Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c3
L’interesse di parte cisalpina per il pugliese Tondi ci appare un elemento di grande rilevanza perché attesta, al
{p. 98}di là del singolo caso del mineralogista di San Severo (che comunque sarebbe rimasto a Parigi ancora un decennio prima di far ritorno in patria solo nel 1811), come proprio la continuazione di un soggiorno nato come esilio avrebbe permesso la conoscenza fra uomini accomunati da lingua e convinzioni politiche, ma provenienti da entità statuali diverse. L’impegno nella Parigi consolare, pertanto, consentì loro di lavorare a diretto contatto con un personale (non solo francese) fino ad allora sconosciuto e di farsi apprezzare anche da uomini che, pur dalla capitale transalpina, lavoravano per la causa italiana. La continuazione di quel soggiorno, insomma, era tutt’altro che il segno di un generale disinteresse nei confronti della situazione peninsulare, perché in quel contesto si potevano apprendere competenze sfruttabili anche in patria e da quel contesto si dovevano attingere forze valide per l’assestamento della politica napoleonica nella penisola.
A tal proposito, emblematica risulta la figura di quel Poggi che si era attivato per far avere a Tondi un incarico a Milano, in quanto il suo impegno parigino, seppur articolatosi in più sfumate modalità culturali, continuò a essere molto legato alla lotta politica del tempo. Infatti, già nel febbraio 1802, ossia a un solo mese di distanza dall’istituzione della Repubblica italiana, egli scriveva all’amico Reina per spiegargli come la sua intenzione di restare in Francia nascesse dalla presa d’atto della necessità di una «persona in Parigi che corrisponda costà per oggetti della più alta importanza». Di conseguenza, gli chiedeva di attivarsi a Milano affinché potesse «servire alla Repubblica pei progressi delle scienze e delle arti», perché «il più gran bene e reale che possa farsi alla Repubblica italiana è quello di promuovervi le scienze e arti utili, senza di cui invano si ha ad aspettare la prosperità e l’indipendenza» [18]
. Parole, queste, che attestano come tale personale fosse animato dalla consapevolezza dell’utilità che l’impegno culturale poteva avere nel destino politico d’Italia. Del resto, Poggi ribadiva il concetto ancora qualche mese più {p. 99}tardi, quando, in maggio, informava l’amico di voler restare sulle rive della Senna «avendo intrapreso alcuni corsi al Collegio di Francia ed al giardino delle piante» e lo invitava nuovamente a fargli avere «dal governo una commissione (sempre relativa a scienze ed arti)» che avrebbe costituito per lui uno «stimolo tale da soddisfare tutte le intenzioni del governo e i bisogni della patria» [19]
.
In quelle stesse lettere, inoltre, Poggi informava Reina della sua intenzione di avviare un «progetto che non solo al nostro paese, ma a tutta l’Italia può essere più che utile», ossia la fondazione di un «giornale letterario» da redigere a Parigi e far stampare a Milano. Per la cronaca, il progetto non sarebbe andato in porto, dato che il giornale (che si sarebbe dovuto chiamare l’«Indicatore generale» e avrebbe dovuto concentrarsi sulla descrizione della più recente letteratura francese) non trovò alcuno stampatore disposto a sostenere i costi dell’impresa, ma ciò che qui preme sottolineare è che l’iniziativa nasceva dalla convinzione dell’opportunità di tenere insieme impegno culturale e militanza politica. Infatti, non solo tale giornale avrebbe avuto il non trascurabile merito di far conoscere dall’altro lato delle Alpi la letteratura di parte francese, ma poi avrebbe anche dovuto permettere, attraverso un escamotage editoriale, di veicolare più marcati propositi politici. Stando alle sue intenzioni iniziali segretamente confidate all’amico, Poggi si proponeva di accompagnare il periodico, «per non farlo proibire in certi paesi d’Italia», con un «Bollettino di Supplemento» che, concretamente redatto da egli stesso ma da presentare come «scritto da altra mano», avrebbe dovuto contenere «articoli di riserva, cioè notizie di opere che possono qui uscire in materie di politica e di culto, scritte con istorica libertà» [20]
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Anche per questo, non stupisce che il democratico Poggi mai avrebbe ottenuto a Parigi i tanto ambiti incarichi culturali e che ad avversare la sua nomina fosse soprattutto, {p. 100}da Milano, il moderato vicepresidente Melzi. Questi, ancora nel febbraio 1803, ribadiva al ministro Marescalchi, che pur aveva perorato la causa del piacentino, un netto rifiuto nei confronti di qualsiasi ipotesi di un suo inserimento nelle istituzioni italiane, motivando tale scelta con la necessità di emarginare le figure ancora troppo connotate politicamente e per nulla propense ad abbandonare i precedenti sogni unitari:
Quanto al Poggi, voi lo conoscete assai bene giacché frequentava molto la vostra casa costì. È un esaltato che non ha mai voluto convenire d’ingannarsi nelle sue idee, perché sebbene abbia testa storta, egli la stima assai e crede che poche la valgono. Io ho fatto il sordo costantemente a tutte le insinuazioni fattemi perché qui lo innestassi nella classe dell’istruzion pubblica appunto perché lo riguardo per una cattiva testa.
