Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c7
È questa una delle cause principali della scarsa efficacia del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. Si aggiunga che la partecipazione del sindacato mediante il Cnel non giunge al cuore dei meccanismi di formazione della volontà politica, ma resta confinata all’esterno, esplicandosi in una collaborazione alla formulazione di pareri, del resto non obbligatori, su progetti di decisioni già predisposti dal governo. Da un punto di vista più generale va poi osservato che l’impostazione del Cnel si inquadra {p. 196}nella contrapposizione tradizionale tra Stato e società, e risponde al disegno di istituzionalizzare un’attività consultiva delle categorie professionali nei rapporti con lo Stato al fine di sottrarre il parlamento e il governo alla pressione diretta degli interessi organizzati. Ma questa impostazione finisce col ridurre il Cnel a un semplice organo tecnico, inidoneo a realizzare una rappresentanza degli interessi di categoria
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. La rappresentanza organica, operante col metodo collegiale, è un modulo inadeguato al pluralismo degli interessi organizzati che compongono la struttura sociale. L’azione degli interessi organizzati è già per se stessa una rappresentanza, non di natura istituzionale, ma di fatto
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, come tale caratterizzata da un rapporto di tensione dialettica con lo Stato, e quindi dalla tendenza a inserirsi immediatamente e autonomamente nei processi di formazione delle sintesi politiche in cui si esprime la volontà statale. Proprio questa qualità rappresentativa, che inerisce al sindacato in quanto organizzazione di interessi, viene compromessa in un sistema di partecipazione mediata dall’inserimento del sindacato, insieme con i suoi partners sociali, in un organo collegiale pubblico, soggetto al divieto del mandato imperativo e investito del compito di proporre alle camere o al governo schemi di formulazione dell’interesse generale, cioè di un interesse che è e rimane distinto da quello portato dal sindacato. Così concepita, l’idea della democrazia collettiva non è più coerente con l’ipotesi di una società pluralistica caratterizzata dal decentramento del potere politico, e scade al livello di semplice criterio di organizzazione dell’apparato dello Stato
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. A questo
¶{p. 197}livello la partecipazione perde il suo significato essenziale, che la costituisce come metodo di integrazione funzionale dell’interesse del sindacato nell’interesse generale, cioè come metodo per promuovere una coincidenza del primo col secondo: nel senso che l’interesse generale, formulato sulla base delle risultanze emerse dal confronto dialettico del governo col sindacato, rappresenta la misura in cui quest’ultimo ha autonomamente valutato possibile, nel momento dato, la realizzazione del proprio interesse di gruppo (o di classe)
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.
5. Digressione sul tema della partecipazione del sindacato ai livelli inferiori dell’attività amministrativa dello Stato.
In questa prospettiva meritano forse qualche riserva le conclusioni alle quali è pervenuta una parte della dottrina nel recente dibattito sulla riorganizzazione amministrativa della previdenza sociale, nel quadro del processo in atto di superamento della concezione mutualistico-assicurativa verso un sistema di sicurezza sociale. Contro la soluzione tradizionale del problema della partecipazione del sindacato, tenuta ferma dalla nuova legge sulle pensioni 30 aprile 1969, n. 153, e dal successivo decreto 30 aprile 1970, n. 639, ma con profonde modificazioni (soprattutto nel senso di un aumento della proporzione dei membri degli organi direttivi designati dalle organizzazioni dei lavoratori e di un’accentuazione dell’autonomia gestoria dell’ente), sono state opposte considerazioni critiche ¶{p. 198}convergenti nel rilievo che «la presenza di rappresentanti designati dal sindacato negli organi di enti pubblici quali gli istituti previdenziali è in netto contrasto con l’impostazione del sindacato come organizzazione preposta alla difesa di interessi distinti da quelli generali»
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. La conseguente assunzione di responsabilità per la gestione del servizio, si è aggiunto
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, limita e pregiudica il ruolo originario di critica e di contestazione del sindacato.
