«Anche là è Roma»
DOI: 10.1401/9788815410559/c2
A dare corpo all’opposizione
intellettuale all’impresa libica, in un primo momento, fu non a caso un personaggio
dalla traiettoria politica confusa, quando non ambigua, e una rivista che nell’illusione
di volersi tenere aperta a diverse opinioni finì col dare sempre più spazio a
nazionalisti e interventisti. Il 17 agosto 1911, Giuseppe Prezzolini faceva conoscere al
pubblico de «La Voce» i risultati dell’inchiesta della ITO, cioè la Jewish Territorial
Organization, un ente sorto in contrapposizione al sionismo di Herzl che cercava per il
disperso popolo ebraico un paese dove fondare un
¶{p. 65}proprio stato
che fosse però diverso dalla Palestina
[17]
. L’organizzazione aveva già promosso ricerche in varie regioni al fine di
trovare dei territori che risultassero vantaggiosi per condizioni sociopolitiche e
naturali e fra i vari paesi visitati vi fu anche la Cirenaica. Quest’ultima fu però
giudicata inadatta ad accogliere una comunità numerosa che avesse in animo di
espandersi, soprattutto a causa della grande siccità
[18]
.
Già Arcangelo Ghisleri aveva reso
nota l’esistenza di questo report al principio del maggio del 1911
sul giornale di cui era stato pocanzi direttore, «La Ragione» (4 maggio 1911), ma a
riprendere la notizia e a permetterle di raggiungere un pubblico maggiormente
diversificato che non fosse quello del quotidiano repubblicano fu, appunto, Prezzolini,
il quale diede così avvio a un più ampio dibattito sul tema. Il riferimento alla
missione della ITO era in effetti un argomento forte nel repertorio retorico
anticoloniale, dal momento che in Italia non era stata promossa alcuna ricerca sul campo
da parte del governo per sincerarsi di cosa davvero potesse offrire il suolo libico. La
missione archeologica del 1910, se poteva servire a fini di ricognizione e conoscenza
del territorio, non aveva certo valore in questo senso; né alcun valore potevano avere
gli sporadici viaggi dei corrispondenti giornalistici, pronti esclusivamente a
legittimare idee preconcette. Solo dopo la conquista, nel 1913, ci si renderà pienamente
conto di questa mancanza e anche allora la prima grande spedizione sarà guidata da un
ente non governativo, quale la Società per lo Studio della Libia di Leopoldo Franchetti,
egualmente scettica sulle reali potenzialità del territorio
[19]
.¶{p. 66}
3.1. «L’Unità». Problemi della vita italiana
L’articolo di Prezzolini
stimolò altri intellettuali e politici a prendere la penna per denunciare su «La
Voce» le facili osservazioni sulla prosperità del territorio libico che circolavano
soprattutto negli ambienti nazionalisti. Un ruolo preponderante in questo campo fu
svolto, com’è noto, da Gaetano Salvemini (1873-1957), che al tempo occupava la
cattedra di Storia moderna a Pisa ed era prevalentemente impegnato sul piano
politico nella lotta per il suffragio universale e per la ristrutturazione del
sistema elettorale italiano. Tradizionalmente, Salvemini era fra i socialisti
italiani quello che più intensamente si occupava dei problemi di politica estera e
questa sua specializzazione lo aveva d’altronde già portato ad affrontare il
problema della colonizzazione libica nel 1902, quando, per accordo sia di Francia e
Inghilterra che di Austria e Germania, si era concessa all’Italia la possibilità di
spingersi in Tripolitania. È interessante notare quanto il suo articolo su
Tripoli e l’Estrema, apparso su «La Critica Sociale» del 1°
giugno 1902, prefiguri già alcuni dei temi che si troveranno nella sua polemica del
1911-1912: la critica alla maniera troppo semplicistica di approcciare il problema
da parte socialista, la denuncia dell’illusione che la colonizzazione libica potesse
essere un rimedio all’emigrazione, la lettura di tale questione sul terreno delle
contese geopolitiche internazionali e, soprattutto, il giudizio profondamente
negativo su quanti trattavano la materia senza mostrare di averne alcuna seria
cognizione, dipingendo cioè la Tripolitania come un paradiso terrestre
[20]
. Proprio quest’ultimo argomento diventerà centrale in un ciclo di
articoli, che egli consegnerà alle colonne de «La Voce» fra il 24 agosto e il 28
settembre 1911. Ad ¶{p. 67}aprire la serie vi sarà uno scritto dal
titolo programmatico, Il trabocchetto tripolino
[21]
.
