Luigi Mengoni
Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c7
Occorre attendere gli sviluppi dell’esperimento in corso per valutare i riflessi della partecipazione sull’assetto costituzionale dello Stato, e in particolare per misurarne la portata sul sistema delle fonti del diritto, e sui meccanismi della produzione normativa. In questa sede si possono svolgere soltanto alcune considerazioni sui vantaggi, ma anche sui pericoli che comporta l’inserimento
{p. 202}del sindacato nei processi di formazione della volontà politica dello Stato.
I vantaggi anzitutto. La consultazione mette in grado il sindacato di ottenere un’informazione più completa e approfondita su tutti i dati della realtà economica e sociale, che il governo è chiamato a comporre in sintesi politiche da tradurre poi in decisioni operative: «essere al corrente e comprendere, è già partecipare» [58]
. La consultazione consente inoltre di acquisire la collaborazione del sindacato nella fase istruttoria delle decisioni, evitando di metterlo di fronte a progetti già definiti, che, proprio perché predisposti senza la sua partecipazione, suscitano per naturale reazione la sua diffidenza, dalla quale è breve il passo alla contestazione. Infine, la consultazione è una forma flessibile, non vincolata a procedure rigidamente prestabilite in vista di un certo tipo di atto finale. Essa permette al sindacato di misurare il suo atteggiamento sulle circostanze del caso, secondo ciò che ritenga più consono agli interessi di cui è esponente. Il sindacato può limitarsi ad ascoltare, interloquendo per chiedere chiarimenti e precisazioni, oppure accettare una discussione destinata a creare convergenze e a eliminare contrasti; può anche, se lo crede opportuno, constatare formalmente il raggiungimento di un accordo che, senza avere né la struttura né gli effetti di un contratto, comporta però l’assunzione, per determinazione unilaterale, di un impegno politico di condotta coerente con i contenuti dell’accordo constatato, conservando piena libertà di controllo critico della conformità a tali contenuti dei provvedimenti successivamente adottati dal governo e della loro esecuzione.
La flessibilità di questo modo di partecipazione corrisponde alle caratteristiche della società pluralistica, che sfugge ad ogni consolidazione istituzionale ed è soggetta a un processo continuo di ristrutturazione degli interessi e di evoluzione verso nuovi equilibri. Le forme di rappre{p. 203}sentanza organica presuppongono una scelta aprioristica e rigida degli interessi e una valutazione non più modificabile del loro peso, dando luogo a un apparato incapace di riflettere i continui e rapidi mutamenti della realtà sociale. Invece, il metodo della consultazione attuata fuori da ogni rapporto organico, in vista di un confronto del potere pubblico con le organizzazioni sociali, consente al primo, e in particolare al governo, di scegliere volta per volta gli interlocutori che ritiene più adatti secondo gli interessi in gioco, di valutare i rapporti di forza nel dato momento e nel dato contesto, e infine, mediante l’articolazione della consultazione in incontri bilaterali, di garantirsi meglio la riserva del compito di mediazione e di sintesi politica dei punti di vista e delle esigenze prospettatigli.
In generale, si è affermato che la partecipazione degli interessi organizzati alla soluzione dei problemi di fondo della politica economico-sociale potrebbe apprestare una difesa contro le spinte della società industriale di massa verso strutture autoritarie di tipo tecnocratico, e promuovere una forma nuova e vitale di divisione dei poteri, capace di meglio assicurare la libertà dell’individuo [59]
. Ma non ci si deve nascondere che essa presenta anche notevoli rischi.
Intesa come modo di integrazione democratica diretta, la partecipazione dei gruppi sociali accorcia il processo di formazione della volontà politica. Ciò corrisponde all’esigenza di decisioni rapide ed efficienti, propria di una società in continua trasformazione, ma comporta anche il pericolo di una svalutazione del procedimento parlamentare, più lento, ma per le sue caratteristiche – discussione collegiale e decisione a maggioranza – meno soggetto a errori. D’altro lato, in quanto si risolve essenzialmente in un confronto di poteri contrapposti, il metodo della partecipazione può portare, anziché al compromesso, a situazioni di «stallo pluralistico». In tal caso si manifesta con particolare gravità il difetto della demo{p. 204}crazia collettiva costituito dalla mancanza di un meccanismo efficace di coordinamento dei poteri e di risoluzione dei conflitti, con la conseguente attitudine a ricorrere allo strumento della prova di forza.
Ma un rischio non meno grave inerisce anche all’altro aspetto della partecipazione, cioè alla tendenza al compromesso insita in questo metodo. La tendenza al compromesso emerge anche nel procedimento parlamentare, perché «il compromesso fa parte della natura stessa della democrazia» [60]
; ma qui emerge in un contesto caratterizzato dalla compresenza di tutti gli interessi espressi dalla sfera sociale, proporzionalmente garantita dalla totalità della rappresentanza politica elettiva. Questo carattere comprensivo e unitario manca, invece, alla rappresentanza dei gruppi di interesse, per sua natura parziale e preclusiva degli interessi delle minoranze non organizzate, in nome della massima del più grande bene per il più grande numero. Il metodo della partecipazione, ove portasse le grandi organizzazioni di interessi a confrontarsi con un potere pubblico non sufficientemente forte e non sufficientemente controllato dal parlamento, potrebbe diventare un fattore di accelerazione delle spinte del sistema verso una struttura corporativa. Il corporativismo di sinistra non è meno antidemocratico del corporativismo di destra: questo si identifica con lo Stato corporativo autoritario, quello con l’anarchia sindacale, che a sua volta mette in moto processi di reazione autoritaria. L’uno e l’altro segnerebbero il tramonto del pluralismo democratico.

