«Anche là è Roma»
DOI: 10.1401/9788815410559/c2
Strutturalmente inefficaci
erano poi gli interventi degli studiosi che agivano su un piano esclusivamente
politico, come Ettore Ciccotti (1863-1939)
[42]
. Noto per essere stato
¶{p. 80}allontanato
dall’Accademia Scientifico-Letteraria di Milano a causa della sua adesione al
socialismo e per aver dovuto trovare rifugio in Svizzera a causa delle repressioni
poliziesche seguite ai moti di Milano del 1898, nel 1911-1912 Ciccotti era
professore di storia antica a Messina e membro della Camera dei Deputati. Fu proprio
in tale sede che lo studioso di origini lucane fece sentire la propria voce contro
l’intervento in Libia. Dopo una lunga interruzione delle sue attività di circa sette
mesi, dovuta allo stato di guerra, la Camera riaprì il 23 febbraio 1912 al fine di
convertire in legge il Regio Decreto del 5 novembre 1911 con il quale Cirenaica e
Tripolitania erano state unilateralmente dichiarate pienamente sottoposte alla
sovranità italiana. Com’era fatale, la discussione si concentrò anche su giudizi
generali riguardanti l’impresa libica; era, infatti, la prima volta che si poteva
parlare di ciò alla Camera. Eppure, i primi a prendere la parola non profittarono
del ritrovato spazio di discussione, giudicando che un più ampio esame della
campagna libica andasse posticipato a un momento in cui non si rischiasse di
«pregiudicare gl’interessi maggiori del paese» (così, Sonnino). Ciccotti giudicò
inaccettabile tale comportamento e tenne un lungo discorso nel quale, con molte
cautele e molte preterizioni, denunciò l’inutile sperpero di denaro destinato a
spese militari e votò in senso contrario all’ordine del giorno
[43]
. Egli assunse quindi una posizione non facile nel suo sforzo critico, ma
affermò esplicitamente di voler sorvolare sulle «falsificazioni» di Erodoto e altre
«iperboli» che pure avevano eco all’interno della Camera
[44]
, nonostante fosse certo fra quelli più adatti ad assumersi tale compito
all’interno di quell’assemblea. Verosimilmente voleva evitare di essere etichettato
solo come un professore di storia antica, rischiando così di indebolire la portata
politica del suo ragionamento.
La questione, tuttavia, non era
di importanza secondaria, perché anche attraverso quelle deformazioni antichizzanti
¶{p. 81}si erano riuscite a mobilitare larghe fette della
popolazione e a dare legittimità a un intervento militare altrimenti immotivato.
Ciccotti se ne rese conto due anni più tardi, il 19 febbraio 1914, sempre
all’interno della Camera, mentre si discuteva un disegno di legge riguardante il
bilancio dell’occupazione di Tripolitania, Cirenaica e isole dell’Egeo
[45]
. La discussione era iniziata in realtà il 10 febbraio e si sarebbe
provvisoriamente conclusa solo il 4 marzo, quando si decise di passare all’analisi
dei singoli articoli della legge. La tempistica estesa del dibattito lascia capire
quale insoddisfazione serpeggiasse all’interno della Camera contro il governo di
Giolitti e contro una colonia che assorbiva energie, uomini e denaro senza
restituire alcun introito alla madrepatria. Fu essenzialmente sull’aspetto economico
che i vari deputati si concentrarono, cercando anche di individuare quali fossero
stati i responsabili della scelta infruttuosa di colonizzare Tripolitania e
Cirenaica. A due anni dalla conclusione del conflitto, l’argomento più scottante
restava, infatti, ancora quello riguardante le modalità che avevano condotto
all’invasione della Libia, perché di fatto esso non era mai stato oggetto di una
riflessione parlamentare serena su cui non gravasse troppo la necessità di dover
tacere di fronte allo sforzo militare e alla ricerca di un prestigio nazionale. Solo
al principio del 1914 si considerò rimosso quell’ostacolo e ciò spiega perché
proprio fra il marzo e l’aprile di quell’anno la Libreria della Voce pubblicasse
l’antologia di scritti risalenti al 1911-1912 curata da Salvemini e intitolata
Come siamo andati in Libia
[46]
. Quella enunciata nel titolo era una domanda cui ancora non era stata
data convincente risposta.
