1814).
[9] S. Scrofani, Della dominazione degli stranieri in Sicilia, Paris, Boucher, 1824.
[10] ANF, F/17, cart. 3115/1.
[11] ANF, F/7, cart. 10844/A, dr. Michel Carnevale.
[12] ANF, F/7, cart. 10843/D, dr. Michel Buniva. Nel novembre 1802, a conferma dell’intreccio fra impegno politico e competenze scientifiche che caratterizzava il suo profilo, una nota della polizia lo descriveva come «un des plus forts partisans de ce que l’on nomme la Ligue italienne. On le regarde comme d’autant plus dangereux qu’il a toujours feint le plus grand attachement au gouvernement français. Il passe pour très savant et on le croit lié avec tous les savants de France». A. Aulard (a cura di), Paris sous le Consulat, Paris, Cerf, 1906, vol. 3, pp. 371-372.
[13] Sul ruolo del Muséum in quegli anni vedi P.-Y. Lacour, La République naturaliste. Collections d’histoire naturelle et Révolution française, 1789-1804, Paris, Muséum national d’Histoire naturelle, 2014.
[14] ANF, F/7, cart. 3327, dr. Tondy.
[15] D’Angelo, Dal Regno di Napoli alla Francia, cit., pp. 115-121.
[16] C. Zaghi (a cura di), I carteggi di Francesco Melzi D’Eril duca di Lodi, Milano, 1960, vol. 4, p. 16.
[17] BNF, Manuscripts Italiens, Fonds Custodi, cart. 1559, dr. Poggi, ff. 76-77.