Ma se bene vi rendete ragione dello spirito di tutte queste corrispondenze, non vi vedrete altro in sostanza che quello che purtroppo sappiamo, cioè esistere un assai grande numero di malcontenti dell’ordine attuale di cose, perché in sostanza quest’ordine non dà loro tutto quell’impero che si erano promessi; che costoro, parte cacciati dalle lor case, parte privi di mezzi di sussistenza, pieni la testa delle dottrine che i Francesi portarono in Italia, sono in uno stato di fermento feroce. Nemici dei Francesi, perché si dicono ingannati da loro. Nemici di Bonaparte, perché è il più grande ostacolo che trovano al compimento dei loro voti. Nemici miei e del governo attuale in Italia, perché professa opinioni e sentimenti tutti diversi dalle loro e non gli dà speranza di secondarli a rovesciar Roma, a rovesciar Napoli, a rivoluzionar tutta l’Italia, ciò che è lo scopo più caro di tutti i loro voti [21]
.
Nella Parigi napoleonica, pertanto, Poggi non poté far altro che articolare il proprio impegno in quell’attività giornalistica che già nella Milano del Triennio lo aveva portato a contraddistinguersi come una delle più importanti penne del tempo [22]
. Così, sempre continuando a seguire le vicende {p. 101}italiane e a tal riguardo schierandosi contro i tentativi di parte cattolica di modificare «l’importantissima, e d’altronde inattaccabile dai preti, [legge] dei registri civili delle nascite, dei matrimonj e delle morti» [23]
, non solo cominciò a collaborare con i più prestigiosi giornali scientifici parigini (su tutti gli «Annales de Chimie»), ma soprattutto riprese l’idea, inizialmente naufragata, di dar vita a Parigi a un giornale letterario italiano. Nell’estate del 1803, infatti, con il concorso dell’amico veronese Buttura, fondava un settimanale intitolato «La Domenica. Giornale letterario-politico» [24]
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Il periodico, che traeva il suo nome dal giorno di pubblicazione, fu stampato per un anno esatto a partire dal 3 luglio e per un totale di 52 numeri. Come dichiarato nel prospetto iniziale, il suo scopo era di far «reciprocamente conoscere i progressi dell’ingegno umano» raggiunti da due nazioni, Italia e Francia, considerate «sempre più approssimate fra loro, e per così dire insieme legate per tanti titoli». Esso s’inseriva in una linea di continuità con quanto, almeno nelle intenzioni di Poggi, avrebbe dovuto costituire l’«Indicatore generale», seppur va detto che mentre quest’ultimo ambiva principalmente a far conoscere nella penisola la cultura francese, «La Domenica» si proponeva di analizzare le produzioni culturali concepite su entrambe le sponde delle Alpi. Ed era, questa, un’innovazione di non poco conto, perché proprio {p. 102}trattando in Francia della cultura di parte peninsulare, si provava a rivendicare, dinnanzi alle più alte istituzioni napoleoniche e di fronte all’opinione pubblica transalpina, il prestigio di una nazione, l’Italia, che sul terreno letterario, artistico e scientifico nulla aveva da invidiare agli altri paesi d’Europa. Per questo, del titolo del periodico ci appaiono significativi in particolare i due aggettivi, i quali stavano a indicare come l’obiettivo dei redattori fosse, appunto, quello di tenere insieme riflessione letteraria e cronaca politica, l’una sempre funzionale all’altra. Letterario, dunque, perché gran parte delle sue attenzioni il giornale le dedicava alle pubblicazioni che in quegli anni andavano diffondendosi sulle due sponde delle Alpi. Politico, poi, perché esso non si asteneva dal fornire notizie sulle vicende militari dell’Europa del tempo. Ma soprattutto, letterario-politico, ossia le due cose insieme, perché era proprio mediante l’analisi letteraria immersa nella cronaca politica che i suoi autori provavano a difendere, e al tempo stesso sviluppare, un proprio modello di società per l’Italia degli albori del XIX secolo [25]
