Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c7
Tornando a Dante, ciò che qui più preme mettere in evidenza è che, al di là della polemica innescata nel 1804 dal «Journal des débats», gli anni napoleonici si rivelarono a dir poco cruciali per la sua conoscenza in Francia, dando così avvio al suo utilizzo a scopi politici poi a lungo sviluppatosi nei decenni risorgimentali [40]
. Ad esempio, nel 1813 l’editore Salmon offriva al pubblico parigino un’edizione illustrata della Divina Commedia nella quale i versi dell’Alighieri erano accompagnati dalle immagini disegnate
{p. 236}dalla penna di Sofia Giacomelli [41]
. Inoltre, in quel contesto Dante era fatto sempre più oggetto d’attenzione anche da parte dell’intellettualità francese: così, se nel 1811 proprio Ginguené dedicava al poeta fiorentino gran parte dei primi due volumi con cui cominciava le pubblicazioni della sua Histoire littéraire d’Italie [42]
, a partire da quello stesso anno il letterato Alexis-François Artaud de Montor, ai tempi vicino a Buttura e proprio come Ginguené con trascorsi da diplomatico in Italia, dava alle stampe la traduzione commentata dei tre volumi del capolavoro dantesco [43]
. Al riguardo, è utile riportare quanto l’autore sosteneva circa finalità e contesto dell’iniziativa, perché le sue parole attestavano pubblicamente il debito contratto con una comunità, quella degli italiani in Francia, che molto si era adoperata per far conoscere i maggiori autori della propria letteratura:
J’ai désiré rappeler, sur le sublime ouvrage du Dante, l’attention des Français qu’une heureuse communauté d’espérances et de succès fixe en Italie et celle de ces Italiens que les événements et les récompenses du Gouvernement ont attirés en France, où, toujours spirituels, toujours pénétrés d’un esprit national qu’on ne saurait trop admirer, ils nous apprennent à estimer et à aimer, comme eux, les beaux génies qui ont fondé, sur des bases immortelles, la gloire littéraire de leur patrie [44]
.
Lo stesso Buttura, del resto, non avrebbe certo abbandonato il suo impegno per la valorizzazione di Dante, tant’è che, ancora negli anni Venti, dopo esser stato nominato professore di letteratura italiana in quell’Athénée dove a lungo aveva operato il suo amico Ginguené, avviava una raccolta antologica, la Biblioteca poetica italiana, finalizzata a far conoscere in Francia il meglio della poesia {p. 237}italiana [45]
. Ed è quanto mai significativo che tale raccolta prendesse le mosse proprio dalla Divina Commedia, a cui erano dedicati i primi tre volumi, tutti editi nel 1820 e ricchi di osservazioni che a larghi tratti riprendevano i passaggi pubblicati quasi due decenni prima su «La Domenica». Così, se da un lato si riconosceva come alcuni versi fossero già stati commentati nel 1804 in «un giornale italiano intitolato La Domenica che si pubblicava in Parigi», dall’altro si ribadiva il proposito di favorire una lettura politica del poeta fiorentino sottolineando come questi, che «amava l’Italia e la vedeva divisa da governi rivali», alla morte di Beatrice avesse cercato di «consolarsi nell’amor della patria, pone[ndo] ogni fatica in giovarle» [46]
. In tal modo, Buttura dava prova di quanto le posizioni espresse agli albori del secolo fossero tutt’altro che passaggi isolati del suo percorso intellettuale e, più in generale, di quanto le fortune editoriali di Dante nel Risorgimento – ad oggi molto indagate a partire dalla Restaurazione – in realtà originassero proprio dalla stagione napoleonica.
Da questo punto di vista, un esempio ancor più importante è fornito da quel Niccolò Giosafatte Biagioli che durante l’Impero aveva proposto al pubblico francese una grammatica italiana in cui – stando alle parole con cui l’aveva commentata l’amico Manzoni – «il y a du Dante partout» [47]
. Nella Restaurazione, infatti, egli portava a compimento i suoi lunghi studi sul poeta fiorentino dando alle stampe, sempre a Parigi, un’edizione commentata della Divina Commedia, i cui tre volumi uscirono per l’editore Auguste-François Dondey-Dupré fra 1818 e 1819 [48]
. Riprendendo ancora una volta i duri toni polemici nei confronti dei critici di Dante e rispolverando altresì le sue opinioni circa la necessità di un utilizzo dell’italiano vicino alle espressioni latine, Biagioli {p. 238}spiegava che la sua fatica serviva a proporre uno studio metodologicamente diverso. Il suo approccio, infatti, si differenziava da quanto fatto dai precedenti commentatori perché evitava il triplice errore di non «aver fatto altrettanto studio delle altre opere di Dante», di «non aver ben veduti i luoghi, ovvero il mondo dove passa la grand’azione» e di essersi concentrati sui singoli versi senza tener conto della lettura d’insieme [49]
.
