Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c7
In una prospettiva nel complesso simile si collocò anche l’impegno didattico-letterario del ligure Niccolò Giosafatte Biagioli, fra i patrioti giunti in Francia nel 1799 per la partecipazione alla rivoluzione romana e in assoluto fra le figure più interessanti dell’esilio italiano nella Francia napoleonica [14]
. Dopo aver svolto la funzione di insegnante di italiano al Lycée Prytanée in sostituzione del citato Buttura, fra 1804 e 1805 egli diede alle stampe due lavori, entrambi editi per i tipi del «magasin de livres Italiens» di Louis Fayolle e con cui si proponeva di far conoscere oltralpe la bellezza della lingua madre. Nel primo, Tacito volgarizzato da Bernardo Davanzati, riproponeva con tutto il carico della sua vena polemica le
{p. 226}traduzioni in volgare effettuate nel Cinquecento dallo storico fiorentino Davanzati all’esplicito scopo di «dimostrare di quanta precisione e di quanto nerbo sia capace la dolcissima nostra lingua» e così difendere quest’ultimo dagli attacchi subiti da parte di alcuni intellettuali francesi [15]
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Al signor Baillet, che osò dire di Davanzati ch’egli ha impiegato molti vocaboli toscani antiquati per far rassomigliare la sua traduzione all’originale per la sua oscurità, risponderò francamente ch’egli avrebbe fatto meglio a fare i fatti suoi, che parlar d’una lingua che tanto costa agl’Italiani medesimi. [...] Dirò anche di più. Se le grazie di certe ardite pennellate, di certi tratti spiritosi, di certe espressioni ritraenti dalla naturale semplicità dell’originale dispiacciono ai più, si de’ piuttosto attribuire al difetto di chi legge, che a quello di sì nobile scrittore. A forza di studiarlo, di averlo continuamente tra le mani e compararlo ai tre maestri sovrani che hanno innalzata la lingua a quell’alto grado di perfezione, onde chi più sa, meno si discosta, conosceranno gl’Italiani il raro merito di sì grand’opera, e gli stranieri impareranno quel che cercano indarno in que’ miseri libricoli che altro non hanno d’Italiano che il nome [16]
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Il secondo volume, poi, era un vero e proprio lavoro didattico, la cui pubblicazione – a conferma di come i due testi rientrassero in un comune progetto editoriale – era annunciata proprio dall’antologia tacitiana, nella cui prefazione si comunicava esser ormai prossima alle stampe una «grammatica ragionata che offriremo fra breve agli studiosi della soavissima favella Italiana» [17]
. Si trattava, appunto, della Grammaire italienne élémentaire et raisonnée che Biagioli aveva redatto proprio durante il suo insegnamento al Prytanée e che, dopo l’iniziale dedica al generale Jean Rapp tanto distintosi qualche anno prima sul campo di battaglia di Marengo, veniva aperta con la trascrizione di un elogiativo rapporto della Classe di lingua e letteratura {p. 227}dell’Institut National a cui l’autore aveva sottoposto la sua fatica [18]
. Per la verità, certo il rapporto riconosceva come il testo meritasse un «encouragement honorable», ma poi non mancava di avanzare alcune critiche, prima delle quali quella – tutt’altro che sgradita all’autore – di aver adottato «trop facilement le préjugé italien qui proclame l’infallibilité des classiques» e secondo il quale «toutes les phrases du Dante, de Pétrarque et de Bocace sont correctes» [19]
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Del resto, nella prefazione Biagioli non nascondeva le finalità che avevano animato la sua fatica, riconoscendo come, insoddisfatto delle grammatiche esistenti e stimolato dal quotidiano lavoro di insegnante, mirasse a delineare una «route nouvelle pour faire connaître à fond la nature et le génie de la langue italienne». Dicendosi convinto che le difficoltà nell’apprendimento dell’italiano fossero da attribuire «à l’opinion généralement répandue que l’italien s’apprend avec une extrême facilité et en très-peu de temps», egli prima polemizzava – con un tacito riferimento a Scoppa – con il «charlatanisme de ces prétendus professeurs qui promettent [...] d’enseigner l’italien en deux ou trois mois», poi si scagliava contro «ces misérables traductions qui déshonorent et corrompent journallement notre idiome». A suo avviso, uno studio poco approfondito non permetteva di «entrer en communication avec les hommes célèbres qui feront étérnellement la gloire de la littérature»: per questo, confessava che il testo nasceva dal «désir et l’espérance de contribuer à faire cesser les injustes préventions et l’instruction superficielle qui réduisent à si peu de choses ce que l’on connait, hors de l’Italie, des écrits de nos anciens» [20]