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Del resto, che nella Parigi napoleonica Poggi fosse tutt’altro che propenso a uscire di scena lo avrebbe dimostrato la circostanza per cui, ancora qualche anno più tardi, egli avrebbe finalmente ottenuto i tanto ambiti incarichi ufficiali. Dal 1808, infatti, a seguito dell’annessione di Parma e Piacenza alla Francia, rappresentò gli interessi della terra natia in qualità di deputato nel Corpo legislativo del neonato dipartimento del Taro. Al tempo stesso, in tale fase mai mancò di portare avanti il proprio impegno culturale, tanto che nel 1811 l’amico Reina, appresa la notizia del suo ritorno «allo studio dell’antiquaria», se ne congratulava dicendosi convinto che per la causa italiana fosse importante «tener vivi questi studi che ne ricordano l’antica nostra grandezza» [26]
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E ancora, nel 1823 (ossia circa due decenni prima di
{p. 103}quel lontano 1842 in cui avrebbe finito i suoi giorni fra gli esperimenti sull’elettromagnetismo condotti nella vallata di Montmorency, in Val-d’Oise), aiutava finanziariamente il piemontese Carlo Botta a pubblicare la sua Storia d’Italia dal 1789 al 1814. E forse sarebbe stato proprio pensando a questo loro costante impegno che nel dicembre 1827, durante un breve soggiorno a Piacenza, avrebbe scritto all’amico calabrese Francesco Saverio Salfi (come lui fra i protagonisti del giornalismo milanese del Triennio e poi installatosi a Parigi nella Restaurazione) per chiedergli – in una lettera in cui, tra le altre cose, criticava duramente un romanzo, gli Sposi promessi, uscito proprio in quei mesi e che reputava un «siccidume» denso di «fratate, missionariate, superstizioni e delitti dei tempi di barbarie», un esempio della nefasta «via» con cui «la canaglia romantica intende d’incivilire la nazione» – di salutargli «arcicaramente l’amico Botta» e di dirgli «che mi congratulo con lui, con te, con me stesso, che non siamo frasche, non banderuole della giornata: ciò che fummo, fatti adulti, siamo e saremo» [27]
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Note
[18] BNF, Manuscripts Italiens, Fonds Custodi, cart. 1559, dr. Poggi, f. 93.
[19] BNF, Manuscripts Italiens, Fonds Custodi, cart. 1559, dr. Poggi, ff. 74-75.
[20] BNF, Manuscripts Italiens, Fonds Custodi, cart. 1559, dr. Poggi, f. 92.
[21] Zaghi (a cura di), I carteggi di Francesco Melzi D’Eril, cit., vol. 4, pp. 34-37.
[22] C. Tosi, Un patriota gradualista. Giuseppe Bruto Giunio Poggi nel Triennio giacobino (1796-1799), in C. Capra (a cura di), Giacobini e pubblica opinione nel ducato di Piacenza, Piacenza, Tip. Le.Co., 1998, pp. 191-253.
[23] BNF, Manuscripts Italiens, Fonds Custodi, cart. 1559, dr. Poggi, ff. 72-73.
[24] La versione integrale de «La Domenica» è conservata in BNF, coll. 4-Z-1033. I più importanti lavori sul giornale sono: M. Tatti, Tra politica e letteratura: manifesti programmatici e linee editoriali dei giornali italiani a Parigi fra Triennio e Impero, in «Franco-Italica», 11, 1997, pp. 143-168; A. Arisi Rota, «La Domenica»: un giornale italiano nella Parigi tardo consolare, in «Rassegna storica del Risorgimento», 83, 1996, pp. 17-28. Altre informazioni sono in: C. Capra, Il giornalismo nell’età rivoluzionaria a napoleonica, in V. Castronuovo, G. Ricuperati e C. Capra (a cura di), Storia della stampa italiana, vol. 1, La stampa italiana dal Cinquecento all’Ottocento, Roma-Bari, Laterza, 1976, pp. 509-510; P. Desfeuilles, Le goût français à la fin du Consulat et les Italiens d’après La Domenica, in «Nouvelle Revue d’Italie», 1920, pp. 318-323; P. Hazard, La Révolution française et les lettres italiennes, Paris, Hachette, 1910, pp. 280-283.
[25] P. Conte, Un periodico italiano nella Parigi napoleonica: il caso de La Domenica, fra classicismo letterario e rinnovamento politico, in «Rivista Storica Italiana», 130, 2018, pp. 409-436.
[26] BNF, Manuscripts Italiens, Fonds Custodi, cart. 1559, dr. Poggi, f. 100.
[27] R. Froio (a cura di), Salfi tra Napoli e Parigi. Carteggio 1792-1832, Napoli, Macchiaroli, 1997, pp. 319-320.