Ma soprattutto, il letterato ligure, che non a caso aveva anticipato la pubblicazione con un prospetto in cui descriveva la sua fatica come il «fruit d’études et de recherches assidues pendant près de dix-sept ans» [50]
, non esitava a legare la sua versione dell’opera dantesca all’impegno didattico della stagione napoleonica. Infatti, se da un lato si diceva convinto che non si potesse «imprendere lo studio di questo poema senza il corredo delle cognizioni a ciò necessarie e senza il previo studio dell’italiano idioma», dall’altro dichiarava che il suo «unico fine» era stato «non di voler fare scialacquo di filosofia, di dottrina, d’erudizione, [...] ma di spiegar le cose da semplice gramatico, e render così lo studio di Dante più agevole e più fruttuoso a chi ha bisogno d’aiuto» [51]
. Insomma, tale lavoro era l’altra faccia di una medaglia, quella volta a favorire la conoscenza del meglio di lingua e cultura italiane, che per oltre tre lustri lo aveva visto impegnato in Francia attraverso le spiegazioni delle regole sintattiche. Ma qui sembra giusto lasciare la parola allo stesso Biagioli per capire fino in fondo ragioni e tempistiche di quel suo duraturo impegno:
Menato, non so se da fortuna, o volere, o destino, venti anni sono già varcati, a insegnar la natia lingua in questa mia seconda patria, non meno a me cara e gioconda della prima, sentendo sin di qua il micidiale strazio che, per influsso di troppo rea stella e per incuranza del più degl’italiani, facevasi della dolcissima e gentilissima favella del sì, mi posi in animo, per quanto le fievolissime forze mie comportassero, di voler cooperare con quei pochi, le cui gloriose fatiche intese erano al mantenimento, anzi {p. 239}al risorgimento del nobilissimo idioma nostro, cotanto di sua natia grazia, purità e candore scaduto. Scritta ch’io ebbi, e data in luce la mia Gramatica ragionata della lingua italiana, tributo di gratitudine e d’amore da me reso a questa mia novella patria, qual principio e fondamento di quello che io intendeva far poi, ed essendo già ben persuaso [...] che, siccome dal maggior pianeta hanno gli altri ogni luce e splendore, così dal massimo Poeta nostro ogni gloria del ben dire negli altri scrittori d’ogni maniera discende, mi posi in pensiero d’innamorare affatto gli stranieri di questo Poeta, figurandomi non aversi a far altro però, che farlo loro intendere, siccome, perché s’ammiri, basta ch’a veggente occhio una chiusa bellezza si disveli [52]
.
Dunque, l’attenzione a Dante era strettamente connessa a quella battaglia purista che, proprio negli anni napoleonici, in Francia come in Italia, si era diffusa soprattutto ad opera di patrioti di prima fila della stagione rivoluzionaria. Del resto, in corrispondenza con il passaggio citato, Biagioli aggiungeva una nota in cui si auto-annoverava – insieme al romano Angeloni (che, come visto, qualche anno prima aveva redatto un testo su Guido d’Arezzo incentrato sull’esaltazione della musicalità dell’italiano) e al piemontese Botta (sul cui impegno purista si avrà modo di tornare a breve) – fra coloro i quali, anche oltralpe, si erano opposti a quel «devastatore torrente della prima nostra gloria» consistente nell’introduzione di termini stranieri [53]
.
D’altronde, il contesto parigino fu a dir poco fondamentale per la riuscita della sua operazione, perché egli vi trovò sia gli stimoli intellettuali per realizzare il suo commento, sia i finanziamenti economici per portarlo a termine. Sul primo aspetto, egli stesso confessava che il lavoro aveva preso spunto dal reperimento di alcuni manoscritti inediti su Dante redatti da Vittorio Alfieri durante il suo lontano soggiorno oltralpe agli albori della rivoluzione. Sul secondo, ad attestare l’incidenza dei contatti costruiti in Francia erano sia la dedica al conte Luigi Emanuele Corvetto (suo connazionale ligure che dopo la collaborazione con Napoleone {p. 240}era divenuto ministro delle finanze sotto Luigi XVIII), sia la lista dei sottoscrittori posta in chiusura del terzo volume. Fra questi, spiccavano quell’Artaud de Montor che qualche anno prima aveva realizzato un lavoro simile in francese, nonché italiani qui ormai noti come il librario bresciano Giovanni Antonio Galignani e l’avvocato casertano Domenico Fiore.
