Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c6
Da qui il passaggio ai Piani
dell’Offerta Formativa (POF)
[22]
definiti in relazione ai contesti, alla domanda delle famiglie, alle
caratteristiche dei soggetti coinvolti. Con i
¶{p. 139}POF sono venuti
meno i «programmi ministeriali» definiti a livello centrale e si sono promosse le
Indicazioni per il curricolo. Infatti, le
Indicazioni si limitano ad alcune enunciazioni generali per
l’orientamento delle scelte che vanno assunte, in autonomia, dalle scuole. In sostanza,
si tratta di una profonda modificazione ordinamentale, che colloca nelle scuole le
competenze di indirizzo, definizione, organizzazione, controllo e verifica dell’offerta
formativa e dei propri risultati. Uno spostamento dal «centro pantocratore» che
determina alla «scuola autonoma» che si autodetermina
[23]
: «Il Piano è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e
progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare,
extracurricolare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito
della loro autonomia»
[24]
.
L’idea di scuola autonoma è talmente
affascinante da essere vera per antonomasia e dunque indiscutibile. Infatti, l’identità
culturale delle istituzioni scolastiche, la progettazione curricolare, extracurricolare,
educativa, organizzativa, la comunità professionale, la comunità educante di dialogo, di
ricerca, di esperienza sociale, sono diventate espressioni sempre più presenti nei
discorsi sulla scuola ideale e, di fatto, sempre più assenti nella scuola reale in
quanto difficili da realizzare alle condizioni date. Per entrare nel merito prendiamo
alcuni principi dell’organizzazione scolastica, che definiscono il processo di
elaborazione di un curricolo
[25]
:
1. principio di intenzionalità (le
finalità e gli scopi da perseguire);
2. principio di organizzazione (la
coerenza fra le diverse componenti);
3. principio di decisionalità (chi
si pone come guida e prende le decisioni);¶{p. 140}
4. principio di socialità (la
condivisione fra i soggetti coinvolti nell’elaborazione);
5. principio di selettività (le
scelte che bisogna compiere);
6. principio di pubblicità (la
comunicazione e la diffusione).
Assumere e realizzare questi
principi nella definizione di un curricolo diviene un compito difficile e, in mancanza
di autonomia, un compito impossibile
[26]
.
5. La libera intraprendenza delle scuole
Sono degli incorreggibili ottimisti
coloro che chiedono al Ministero di assumere quanto prima le proprie responsabilità di
indirizzo e di controllo, creando le giuste condizioni di fattibilità, attraverso una
riforma delle strutture portanti del sistema come l’autonomia scolastica, gli organi
collegiali, il sistema di valutazione, il contratto dei docenti e dei dirigenti.
Proprio questa refrattarietà e
rigidità del sistema ha portato le istituzioni scolastiche, in particolare le più
organizzate, ad intraprendere in autonomia i percorsi che ritenevano più significativi e
qualificanti per il proprio contesto. Difatti tutte le ultime innovazioni organizzative
e didattiche, le stesse «Avanguardie educative»
[27]
, non sono state promosse da sperimentazioni ministeriali, eppure si stanno
diffondendo su tutto il territorio nazionale.
Un nuovo modo di intendere
l’autonomia si sta facendo sistema. È un’intraprendenza nata liberamente nelle scuole,
¶{p. 141}oramai diffusa e radicata, che non vede più il governo del
sistema nel centralismo ministeriale, tetragono ai colpi di ventura
[28]
, e nemmeno nell’autonomia funzionale decentrata che, di fatto, non ha mai
visto una effettiva realizzazione oltre alle incombenze burocratiche passate dal
Ministero alle scuole. Stiamo invece assistendo a scuole che escono dalla propria isola
e si ritrovano in arcipelaghi, riunendosi intorno a una progettualità comune.