7. Di alcune garanzie necessarie perché i rischi possano essere affrontati con un margine di sicurezza.

I rischi accennati non sono eliminabili, e, se si vuole giocare la carta della partecipazione, bisogna metterli in conto. Ma si possono affrontare con un margine di sicurezza solo se siano realizzate alcune garanzie.{p. 205}
Prima condizione è la responsabilità democratica delle organizzazioni professionali, non solo nei confronti degli iscritti, ma di tutti coloro che sono coinvolti nell’azione sindacale. Una rigorosa democrazia interna ostacola le tendenze oligarchiche che incombono sul sindacato come su ogni altra organizzazione, e impone ai dirigenti una verifica costante della volontà ipotetica del gruppo, da essi formulata ai fini operativi, sulla volontà reale dei lavoratori. Per tale verifica il movimento dei lavoratori è riuscito ad apprestare nuovi e più efficaci strumenti, dei quali il sindacato non disponeva in precedenza e che, almeno in parte, sono ora protetti dallo «statuto dei lavoratori». Questi strumenti potrebbero anche rivelarsi utili come mezzi di revisione e di sblocco di posizioni rigidamente assunte dai dirigenti sindacali nei confronti del pubblico potere, non di rado sulla base di assolutizzazioni di natura ideologica e astratta [61]
. Inoltre, in un’organizzazione complessa quale il sindacato, inevitabilmente esposta a spinte centrifughe, il rispetto delle regole di democrazia interna assicura il necessario raccordo della politica contrattuale delle federazioni con l’azione partecipativa condotta dalla confederazione, le quali devono coordinarsi in una visione unitaria e coerente. Senza questo raccordo, che postula un maggiore controllo della centrale sindacale sui sindacati di categoria [62]
, la confederazione si presenterebbe all’incontro col potere pubblico come un interlocutore privo di autorità e poco credibile.
Contro il pericolo di sbocchi in un corporativismo
antiparlamentare occorre garantire la pubblicità dell’azione dei gruppi d’interesse, e quindi la conoscibilità dei loro fini e dei valori in essi incorporati. Se la partecipazione significa legittimazione dei gruppi di pressione all’attività politica, la pubblicità diventa un elemento integrante di tale legittimazione. Essa è una condizione indispensabile sia per attivare il controllo critico delle organizzazioni concorrenti e in definitiva della suprema istanza sociale costituita dalla pubblica opinione, sia per rendere effettiva la responsabilità del governo verso la suprema istanza politico-istituzionale costituita dal parlamento, al quale competono le decisioni ultime sugli interessi generali della comunità politica.
Infine, condizione fondamentale per un corretto funzionamento della partecipazione è la programmazione economica, che deve costituire il quadro di riferimento e il parametro di controllo del confronto degli interessi organizzati tra di loro e col pubblico potere. Solo la programmazione, intesa come coordinamento dei centri autonomi di decisione in cui si articola la democrazia pluralistica [63]
, può rafforzare il confine, altrimenti fragile, che separa il pluralismo dall’anarchia. La «funzione di aggregazione della domanda di provvedimenti al sistema politico istituzionale» assunta dal sindacato [64]
, ove non fosse regolata da scelte prioritarie e da una corrispondente gerarchia di obiettivi, si tradurrebbe in una pressione disordinata sulla spesa pubblica e in conseguenti spinte a processi di inflazione. E l’inflazione rappresenta un limite, da tempo riconosciuto, alla possibilità di funzionamento del pluralismo democratico. Quando c’è inflazione, il contropotere del sindacato cessa di essere un fattore di equilibrio e di stabilizzazione, e «assume, invece, una forma maligna, che diventa parte della dinamica stessa dell’inflazione» [65]
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Note
[58] Bloch-Lainé, Pour une réforme de l’entreprise, Paris, 1963, p. 98.
[59] Kirsch, op. cit., p. 145.
[60] Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, Milano, 1962, p. 293.
[61] Come scrive Momigliano, Sindacati, progresso tecnico, programmazione economica, Torino, 1966, pp. 128 s., occorre «garantire sempre meglio i lavoratori che l’aderenza ai loro problemi economici attuali non verrà sacrificata ad obiettivi derivanti da una “coscienza antagonista” nei confronti del sistema». Ma si può già notare una tendenza del sindacato a limitare il ricorso agli strumenti di democrazia diretta garantiti dallo statuto (assemblee di fabbrica, referendum) all’azione contrattuale (nell’ambito della quale i sindacalisti non perdono occasione per proclamare che «è saltato il principio della delega»), e a fame a meno, invece, quando si tratta di decidere l’azione (e gli scioperi) per le riforme.
[62] Cfr. Andreatta, Strategia sindacale in un’economia di piano, in «Quad. di azione sociale», 1965, p. 98.
[63] Momigliano, op. cit., p. 147.
[64] Romagnoli, Appunti in tema di società operaie, sindacati e partiti, in Studi in memoria di A. Gualandi, Urbino, 1969, p. 221.
[65] Galbraith, Il capitalismo americano, Milano, 1955, p. 221.