Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c7
Ma sulle modifiche introdotte da Botta nell’edizione edita da Ferrario nel 1819 occorre qui sostare, perché dalla sua corrispondenza con il lessicografo piemontese Antonio Maria Robiola, che in quei mesi si occupò di curare le revisioni al testo e di gestire i rapporti fra autore ed editore (il quale in un primo momento doveva essere il torinese Pomba e solo a lavoro in corso fu individuato nel milanese Ferrario), emergono informazioni interessanti circa le modalità con cui tale lavoro fu concepito. Innanzitutto, la collaborazione con Robiola prendeva corpo proprio perché Botta aveva apprezzato le segnalazioni di quest’ultimo circa alcuni termini poco (o non troppo) italiani [88]
. Di lì, a cadenza bimestrale, il lessicografo avrebbe fatto pervenire allo storico la lista delle proposte di modifica, a cui quest’ultimo avrebbe risposto apportando la sua approvazione o il suo diniego in corrispondenza di ogni singolo lemma. Dunque, le modifiche erano suggerite più dall’editore (per il tramite di Robiola) che dall’autore, il quale, nel frattempo impegnato nelle incombenze legate alla sopraggiunta nomina a rettore dell’Accademia di Rouen, si occupava di fare essenzialmente da freno. Infatti, se da un
{p. 256}lato acconsentiva all’introduzione di alcuni emendamenti, dall’altro ne cassava molti altri, costantemente invitando il suo interlocutore ad accertarsi che le proprie volontà fossero rispettate e che a Milano non si eccedesse nei cambiamenti, i quali, quindi, erano più accettati che voluti [89]
.
Non a caso, quando Robiola lo informò della volontà dell’editore di «porre nel frontispizio della nuova edizione le parole riveduta dall’autore», il suo rifiuto fu netto, perché tale dizione aveva il difetto di «mettere troppa massa, ed aver troppo ampio significato». Al riguardo, Botta si dichiarò disponibile solo ad accettare un’aggiunta più modesta quale quella, poi realmente apportata, indicante la presenza di «alcune correzioni dell’autore», ribadendo in maniera categorica la sua posizione: «così e non più, e non altrimenti: perché se si mettesse più o altrimenti, me ne dispiacerebbe» [90]
. Lungi dall’essere una mera questione di forma, tale ritrosia appare il segnale della sua consapevolezza del fatto che, tanto più alla luce delle contese di quegli anni, una massiccia revisione stilistica avrebbe potuto esser letta come una sorta di abiura delle storiche posizioni puriste.
Così, proprio nei mesi in cui a Rouen Botta si contraddistingueva per la gestione laica del personale insegnante [91]
, un’altra battaglia degli anni rivoluzionario-napoleonici, quella per la salvaguardia di una letteratura (anche storiografica) nazionale, continuava a tenerlo impegnato. E si trattava, come egli stesso ammetteva a Robiola, di una battaglia certo linguistica, ma che sottintendeva molto altro:
Per me, io credo, e lo dico con quanta maggior asseveranza io posso, che se non si ripulisce la lingua nostra, la letteratura italiana è morta, e già possiamo farne il pianto; conciossiaché questo bisogno della lingua porta con sé più cose, che gli intemperanti ingegni moderni non pensano [92]
.{p. 257}
Insomma, in quella sua fatica «americana» edita nella Parigi del 1809 la dimensione politica era consistita soprattutto nell’estremo purismo dello stile, tant’è che se tale lavoro aveva urtato alcune sensibilità, queste erano state quelle (italiane) dell’Accademia della Crusca prima e dei letterati romantici dopo, non quelle (francesi) delle autorità napoleoniche. Del resto, ancora nel 1822, cioè a ridosso di soli due anni dalla sua seconda fatica storiografica (quella Storia d’Italia dal 1789 al 1814 che nei decenni a venire molto avrebbe condizionato anche le fortune della Storia della guerra dell’independenza), Botta, nel tornare a riflettere sulla lunga stagione alle spalle, avrebbe attribuito le polemiche di quegli anni a quella che, in un misto di orgoglio e amarezza, definiva la «disgrazia dello scrivere italiano» [93]
.
Note
[88] Anche la Salvadé ha fatto notare come Robiola mirasse a censurare «non tanto l’affettazione arcaizzante, quanto i residui forestierismi», cfr. Salvadè, Rivoluzione e purismo, cit., p. 43.
[89] Lettere inedite e rare di Carlo Botta, cit., pp. 42-46.
[90] Ibidem, pp. 41-42.
[91] E. Chaarani-Lesourd, Botta alto funzionario della pubblica istruzione a Rouen, in Canfora e Cardinale (a cura di), Il giacobino pentito, cit., pp. 59-72.
[92] Lettere inedite e rare di Carlo Botta, cit., p. 40. Il corsivo è mio.
[93] Lettere di Carlo Botta al conte Tommaso Littardi, Genova, Istituto de’ Sordo-muti, 1873, pp. 25, 28.