Il momento di più intenso
impegno di Salvemini sulla questione, tuttavia, inizierà qualche mese dopo, quando
abbandonerà «La Voce» per fondare il suo settimanale. Sarà su «L’Unità» che
Salvemini non solo pubblicherà molti dei suoi scritti più impegnativi
sull’argomento, ma che aprirà anche uno spazio di confronto per voci diverse. Tale
mutamento era dovuto al fatto che, soprattutto a partire dal 29 settembre, e cioè
dall’inizio effettivo delle operazioni militari in Libia, i giornali avevano per lo
più abbandonato l’idea di fare opposizione all’impresa, temendo di poter essere
accusati di disfattismo e antipatriottismo. Lo stesso Salvemini vide allora essergli
sottratta la possibilità di continuare a pubblicare scritti su quel tema all’interno
de «La Voce», dal momento che, dopo quella data, Prezzolini stimò «inattuale»
occuparsi del problema libico, decidendo di privilegiare soprattutto i temi
letterari e artistici.
A questa presa d’atto di
un’incolmabile distanza con «La Voce» – ma non dai vociani in generale, con cui
Salvemini continuerà a collaborare restando anche membro del comitato editoriale
della collana La libreria della Voce – si aggiunse la
definitiva sua rottura col Partito Socialista. Proprio come era stato per il suo
allontanamento dalla rivista, anche in questo caso il dissenso sull’atteggiamento da
tenersi nei confronti dell’impresa libica ebbe la sua parte nella scelta di
Salvemini. Questi, in una lettera a Oddino Morgari del 13 settembre 1913, dichiarò,
in particolare, di aver avvertito una «mala fede» da parte dei capi del PSI che
«dormivano sulle ginocchia di Giolitti» e si risvegliarono solo quando la guerra era
ormai inevitabile; «allora solo l’Avanti! cominciò a protestare
disordinatamente e incoerentemente. E fu inscenato uno sciopero generale buffonesco,
che si sapeva non sarebbe riuscito». Salvemini interpretava
pertanto il suo ¶{p. 68}allontanamento come l’esito di un «abisso
morale» rispetto a uomini che egli avrebbe voluto come modelli ma che agivano, in
maniera peraltro ambigua, solo se spinti dalle contingenze, senza un serio esame
della situazione e privi di idee forti sull’argomento
[22]
.
«L’Unità», il settimanale che
Salvemini fondò dopo il suo allontanamento dal Partito Socialista e da «La Voce»,
nasceva quindi con l’esigenza, fra le altre cose, di porre il problema della
campagna tripolina al centro della discussione. In particolare, muoveva Salvemini
l’avversione per la disonestà di un dibattito fatto di evidenti menzogne, che il
popolo italiano non riusciva a distinguere a causa del suo scarso senso critico. Di
fronte a tale stato di cose «L’Unità» volle pertanto assumersi il compito, anzitutto
morale, di ristabilire la verità rispetto alle false informazioni diffuse dai
nazionalisti e, così, dare corpo a una pedagogia politica, paternalisticamente volta
all’innalzamento del livello politico-culturale della società italiana.
In tale cornice Salvemini non
poté quindi astenersi dall’intervenire su uno degli argomenti più forti della
retorica colonialista, quale la prosperità della regione in età greco-romana, e
diversi articoli apparsi su «L’Unità», suoi e di altri, posero al centro della loro
analisi le opere degli autori antichi più spesso chiamate in causa.
3.2. Caratteri della polemica
Salvemini non era certo
inadatto a un tale compito. La sua formazione universitaria era avvenuta presso
l’Istituto di Studi Superiori di Firenze dove aveva potuto seguire i corsi di
maestri di prim’ordine nel campo della storia e delle letterature antiche: Pietro
Cavazza per le grammatiche, Achille Coen per la storia antica, Gaetano Trezza per la
letteratura latina e Girolamo Vitelli per la letteratura greca. Sebbene poi si
orientasse piuttosto verso il magistero del Villari e la storia medievale, Salvemini
non trascurò del tutto la storia ¶{p. 69}antica e molto lavorò, ad
esempio, a un’ampia recensione al libro di Gaetano Negri su L’imperatore
Giuliano l’Apostata
[23]
, tenendo sull’argomento anche un ciclo di lezioni
[24]
.
Questo solido retroterra gli
tornò utile nella campagna giornalistica contro quelle «falsificazioni tripoline»
che si avvalevano dei testi antichi e in particolare di Erodoto e Plinio. I passi
utilizzati nelle opere di questi scrittori da parte della stampa pro-libica si
cristallizzarono presto in un repertorio fisso di poche frasi ripetute
insistentemente. Dello scrittore greco, come si può vedere in vari contributi dei
nazionalisti Corradini, Bevione e Castellini
[25]
, si utilizzava soprattutto la notizia contenuta nel quarto libro delle
sue Storie (§ 199), secondo cui gli abitanti di Cirene erano
impegnati nel raccolto per otto mesi consecutivi. La testimonianza di Plinio era
invece stata rievocata con particolare enfasi in uno dei numerosi articoli di Andrea
Torre apparso sulle prime pagine del «Corriere della Sera» (28 settembre 1911) per
sostenere l’impresa libica. In questo intervento, il tema della floridezza antica
danneggiata dall’incuria arabo-turca era illustrato a partire da un aneddoto di
Plinio (XVIII, 94) secondo cui «all’imperatore Augusto fu presentata una spiga, di
Biracio [sic, in luogo di Bizacio], un paese all’est di Tunisi,
con 400 chicchi di grano, e a Nerone una della Cirenaica con 340 chicchi».