Nel corso di quel dibattito
parlamentare, Ciccotti sottolineò quanto la classe politica nostrana avesse
completamente trascurato una seria indagine economica preliminare riguardo
¶{p. 82}alle potenzialità della regione, proprio perché abbagliata
dalle mistificanti rappresentazioni paradisiache del territorio, basate sui testi
antichi. E in quella sede riprese e svolse con certa ampiezza i dettagli della
polemica salveminiana, continuandone l’opera. Oltre ai brani di Erodoto e Plinio,
ricordò anche i numerosi episodi antichi di rivolte delle popolazioni locali contro
il potere di Roma e sottolineò che la regione non poteva certo offrire uno sbocco
all’emigrazione, dal momento che persino i Romani, che pure avevano impiegato tempo
e denaro per risolvere il problema dell’approvvigionamento idrico, avevano infine
adottato il sistema latifondistico, il medesimo che determinava la povertà del
Mezzogiorno.
Solo nel febbraio 1914 un
esperto di storia antica riuscì a far risuonare tale monito nell’aula del
Parlamento. La iniziale opposizione tutta politica di Ciccotti, manifestata
nell’intervento del 1912, fece tesoro anche dell’autorità dello studioso soltanto
quando l’impresa libica si era ormai conclusa e quella propaganda «antichizzante»
aveva già dato i suoi frutti.
4.2. I sostenitori
Ben altro seguito ebbero invece
quanti intervennero tempestivamente all’interno del dibattito esprimendosi in senso
favorevole alla maggioranza. Ci furono naturalmente adesioni facili e di
circostanza, come quella di Ettore Pais, che, a guerra appena iniziata, esaltava il
rinnovamento della vita nazionale dovuto alle conquiste africane di fronte al
Congresso della Società Italiana per il Progresso delle Scienze (16 ottobre 1911)
[47]
, o come quella di Attilio De Marchi, che, terminato il conflitto,
inaugurò il nuovo anno dell’Accademia Scientifico-Letteraria di Milano definendo la
campagna libica come il periodo in cui maggiormente si ¶{p. 83}era
potuta sentire «l’idea di Roma antica» levare «alta la sua voce dai ruderi»
[48]
.
Vi furono poi studiosi che
intervennero con più incisività, ma senza far interagire le proprie conoscenze sulla
storia antica e le proprie pubblicazioni scientifiche con le posizioni da loro
assunte su un piano esclusivamente politico. Così, ad esempio, Concetto Marchesi
che, il 3 dicembre 1911, comunicava al «Corriere della Sera» la sua uscita dal
Partito Socialista, giudicando inaccettabile schierarsi contro la campagna militare
in Libia. Pur non disdegnando in altre occasioni di dare coloriture politiche
attualizzanti agli autori antichi da lui studiati e occupandosi in quegli anni
proprio dell’Apologia di Apuleio che Ramorino sapeva leggere in
riferimento alla situazione bellica coeva, lo studioso evitò di far entrare la
discussione nei suoi scritti sulla letteratura latina
[49]
. E lo stesso vale per il giovane Giorgio Pasquali, che inciterà l’Italia
a concentrarsi sulle colonie oltremare negli interventi su «Italia Nostra» del 1915,
evitando però programmaticamente di «ciarlare di genio latino». L’incomunicabilità
da lui avvertita fra ricerca e politica è del resto confermata dalla asettica
scientificità cui si attenne nel dibattito su un argomento facilmente adattabile
all’attualità, quale la discussione sulle origini della colonia greca di Cirene,
ingaggiato con Aldo Ferrabino a partire dal 1912
[50]
.¶{p. 84}
Infine, non mancarono studiosi
che seppero guadagnarsi un certo seguito riuscendo ad intervenire su riviste
destinate a un pubblico vario e contemperando le proprie visioni politiche con una
sintetica esposizione della storia della regione libica, ma, alla pari dei
nazionalisti, basandosi su interpretazioni forzate dei testi antichi. Tale fu il
caso di Luigi Pareti (1885-1962), che pubblicherà su «Il Marzocco» un contributo su
Roma e la Libia talmente lungo e dettagliato da dover
essere diviso in tre pezzi diversi, apparsi fra il 19 maggio e il 2 giugno 1912
[51]
. Il suo scritto è sostanzialmente un repositorio di luoghi comuni
sull’importanza della presenza romana per lo sviluppo della regione, sulla sua
fertilità e sull’indolenza degli Arabi. L’apertura stessa del contributo è infarcita
del topos più ricorrente nel dibattito pubblico sulla romanità
della Libia, che è testimoniata dai ritrovamenti archeologici e che è a sua volta
dimostrazione della necessità italiana non di una «conquista», ma di un
«ritorno agli antichi possessi». Già si prefigura qui la
teoria dell’Italia come nuova Roma che Pareti sosterrà ancora, e con un più
accentuato favore per il Moderno, nell’Italia mussoliniana del 1938 e nella
Repubblica di Salò
[52]
.