Un’intraprendenza con specifiche
finalità e una propria organizzazione. In alcuni casi abbiamo protocolli di intesa, in
altri casi convenzioni, in altri ancora statuti. A volte le scuole hanno costituito reti
di scopo, altre volte hanno stretto associazioni, oppure si sono poste come centri di
ricerca e formazione o addirittura sono entrate in cooperative o in fondazioni con il
privato sociale. In alcune situazioni le adesioni a queste libere iniziative, connotate
di senso, sono maggiori della presenza delle scuole, connotata territorialmente,
all’interno degli Uffici scolastici regionali. In definitiva si è diffuso un fenomeno
nuovo e inatteso, generato dalla necessità di governare i cambiamenti attraverso
processi di innovazione didattica e organizzativa.
Le «reti di scuole» sono già normate
nel Regolamento sull’autonomia scolastica
[29]
:
Le istituzioni scolastiche possono promuovere accordi di rete o aderire ad essi per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali [...] L’accordo può avere a oggetto attività didattiche, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di formazione e aggiornamento [...] le istituzioni scolastiche possono promuovere e partecipare ad accordi e convenzioni per il coordinamento di attività di comune interesse che coinvolgono, su progetti determinati, più scuole, enti, associazioni del volontariato e del privato sociale.
In sintesi, c’è una grande apertura,
con una pluralità di definizioni e di configurazioni ma, purtroppo, senza le
neces¶{p. 142}sarie funzioni di gestione. Anzi alcuni aspetti già
previsti dallo stesso Regolamento e relativi all’autonomia didattica e organizzativa
(artt. 4 e 5) sono comunque di difficile applicazione e altri ancora (come la gestione
finanziaria, del personale o degli edifici scolastici) implicano interessi troppo
divergenti e confliggenti per essere introdotti. In definitiva, l’autonomia scolastica è
in buona parte irrealizzata ma comunque è inadeguata rispetto all’intraprendenza
potenziale delle scuole. La stessa Amministrazione non è riuscita a incanalare le libere
iniziative delle scuole solo perché quotidianamente immersa nelle emergenze.
Paradossalmente siamo di fronte a una situazione «fortunatamente» fuori controllo,
generata dalla volontà di governare i cambiamenti da parte delle stesse scuole
nonostante l’immobilismo del governo centrale.
6. Un’autonomia modificata e ampliata
Con le modifiche al titolo V della
seconda parte della Costituzione prendeva istituzionalmente il via un vero e proprio
«sistema delle autonomie», all’interno del quale le istituzioni scolastiche godevano di
un grado di autonomia diverso rispetto allo Stato, alle regioni e agli enti locali. I
poteri alle scuole non venivano concessi, ma riconosciuti, in quanto esse svolgono una
specifica funzione sociale e la esercitano in un territorio in cui coesistono altre
autonomie. Di fatto i tanti discorsi intorno all’autonomia scolastica non hanno fatto
altro che creare una schizofrenia fra le buone intenzionalità del dichiarato e la
contingenza della realtà. A tale riguardo la ricerca comparativa a livello
internazionale ci documenta che in Italia i margini di autonomia sono alti nelle
definizioni progettuali, ad esempio con riferimento al «curricolo» (cfr. par. 4), ma poi
sono nulli per quanto riguarda gli effettivi poteri di gestione e sviluppo, ad esempio
con riferimento all’autonomia finanziaria collegata agli aumenti salariali o
all’autonomia gestionale collegata con la scelta dei docenti
[30]
. In sostanza, a differenza degli altri paesi, mancano
¶{p. 143}le leve più potenti per promuovere e governare il
miglioramento. Ora, se si volesse aprire un cantiere sull’autonomia, a normativa
vigente, vi sarebbero dei passaggi inesplorati nel d.p.r. 275/1999 che permetterebbero
degli sviluppi particolarmente innovativi. Ad esempio l’art. 11 riporta:
Il Ministro della Pubblica istruzione, anche su proposta del Consiglio nazionale della pubblica istruzione (oggi Consiglio superiore della pubblica istruzione), del Servizio nazionale per la qualità dell’istruzione (oggi Sistema nazionale di valutazione) [...] promuove, eventualmente sostenendoli con appositi finanziamenti disponibili negli ordinari stanziamenti di bilancio, progetti in ambito nazionale, regionale e locale, volti a esplorare possibili innovazioni.