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Il suo impegno nella didattica, dunque, originava certo dalla contingente professione d’insegnante, ma risultava altresì straordinariamente connesso con le sue posizioni classiciste, perché era sua convinzione che proprio dalla delineazione di una «nouvelle méthode» volta a garantire {p. 228}il corretto apprendimento delle regole sintattiche passasse la reale comprensione – e dunque l’effettiva valorizzazione – della migliore letteratura italiana. Inoltre, un simile lavoro non si indirizzava solo ai francesi desiderosi di apprendere la lingua di Dante, ma anche alle nuove generazioni di italiani sempre più numerosi nei territori transalpini. Così, precisava che il suo scopo era «non seulement de faciliter l’étude de l’italien, mais encore de donner à cette étude une meilleure direction, et la rendre plus fructueuse, en conduisant les élèves, dès leurs premiers pas, à l’intelligence de la véritable langue italienne, de celle dont les auteurs du bon siècle se sont servis» [21]
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Parole, queste, che ci sembrano una palese conferma delle più che condivisibili riflessioni di chi, come Antonino De Francesco, in tempi recenti ha invitato a storicisticamente tener conto dei «problemi concreti con i quali la generazione patriottica italiana si venne a confrontare a seguito del mutato clima politico, in Francia come in Italia, dettato dal 1799» e, per questa via, ha esortato a leggere l’adesione di tale generazione al sistema napoleonico non come il mesto esito degli ideali rivoluzionari, ma come «il risultato di un programma dilatato nel tempo al fine di assicurare stabilità all’identità politica d’Italia» [22]
. Un programma, dunque, nel quale
uomini di diversa estrazione e provenienza, dalla differente formazione culturale, di interessi tra sé anche molto distanti, ugualmente troveranno un denominatore comune nell’utilità in senso nazionale, o per meglio dire in chiave italiana, delle loro fatiche e che non perderanno occasione di insistere sull’augurio che le loro opere valessero a fondare una classe dirigente preparata, anche culturalmente, al compito di assicurare il concreto esercizio della libertà e dell’indipendenza nella penisola [23]
.{p. 229}
D’altronde, la dimensione politica della Grammaire di Biagioli era riconosciuta anche dai giornali del tempo, fra i quali spiccava il «Moniteur», che definiva il suo autore un «enthousiaste sage des beautés de sa langue et des chefs-d’oeuvre qu’elle a produits» e il suo contenuto un «espece d’acte de patriotisme» [24]
. E sempre a proposito della natura politica di tale pubblicazione non appare marginale la circostanza per cui la penna di tale recensione fosse quella di Jean André Amar, ai tempi funzionario della biblioteca Mazzarino e durante la rivoluzione fra i principali esponenti di quella corrente neo-giacobina che sotto il Direttorio era stata molto vicina alle posizioni del patriottismo italiano. Inoltre, anche in seguito Amar prestò grande attenzione ai lavori del letterato ligure, apprezzandone, sempre dalle colonne del «Moniteur», prima l’antologia delle Lettere del Cardinal Bentivoglio e poi la ristampa della Grammaire, di cui sottolineava come – e vedremo a breve l’importanza di queste parole – fra i molti esempi di autori classici presenti spiccasse Dante, «que l’auteur met toujours en première ligne et pour lequel son admiration est presque du fanatisme» [25]