È possibile, invece, che le motivazioni contrarie a una impostazione di tipo organicistico dei rapporti del sindacato con lo Stato sul piano della partecipazione alle funzioni del potere politico, non siano altrettanto valide quando il problema si pone ai livelli inferiori delle attività amministrative preposte a servizi pubblici esclusivamente o principalmente destinati ai lavoratori. Il problema non può essere discusso conservando la tradizionale visione dualistica dei rapporti fra Stato e società, ma deve essere inquadrato nei mutamenti intervenuti nell’assetto del potere politico. L’apparato degli organi politici dello Stato non è più la sede esclusiva dei processi di formulazione dell’interesse generale, dal momento che in tali processi si sono inseriti, conservando la loro autonomia, i gruppi sociali organizzati. Nei rapporti con l’autorità amministrativa preposta all’attuazione dell’interesse generale così formulato, si tratta allora, per il sindacato, non tanto di verificare «dal di fuori» e a posteriori la conformità delle scelte da essa operate agli obiettivi sindacali
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, quanto di controllarne «dal di dentro», partecipando agli organi che le adottano, la conformità alle direttive politiche elaborate dal governo col concorso del sindacato, nelle quali sono perciò incorporati, nella misura consen¶{p. 199}tita dalla sua forza politica, gli obiettivi del sindacato.
Del resto, l’esperienza insegna che la contestazione è molto producente nei rapporti col potere politico, mentre nei rapporti col potere burocratico è facile a parole, ma poco o nulla producente nella sostanza. Da questo punto di vista non è da trascurare il rilievo che un apparato burocratico non può essere imbrigliato se non con un altro apparato burocratico
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. Se ciò è vero, l’attuazione della democrazia collettiva al livello delle attività amministrative richiede l’inserzione nelle strutture burocratiche statali dell’apparato burocratico delle organizzazioni sociali.
La dottrina sopra ricordata lascia intravvedere la preferenza per un diverso sistema, ispirato al modello inglese delle autonomie locali, e che ha trovato applicazione anche nel nostro paese, limitatamente agli enti preposti alla previdenza dei lavoratori autonomi. Tale sistema, che affida la nomina dei rappresentanti degli utenti del servizio negli organi dell’ente gestore all’elezione diretta da parte degli interessati, fornisce un modello di partecipazione dei cittadini all’attività amministrativa senza il tramite del sindacato. Si tratta, cioè, di un sistema di democrazia diretta individuale, non di democrazia collettiva. Ma l’esperienza dei paesi continentali, dove le tradizioni e i costumi amministrativi sono diversi da quelli inglesi, dimostra che l’immissione in organi burocratici statali di laici portatori di democrazia individuale, non designati dalle organizzazioni di categoria e privi del loro appoggio, si risolve sovente in un elemento puramente decorativo, e in definitiva in un rafforzamento del potere burocratico, che ne guadagna una comoda copertura di responsabilità
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.
6. La sola forma di partecipazione al potere politico dello Stato, compatibile con l’autonomia del sindacato, è la consultazione. Vantaggi e rischi di questo metodo di governo.
Ritornando al problema della partecipazione del sindacato alla determinazione delle scelte politiche, si devono escludere, a questo livello, i modelli di soluzione che inseriscono il sindacato nell’organizzazione dello Stato. E a questa valutazione si collega coerentemente anche l’abbandono, deciso dai sindacati, del metodo di partecipazione costituito dalla «creazione di legami istituzionali tra partito e sindacato nelle forme dell’unione personale»
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, mediante il cumulo nelle medesime persone di incarichi di responsabilità nel sindacato e del mandato parlamentare.
Il solo metodo compatibile con l’autonomia sindacale è la consultazione, destinata a promuovere un confronto tra posizioni di interessi originariamente in conflitto, per renderne possibile un componimento fondato sul compromesso. L’efficacia di tale strumento, e in pari tempo la sua legittimità dal punto di vista dell’interesse generale, saranno verificabili nella misura in cui riuscirà a ridurre il ricorso allo sciopero come mezzo di pressione sul pubblico potere
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. In questa visione della partecipazione quale nuovo mezzo di azione sindacale si spiega la preferenza del sindacato per la consultazione di tipo bilaterale, nella quale il pubblico potere assume soltanto la veste di interlocutore e non anche la veste di arbitro di un confronto contestuale del sindacato con la controparte sociale.