Ma se ci si è ampiamente soffermati sul come e perché i lavori su Dante fossero stati concepiti – e in gran parte realizzati – nella Francia dei primi 15 anni del XIX secolo, occorre a questo punto provare ad analizzare le cause che resero concreta la loro pubblicazione solo con l’avvio della Restaurazione. A tal riguardo, ci sembra che due furono i motivi alla base di una simile circostanza: il primo più concreto (ed economico), il secondo più culturale (e politico); entrambi, comunque, sempre da rapportare alla svolta sancita dal crollo napoleonico del 1814-1815.
Innanzitutto, tali vicende innescarono, ancor più per gli italiani in Francia, conseguenze non da poco per la sopravvivenza di uomini che improvvisamente si ritrovarono ad agire in un contesto istituzionalmente non più a loro favorevole. Così, Buttura tornava sì a dedicarsi a pieno regime ai suoi interessi letterari, ma lo faceva perché nel frattempo aveva perso gli incarichi diplomatici che lo avevano portato prima, lungo gran parte dell’iniziale decennio del secolo, a lavorare come funzionario ministeriale e poi, fra 1812 e 1814, a recarsi nelle Province Illiriche in qualità di Console del Regno d’Italia [54]
. Per Biagioli, poi, la situazione era divenuta ancor più complessa, perché la caduta dell’Impero gli aveva fatto perdere il prestigio acquisito presso editori e studenti, tanto da costringerlo a chiedere finanziamenti privati per la pubblicazione della sua opera. Emblematica della sua difficile situazione è la lettera che, in quel 1818 in cui dava alle stampe il primo volume del commento dantesco, indirizzava oltremanica all’amico Ugo Foscolo, con cui aveva da poco avviato intensi rapporti epistolari. A questi, che gli aveva chiesto di reperirgli alcuni testi in Francia, prima rispondeva che, non essendovi «librajo in
{p. 241}Parigi che abbia i libri ch’ella desidera», si era a malincuore deciso a recarsi, ma sempre invano, nella libreria del suo primo editore, quel Louis Fayolle che anni addietro aveva pubblicato la Grammaire, ma con cui aveva chiuso i rapporti proprio dal 1815, perché «egli da tre anni in qua odia tutti gl’Italiani, e pur deve a noi il pane che mangia». In seguito, aggiungeva di aver pur posseduto i libri richiestigli, ma di esser stato «costretto a vendere per nove cento franchi tutta la [sua] libreria di pochi volumi, ma di gran prezzo, e ciò all’ingresso in Parigi degli alleati, e per fame» [55]
.
Note
[40] F. Di Giannatale, Il mito di Dante nella letteratura risorgimentale, in G. Motta (a cura di), Il Risorgimento italiano. La costruzione di una nazione, Bagno a Ripoli, Passigli, 2012, pp. 81-95.
[41] La Divina comedia di Dante Alighieri composta e incisa da Sofia Giacomelli, Paris, Salmon, 1813.
[42] P.-L. Ginguené, Histoire littéraire d’Italie, Paris, Michaud, 1811, voll. 1-2.
[43] A.-F. Artaud de Montor, Le Paradis, Paris, Treuttel-Wurtz, 1811; L’Enfer, Paris, Smith-Schoell, 1812; Le Purgatoire, Paris, Blaise-Pichard, 1813.
[44] Artaud de Montor, L’Enfer, cit., p. XIV. Il corsivo è mio.
[45] Biblioteca poetica italiana: publicata da A. Buttura, Paris, Lefevre, 1820-1822.
[46] La Divina Commedia di Dante Alighieri pubblicata da A. Buttura, Paris, Lefevre, 1820, vol. 1, pp. X-XI, 232.
[47] Manzoni, Tutte le lettere, cit., vol. 1, pp. 74-75.
[48] G. Biagioli, La Divina Commedia di Dante Alighieri, Paris, Dondey-Dupré, 1818-1819, voll. 1-3.
[49] Ibidem, vol. 1, pp. XXXII-XXXIII.
[50] ANF, F/17, cart. 1029, dr. 9.
[51] Biagioli, La Divina Commedia, cit., vol. 1, pp. XV, XXXVIII.
[52] Ibidem, pp. XVIII-XXII.
[53] Ibidem, p. XXI.
[54] ANF, BB/11, cart. 114/B, dr. 2591.
[55] U. Foscolo, Epistolario (1816-1818), a cura di M. Scotti, Firenze, Le Monnier, 1970, vol. 7, pp. 301-304.