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Del resto, con quest’altra doppia pubblicazione, effettuata nel biennio 1807-1808, Biagioli non faceva che replicare quanto già realizzato agli albori dell’Impero, ossia prima rendere nota la produzione di un autore del Cinquecento che con i suoi lavori aveva salvaguardato la purezza dell’italiano e poi fornire gli strumenti didattici con cui approcciarsi a tale produzione. Infatti, mirando a fornire un modello stilistico per la redazione epistolare, il lavoro su Bentivoglio si inseriva in una linea di continuità con la Grammaire: non a caso, l’autore aveva cura di corredare le lettere originali, il cui stile descriveva come «toujours pur», con commenti personali che dovevano costituire un ulteriore strumento allo studio dei classici, perché permettevano «le développement et l’application de la méthode [...] précédement pubbliée» [26]
.{p. 230}
Qualche anno più tardi, un proposito simile avrebbe indotto un altro protagonista di prima fila della rivoluzione romana del 1798, il frusinate Luigi Angeloni, a realizzare un’analoga operazione, ossia la stampa in italiano, tra l’altro effettuata a proprie spese, di un testo che trattava della vita e delle riflessioni del teorico della musica Guido d’Arezzo, introduttore agli inizi del millennio della prima forma di solfeggio ed evocato allo scopo di difendere «ciò che a torto sarà stato scritto contra lingua ed autori d’Italia» [27]
. Edito nel 1811, il suo lavoro nasceva dall’insoddisfazione, maturata nella «decennale dimora in Parigi», nei confronti delle «tanto sconvenevoli e tanto strane» affermazioni inerenti il canto italiano, con particolare riferimento all’opera del francese Guillaume André Villoteau apparsa nel 1807 e molto critica nei confronti delle teorie di Guido da Arezzo circa il primato della sonorità dell’italiano [28]
. Cosicché, ripercorrendo le considerazioni di quest’ultimo, Angeloni sosteneva la superiorità musicale della lingua di Dante sul francese, in quanto era sua convinzione che la prima meglio di tutte si applicasse al sistema della solmisazione introdotto dal monaco aretino e, quindi, che «la sola nazione che oggidì abbia ed aver possa vera e compiuta musica è la nostra».
Ancora una volta, dunque, l’attenzione a importanti esponenti della cultura italiana era funzionale alla promozione della lingua, reputata il principale mezzo per rivendicare all’Italia una funzione internazionale, poiché «fra le più pregiate cose e le più care che abbiam noi altri italiani, pregiatissima e carissima è senza alcun dubbio la dolce e bella lingua nostra, la quale in tutta Europa e senza fallo ancor nel mondo intero ora è pur la sola che non sol ritrae, ma avanza ancor assai la melliflua sonorità delle più belle lingue antiche» [29]
. Del resto, Angeloni non nascondeva
{p. 231}come con tale lavoro intendesse continuare a servire la mai abbandonata causa patriottica:
Note
[14] F. Timo, Un Italiano della letteratura all’estero: Niccolò Giosafatte Biagioli e il suo impegno per l’affermazione delle lettere italiane nella Parigi del primo Ottocento, in C. Allasia, M. Masoero e L. Nay (a cura di), La letteratura degli Italiani, vol. 3, Gli Italiani della letteratura, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2012.
[15] N.G. Biagioli, Tacito volgarizzato da Bernardo Davanzati, Paris, Fayolle, 1804.
[16] Ibidem, pp. VI-VIII.
[17] Ibidem, p. VIII.
[18] N.G. Biagioli, Grammaire italienne élémentaire et raisonnée, suivie d’un traité de la poésie italienne, Paris, Fayolle, 1805.
[19] Ibidem, pp. VII-IX.
[20] Ibidem, pp. XV-XVI.
[21] Ibidem, pp. XII-XIII.
[22] A. De Francesco, Costruire una identità nazionale: politica culturale e attività editoriale nella seconda Cisalpina, in L. Lotti e R. Villari (a cura di), Universalismo e nazionalità nell’esperienza del giacobinismo italiano, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 339-354.
[23] Ibidem, p. 345.
[24] «Moniteur universel», 16 messidoro XIII (5/07/1805).
[25] Ibidem, 12 gennaio 1809.
[26] N.G. Biagioli, Lettere del Cardinal Bentivoglio, con note grammaticali e filologiche, Paris, P. Didot, 1807, pp. IX-XXII.
[27] L. Angeloni, Sopra la vita, le opere ed il sapere di Guido d’Arezzo, restauratore della scienza e dell’arte musica, Parigi, Appresso l’autore, 1811.
[28] G.A. Villoteau, Recherches sur l’analogie de la musique avec les arts qui ont pour objet l’imitation du language, Paris, Imprimerie impériale, 1807.
[29] Angeloni, Sopra la vita, le opere ed il sapere di Guido d’Arezzo, cit., pp. 40-42.