In un lungo contributo apparso
su «L’Unità» del 6 gennaio 1912 (Erodoto e Plinio, nazionalisti)
[26]
, Salvemini mostrò l’infondatezza di tali ricostruzioni. Diversamente dai
famosi e magniloquenti articoli dei suoi avversari,
l’intellet
¶{p. 70}tuale molfettese offrì anzitutto ai suoi lettori
la traduzione completa dei brani di cui si discuteva, mostrando che le esagerazioni
nazionaliste si reggevano soprattutto su un abile découpage; la
lettura diretta dei testi era ritenuta condizione indispensabile per permettere ai
lettori una valutazione critica e consapevole delle posizioni espresse nei due
campi. Poi, attraverso argomenti linguistici, valutazioni del contesto storico di
produzione delle testimonianze e un confronto con la realtà agraria coeva, Salvemini
giungeva a dimostrare l’infondatezza delle letture «colonialiste». Erodoto parlava
dell’intera Cirenaica e non della sola Cirene e il lungo periodo di raccolta in
punti diversi di uno stesso paese, situazione ben diversa dalla successione di più
raccolti sullo stesso punto, non ha nulla di straordinario.
Plinio invece veniva utilizzato per una notizia relativa a un territorio situato in
realtà nell’attuale Tunisia e non in Tripolitania. Quest’ultima regione era anzi
descritta dallo stesso come desertica e abitata soltanto da serpenti e bestie
feroci. «Altro che le spighe di 400 chicchi, e i cespi di 400 spighe, trasportati in
Cirenaica e in Tripolitania da Bizacio grazie alla buona volontà, per così dire,
dell’on. Andrea Torre».
Note
[17] G. Prezzolini, Perché non si deve andare a Tripoli. I, in «La Voce», 3, 17 agosto 1911, pp. 631-632.
[18] J.W. Gregory, Report on the Work of the Commission Sent out by the Jewish Territorial Organization, London, ITO, 1909.
[19] La Missione Franchetti in Tripolitania (il Gebel). Indagini economico-agrarie, Firenze-Milano, F.lli Treves, 1914; cfr. infra, nota 69. Una piccola spedizione di soli quattro agronomi era stata inviata nel 1912 per conto del Ministero dell’Agricoltura (Ricerche e studi agrologici sulla Libia, vol. I: La zona di Tripoli, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1913). Nel 1913, il Ministero delle Colonie ne inviò una più grande e più adatta allo scopo in cui vi erano anche rappresentanti di altre discipline, ma questa arrivò in Tripolitania solo a marzo, un mese dopo il gruppo guidato da Franchetti (Commissione per lo studio agrologico della Tripolitania, La Tripolitania settentrionale, Roma, Bertero, 1913) e spesso si sovrappose a questo (cfr. p. 206 del diario della spedizione redatto da Franchetti, disponibile online: urly.it/3nd3_, 11 febbraio 2023).
[20] Salvemini, Opere III.1, pp. 20-24.
[21] Era il 10 agosto quando Salvemini mostrò un primo interesse per la questione e chiese a Prezzolini di inviargli i libri di Piazza e Bevione: «voglio capire questo problema» (Id., Carteggio 1911, pp. 188-189 e 192-193).
[22] Id., Carteggio 1912-1914, pp. 391-392 (corsivo nel testo).
[23] G. Negri, L’imperatore Giuliano l’Apostata, Milano, Hoepli, 1901.
[24] La recensione rimase inedita ma è stata poi pubblicata da S. Bucchi, Salvemini e Giuliano l’Apostata, in «Archivio Storico per la Calabria e la Lucania», 52, 1985, pp. 107-143.
[25] La conferenza di Enrico Corradini, in «CdS», 5 maggio 1911, p. 5 (sezione del «Corriere milanese»); E. Corradini, L’ora di Tripoli, Milano, F.lli Treves, 1911, p. 4; G. Bevione, Come siamo andati a Tripoli, Torino, Bocca, 1912, p. 58; G. Castellini, Tunisi e Tripoli, Milano, Bocca, 1911, p. 166.
[26] Poi ripreso, con modifiche, in Come siamo andati in Libia, pp. 107-115, 133-145, e, da lì, in Salvemini, Opere III.1, pp. 130-143.