Si tratta, dunque, di un modo informale di determinazione della volontà politica, con funzione complementare rispetto ai procedimenti formali regolati dalla costituzione scritta. L’unica formalizzazione prospettabile è l’introduzione di un obbligo di consultazione, di cui offre un precedente l’art. 4 della legge 11 giugno 1962, n. 588, sul piano di rinascita della Sardegna
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. La consultazione ¶{p. 201}obbligatoria delle organizzazioni sindacali (più rappresentative) è ora prevista anche dal disegno di legge sulle procedure per la programmazione economica nazionale, sia in sede di predisposizione del documento programmatico contenente le opzioni di fondo, sia, dopo l’approvazione del documento da parte del parlamento, in sede di formulazione e di attuazione del programma. In ordine alla programmazione regionale va pure ricordato l’art. 4 del progetto di statuto della Lombardia, approvato dall’assemblea regionale il 30 ottobre 1970, a norma del quale «la Regione ... assicura, nella formazione e nell’attuazione dei propri programmi e piani, la partecipazione degli enti locali, dei sindacati e delle altre organizzazioni sociali». Per quanto concerne le organizzazioni dei lavoratori l’istituzionalizzazione della partecipazione nella forma dell’obbligo di consultazione soddisfa un’esigenza derivante da una loro particolare condizione. In quanto organizzazioni di cittadini soggetti al potere economico, i loro rapporti di forza subiscono vicende di alta e bassa congiuntura, onde l’obbligo di consultazione serve a garantire l’indipendenza da tali vicende del titolo del sindacato a partecipare alla formazione di decisioni politiche che incidono sulle condizioni dei lavoratori. Ma resta pur vero che l’obbligo giuridico non può garantire i risultati della consultazione, il cui valore sostanziale dipende dalla forza reale del sindacato, misurata soprattutto dalla sua capacità di mobilitare il consenso della massa dei lavoratori.
Occorre attendere gli sviluppi dell’esperimento in corso per valutare i riflessi della partecipazione sull’assetto costituzionale dello Stato, e in particolare per misurarne la portata sul sistema delle fonti del diritto, e sui meccanismi della produzione normativa. In questa sede si possono svolgere soltanto alcune considerazioni sui vantaggi, ma anche sui pericoli che comporta l’inserimento
¶{p. 202}del sindacato nei processi di formazione della volontà politica dello Stato.
Note
[46] Cfr. Perone, Osservazioni in tema di sindacato e parlamento, in Studi per il ventesimo anniversario dell’assemblea costituente, vol. III, Firenze, 1969, pp. 244 ss.
[47] Kaiser, Die Repräsentation organisierter Interessen, Berlin, 1956, pp. 354 s.; Huber, op. cit., p. 19. Sugli sviluppi del pensiero di Kaiser, v. però le riserve di Hirsch, op. cit., pp. 127 s.
[48] È questo il limite della concezione di Fraenkel, Kollektive Demokratie, cit., messo in risalto dall’affermazione (p. 92) che «il principio della democrazia collettiva lascia l’esercizio del pubblico potere all’autorità dello Stato; esso si pronuncia soltanto sul modo di composizione degli organi dello Stato». S’intende che il punto in questione investe solo il secondo membro di questa proposizione. Il primo membro è fuori discussione: in qualunque modo si attui, la partecipazione dei sindacati a funzioni pubbliche implica che tali funzioni «non diventano tuttavia loro proprie, ma rimangono dello Stato, sia che si tratti di funzioni economiche, sia che si tratti di funzioni più propriamente politiche, per l’ormai stretta connessione fra politica ed economia» (Santoro-Passarelli, op. loc. cit.).
[49] Reciprocamente, l’interesse generale formulato col metodo della partecipazione (che in questi termini rappresenta un metodo di governo) si traduce in un principio operativo che implica una commisurazione dell’attività del governo (e dei partiti che lo sostengono) agli impegni assunti col sindacato. Cfr. Giugni, Stato sindacale, pansindacalismo, supplenza sindacale, in «Politica del diritto», 1970, p. 55.
[50] Treu, Sicurezza sociale e partecipazione, in «Riv. dir. lav.», 1970, I, p. 137.
[51] Rescigno, in Atti del Convegno nazionale di studio sul tema Sicurezza sociale per una nuova condizione umana (promosso dal Patronato Acli), Roma, 1969, p. 166; e v. pure l’intervento di Perone, ivi, pp. 141 ss.
[52] Treu, op. cit., p. 141.
[53] Fraenkel, Kollektive Demokratie, cit., p. 94.
[54] Fraenkel, op. loc. cit. Anche Bockel, op. cit., p. 595, riconosce che «il sindacato è l’intermediario della partecipazione dei lavoratori».
[56] Sull’abuso dello sciopero come forma di pressione per le riforme, v. le riserve di Baglioni, L’azione per le riforme e la logica dell’esperienza sindacale, in «Prosp. sind.», 1970, n. 3, p. 22.
[57] Si può ricordare anche, in relazione al potere regolamentare del governo in materia di lavoro dei fanciulli e degli adolescenti, l’art. 4, comma 2°, della legge 17 ottobre 1967, n. 977 (d.p.r. 4 gennaio 1971, n. 36).