Come solitamente accade in
questo genere di discorsi che difendono posizioni largamente condivise, colpisce il
mancato vaglio critico delle informazioni. La loro verità si autoimpone per la
convinzione stessa dell’autore e per il fatto che il suo punto di vista coincide con
quello del pubblico cui si rivolge. In tal modo, poche testimonianze archeologiche o
letterarie vengono facilmente sopravvalutate
¶{p. 85}fino a formare
un’intera trama storica. Si prenda a titolo esemplificativo il seguente brano:
Note
[42] Su di lui, cfr. quanto si dirà più avanti (cap. IV, § 5). Qui basti il rinvio a G. Manganaro Favaretto, Ettore Ciccotti (1863-1939). Il difficile connubio tra storia e politica, Trieste, Italo Svevo, 1989. Più specifico sul periodo, F. Santangelo, Ettore Ciccotti: l’interventismo di un «solitario»?, in E. Migliario e L. Polverini (a cura di), Gli antichisti italiani e la Grande Guerra, Firenze, Le Monnier, 2017, pp. 35-56.
[43] APCD, 23 febbraio 1912, pp. 17146-17152.
[44] Cfr. Pellizzari, Giardino delle Esperidi o «Voragine di sabbia»?, cit.
[45] APCD, 19 febbraio 1914, pp. 1483-1494.
[46] Che il libro sia stato pubblicato in quei giorni lo dimostra il fatto che il primo inserto pubblicitario per reclamizzare il volume sia apparso sul primo numero di aprile de «La Voce» (6, 13 aprile 1914, pagina retrostante il frontespizio).
[47] E. Pais, La storia antica negli ultimi cinquanta anni, in Atti della Società Italiana per il Progresso delle Scienze. Quinta riunione, Roma, SIPS, 1912, pp. 605-629: 627.
[48] Parole dette dal Preside Rettore Prof. Attilio De Marchi il giorno dell’inaugurazione dell’anno scolastico 1912-1913, in R. Accademia Scientifico-Letteraria (Facoltà di Filosofia e Lettere). Annuario per l’Anno Scolastico 1912-1913, Milano, Tip. Romitelli, 1913, pp. 7-15: 15.
[49] Cfr. L. Canfora, Il sovversivo. Concetto Marchesi e il comunismo italiano, Roma-Bari, Laterza, 2019, cap. I, § 4.
[50] Queste le tappe del dibattito fra i due: A. Ferrabino, Cirene mitica, in «Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino», 47, 1911-1912, pp. 505-529; G. Pasquali, Quaestiones Callimacheae, Gottingae, Officina Hubertiana, 1913, cap. II; A. Ferrabino, Ancora Cirene mitica, in «Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino», 49, 1913-1914, pp. 1063-1079; G. Pasquali, Ancora Cirene mitica, in «Studi Italiani di Filologia Classica», 21, 1915, pp. 467-483. Gli interventi pasqualiani per «Italia Nostra» sono ora in A. Guida, Giorgio Pasquali, un filologo classico fra Berlino e Roma, in Migliario e Polverini (a cura di), Gli antichisti italiani e la Grande Guerra, cit. pp. 69-105. Cfr. Cagnetta, Antichisti e impero, pp. 29-33.
[51] Poi in L. Pareti, Studi minori di storia antica, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1969, vol. IV, pp. 141-162 (da cui cito). L’autore interverrà ancora sulla questione della guerra italo-turca, in riferimento però all’occupazione italiana delle isole greche, in L’antico fato dell’Oriente greco, in «Il Marzocco», 17, 13 ottobre 1912, pp. 1-2. Cfr. E. Lepore, Luigi Pareti, in F. Sartori (a cura di) Praelectiones Patavinae, Roma, L’Erma di Bretschneider, 1972, pp. 43-74; G. Clemente, Luigi Pareti: uno storico antico a Firenze, in «Nuova Antologia», 626, 2009, pp. 231-245; A. Russi, Mondo classico e storiografia moderna, Roma, Quasar, 2017, pp. 655-780.
[52] L. Pareti, I due imperi di Roma, Catania, Muglia, 1938; Id., Passato e presente d’Italia, Venezia, Edizioni popolari, 1944.