Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c2
Si trattava, dunque, dei disperati tentativi di un uomo che, di fronte all’incalzante evolvere di eventi che prendevano sempre più la direzione opposta a quella auspicata, provava accanitamente a giocare tutte le carte possibili. La loro
{p. 90}importanza, pertanto, più che nelle concrete conseguenze sullo scenario del tempo, sta nel permettere di delineare il pensiero politico e le ambizioni militari del suo autore e nel mostrare come progetti e contatti che questi aveva avviato nella Francia consolare ebbero echi e ripercussioni anche nell’Europa imperiale.
Ad ogni modo, del gruppo attivo nella Parigi del 1802 fu Fiore l’unico ad avere un destino diverso. Infatti, se Moliterno, Belpulsi e Austen, dopo essere tornati in libertà, ripresero a tramare anche nel 1806, l’avvocato casertano avrebbe concluso il suo confino nella provincia francese solo nella primavera del 1809, nonostante il suo nome fosse stato l’unico a non esser comparso sulla stampa francese. Eppure, egli non mancò di far sentire la propria voce protestando a più riprese contro la prolungata detenzione, prima sottolineando con stizza dal carcere parigino come, non essendosi «jamais mêlé activement des troubles politiques», il suo profilo fosse stato sempre fedele alla Francia, poi facendo notare con amarezza dal confino di Chablis come, ancora nel 1805, fosse il solo degli implicati nella congiura a non essere in libertà [53]
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Inoltre, al danno della prolungata detenzione (seppur in confino) si sarebbe aggiunta, nel 1806, la beffa di vedersi respinte le nuove richieste di far rientro in patria proprio a causa delle riavviate trame cospirative degli ex compagni. Infatti, quando l’occupazione francese del Regno di Napoli dischiuse nuove speranze di rimpatrio per gran parte dei rifugiati meridionali, anch’egli, «réduit à la plus extrême {p. 91}détresse», provò ad approfittare della mutata situazione per essere trasferito nella città partenopea e così ottenere in un sol colpo la tanto agognata libertà e il ritorno in patria. Tuttavia, nonostante l’iniziale approvazione della sua domanda, l’ordine fu a stretto giro revocato proprio «sous le motif que le prince Moliterno Pignatelli continuait les menées sous le nouveau nom de Marsiconovo» [54]
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D’altronde, i rapporti sul conto di Fiore, da tempo considerato una «tête ardente», continuavano a essere negativi anche a Chablis, dove veniva segnalato per la sua «fréquentation [...] suspecte» con alcuni uomini del posto giudicati «fort peu disposés en faveur du gouvernement». Non a caso, nei brevi giorni dell’ottobre 1806 intercorsi fra l’ordine di scarcerazione e la relativa revoca, il ministro della giustizia Régnier si vide recapitare diverse proteste contro la sua iniziale decisione. Innanzitutto, una denuncia anonima informava che «l’Empereur n’a pas de plus grand ennemi, le gouvernement de conspirateur plus adroit, la société d’homme plus immoral et plus dangereux». In seguito, interveniva anche il prefetto della Yonne, il quale, dopo aver descritto Fiore come un «individu qu’il importe de surveiller et qu’il serait dangereux de laisser retourner à Naples», non nascondeva la sua convinzione secondo cui «ce serait une imprudence de l’envoyer à Naples, [car] si dans ce moment il est de bonne foi, à la première occasion favorable il changerait d’avis» [55]
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Pertanto, dall’occupazione napoleonica del Regno di Napoli Fiore non riuscì a ricavare nient’altro che un modesto trasferimento a Digione, avvenuto ai primi di dicembre del 1806. Qui avrebbe trascorso ancora oltre due anni di confino prima di essere finalmente messo in libertà da un provvedimento del ministro della polizia Fouché sollecitato dal suo omologo a Napoli Saliceti. Cosicché, solo nell’aprile del 1809 otteneva finalmente il rilascio del passaporto per {p. 92}rendersi in Toscana in qualità di segretario del generale Maurizio Fresia. Da quel momento, tuttavia, Fiore non avrebbe mancato di calcare nuovamente il suolo di Francia, dove durante la Restaurazione si sarebbe fatto apprezzare nei salotti dell’intellettualità liberale per poi finire i suoi giorni nel lontano novembre 1848 nella sua abitazione parigina sita in boulevard Poissonnière [56]
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Proprio in tali ambienti, del resto, avrebbe avuto modo di conoscere, sin dal 1821, Marie-Henri Beyle, meglio noto sotto lo pseudonimo di Stendhal, con il quale strinse una solida amicizia [57]
. Come avrebbe poi riferito Benedetto Croce in un breve studio dedicato al rapporto fra i due, lo scrittore francese sarebbe stato non poco affascinato dalla figura di questo ex avvocato napoletano che discettava con competenza di Voltaire e che raccontava di una sua lontana «conspiration pour livrer le port de Naples aux Anglais» [58]
. Dunque, sembra più che plausibile l’ipotesi avanzata da Croce secondo cui proprio la figura di Fiore avrebbe ispirato Stendhal nel delineare i tratti di uno dei personaggi del suo capolavoro più conosciuto, Le rouge et le noir, ossia il conte d’Altamira. Nel romanzo, dato alle stampe nel 1830, si parla infatti di un nobile napoletano dai modi eleganti e dalle idee liberali che il protagonista Julien Sorel incontrò nei salotti parigini e che in tali ambienti era molto conosciuto per via di una strana vicenda, la «storia della sua cospirazione mancata, ridicola, assurda» [59]
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Note
[53] A proposito delle sue convinzioni politiche, il 18 marzo 1803 scriveva dal Temple: «Si j’ai conservé mon sang froid dans les temps le plus critiques, comment pouvais-je désirer des nouveaux délires quand Bonaparte a dit: la révolution est finie. Je déclare que je ne sais pas si M. Moliterno avait des projets en passant en Angleterre. Il me semble que ce n’est pas en Angleterre qu’on va conspirer contre Naples: mais dans l’hypothèse qu’il est dans l’intention dont on l’accuse, il connaît trop bien qu’il n’aurait pas trouvé en moi un approbateur. Il connaît d’abord mon antipathie pour la Nation anglaise, que je déteste parce qu’elle me fit injustement arrêter à l’époque de la contre-révolution de Naples, parce que c’est à elle que mon Pays doit ses malheurs». ANF, F/7, cart. 6319/B, dr. Fiore.
[54] ANF, F/7, cart. 6319/B, dr. Fiore, Nota della Divisione di sicurezza generale (Parigi, 22/11/1806).
[55] ANF, F/7, cart. 6319/B, dr. Fiore, Lettera anonima (Auxerre, 25/10/1806); Lettera del prefetto della Yonne (Auxerre, 30/10/1806).
[56] ANF, MC/ET/X, cart. 1206, Dépôt de testament de Dominique Joseph Di Fiore (2/11/1848).
[57] L’amicizia fra i due è confermata dallo stesso Stendhal, che all’«ottimo Di Fiore» dedicò diversi passaggi della sua autobiografia, ossia la Vie de Henry Brulard.
[58] B. Croce, L’amico napoletano dello Stendhal: «Monsieur di Fiore», in «La Critica», 17, 1919, pp. 51-59.
[59] Stendhal, Le rouge et le noir, Paris, Levasseur, 1830; trad. it. Il rosso e il nero, Torino, Einaudi, 1946, p. 293.