Inoltre all’art. 12 si ritrova che i
contenuti dell’autonomia «possono essere progressivamente modificati ed ampliati dal
Ministro della Pubblica istruzione con successivi decreti». In sostanza ci sono tutte le
premesse per arrivare a una «autonomia modificata e ampliata».
Si dovrebbe innanzitutto concordare
su un principio: l’autonomia per la scuola, come per le persone, deve essere una
conquista. Infatti, la vera autonomia non è determinata dalla norma, bensì da
intraprendenza, responsabilità, efficienza, efficacia e economicità
[31]
all’interno di una organizzazione di persone che intenzionalmente si
autodeterminano.
Pensiamo in particolare a una
maggiore autonomia legata alle risorse professionali ed economiche, all’ambiente di
apprendimento e al curriculum. Sappiamo che un’autonomia su questi aspetti innesta
processi di innovazione e miglioramento con ottimi risultati nell’offerta formativa e
negli apprendimenti; così è stato, con una certa analogia, nelle esperienze delle
charter school nel sistema scolastico degli Stati Uniti, che
godono di un sistema particolare di autonomia, e nelle esperienze delle
academies del Regno Unito, che usufruiscono di finanziamento
pubblico, ma con autonomia su risorse economiche, professionali, programmi
¶{p. 144}e organizzazione scolastica. Anche in Italia abbiamo delle
scuole con statuti speciali (dunque è possibile), ma operano in situazioni particolari e
sono in un numero talmente ridotto che non permettono nessuna lettura di impatto
[32]
.
Note
[22] Con la legge 107/2015, art. 1, comma 14, il POF diventerà Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF). «Ogni istituzione scolastica predispone, con la partecipazione di tutte le sue componenti, il piano triennale dell’offerta formativa, rivedibile annualmente. Il piano è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia».
[23] A. De Toni e S. De Marchi, Scuole auto-organizzate: verso ambienti di apprendimento innovativi, Milano, Fabbri, 2017.
[24] D.p.r. 275/1999, art. 3, comma 1, Piano dell’offerta formativa.
[25] Vedi la rilettura dell’analisi del curricolo proposta da C. Scurati, in M. Castoldi, Curricolo per competenze: percorsi e strumenti, Roma, Carocci, 2013, p. 33.
[26] P. Watzlawick, Le ragioni dell’insuccesso non vanno dunque cercate nella impossibilità del compito ma piuttosto nella soluzione adottata per risolverlo, in J.H. Wekland e R. Fisch, Change, Milano, Astrolabio, 1974, p. 39.
[27] Attualmente le scuole all’interno di Avanguardie educative sono 1.119 (22 fondatrici, 34 capofila, 27 poli regionali, 1.070 adottanti). Le Avanguardie educative sono un movimento scolastico autonomo, supportato da INDIRE, che intende: «individuare, supportare, diffondere, portare a sistema pratiche e modelli educativi volti a ripensare l’organizzazione della Didattica, del Tempo e dello Spazio del “fare scuola” in una società della conoscenza in continuo divenire», http://www.indire.it/progetto/avanguardie-educative/.
[28] Noti versi di Dante, «Ben tetragono ai colpi di ventura» (Par. XVII, 24).
[29] Art. 7 del d.p.r. 8 marzo 1999, n. 275, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
[30] Cfr. Talis 2013, Teaching and Learning International Survey, Focus Italia 2014, tabella 2-8.
[31] Efficienza, efficacia ed economicità sono tipicamente citati come criteri di valutazione del buon andamento della Pubblica Amministrazione.
[32] Le scuole sperimentali in Italia sono tre: Città Pestalozzi di Firenze, Rinascita di Milano, Don Milani di Genova.