Luigi Mengoni
Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c5
In tutti i paesi europei l’atto di nascita del diritto del lavoro è una legge di tutela del lavoro delle donne e dei
{p. 128}fanciulli, in quanto categorie sociali particolarmente deboli, le cui esigenze di vita erano maggiormente esposte al pericolo di pregiudizi causati dallo sfruttamento del lavoro [9]
. È questa, nella storia del diritto, la prima legge che assume l’età, insieme col sesso, quale criterio di speciale protezione delle esigenze della vita materiale, con riferimento ai bisogni dello sviluppo fisico e morale dei fanciulli e alle funzioni familiari della donna. Nel diritto attuale, mentre è in linea di massima cessata, secondo il precetto dell’art. 37 Cost., la rilevanza del sesso come criterio di trattamento differenziato del lavoro femminile, si è ampliata e intensificata la tutela dell’età evolutiva, in ordine alla quale la legge 17 ottobre 1967, n. 977, detta una disciplina articolata nelle due fasi della fanciullezza, fino ai quindici anni, e dell’adolescenza, dai quindici ai diciotto anni.
La prima fase è qualificata da un divieto generale di occupazione dei fanciulli. L’importanza preminente di questa regola, che stabilisce una incapacità giuridica speciale a tutela dello sviluppo fisico e psichico del fanciullo, è sottolineata dall’art. 37, comma 2°, Cost., il quale dispone una riserva di legge per la determinazione dell’età minima per l’ammissione al lavoro salariato. Il coordinamento di questa garanzia costituzionale con l’altra dell’istruzione obbligatoria (art. 34) non è del tutto soddisfacente, posto che la legge n. 977 del 1967 fissa il limite generale di età per l’accesso al lavoro al compimento dei quindici anni, mentre le leggi sulla scuola fissano l’obbligo scolastico dal sesto al quattordicesimo anno di età. Rimane così scoperto un periodo, tra i quattordici e i quindici anni, durante il quale il fanciullo, pur non essendo più obbligato a frequentare la scuola, non è ancora ammesso alla vita professionale se non, eccezionalmente, per certe occupazioni scarsamente qualificate come i lavori agricoli o i servizi familiari, ovvero alcuni lavori non industriali di modesto impegno.{p. 129}
Per gli adolescenti il problema risolto dalla legge n. 977 è quello di temperare la valutazione tipica che li costituisce generalmente capaci al rapporto di lavoro con norme che in qualche misura personalizzino l’ammissione al lavoro, assoggettandola a controllo sia dal punto di vista della natura delle mansioni, sia dal punto di vista dell’idoneità fisio-psichica dell’adolescente. Dal primo punto di vista la legge individua alcune categorie di mansioni per le quali, in ragione della loro insalubrità, pericolosità o faticosità, ovvero per la potenzialità di pregiudizio alla formazione morale dell’adolescente, l’età minima viene elevata oltre i quindici anni; dal secondo punto di vista il requisito formale della capacità giuridica, determinata dall’età cronologica, viene integrato dal requisito sostanziale dell’accertamento dell’idoneità all’attività lavorativa oggetto del contratto mediante visita medica preventiva, alla quale, se positiva, dovranno seguire, nel corso del rapporto, periodiche visite di controllo a intervalli non superiori a un anno.
Per una serie di occupazioni particolarmente pericolose, in quanto espongono il lavoratore all’azione di sostanze tossiche o comunque nocive, il requisito della visita medica si prolunga nel periodo della cosiddetta seconda adolescenza, comprendente i giovani tra i diciotto e i ventuno anni [10]
.

3. La tutela delle esigenze di vita dei lavoratori nell’età lavorativa e nell’età pensionabile.

Nelle leggi sul lavoro minorile la tutela della salute nell’età evolutiva opera principalmente con lo strumento del divieto, che comporta limiti alla libertà di contratto: divieto generale di occupazione dei fanciulli, divieti speciali per gli adolescenti, collegati a certi tipi di mansioni o alle risultanze negative della visita medica preventiva.{p. 130}
Una volta costituito il rapporto di lavoro si pone invece, nei confronti del lavoratore di qualunque età, un problema di limiti del potere organizzativo e direttivo del datore mediante l’imposizione di obblighi positivi destinati a fornire un ambiente di lavoro adatto a garantire l’integrità fisica, la salute e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Questi obblighi di sicurezza furono stabiliti originariamente (da noi alla fine del secolo scorso) con leggi di diritto pubblico sull’igiene del lavoro e sulla prevenzione degli infortuni. Ma già nei primi anni del nuovo secolo la dottrina civilistica, svolgendo le implicazioni normative della caratterizzazione del rapporto di lavoro come rapporto contrattuale in cui è coinvolta la persona, e non soltanto il patrimonio, di una delle parti, configurava a carico del datore di lavoro un obbligo di sicurezza (o di protezione) derivante dalla stessa legge del contratto, e quindi correlato a un diritto soggettivo del lavoratore. Questa dottrina è stata sanzionata dal codice del 1942 nell’art. 2087, il quale include nell’area degli interessi protetti dal contratto anche interessi di natura non patrimoniale, aventi per oggetto la conservazione della salute e dell’integrità fisica del prestatore di lavoro, così che pure alla violazione di tali interessi sono applicabili i rimedi contro l’inadempimento del contratto [11]
.
L’art. 2087 c.c., ora integrato e rafforzato dall’art. 9 dello statuto dei lavoratori, è uno degli indici normativi più significativi del mutamento prodotto dal diritto del lavoro nell’antropologia sottostante al diritto civile. Questo mutamento, che ha fatto emergere sul piano della {p. 131}considerazione normativa un uomo in carne ed ossa, e non più soltanto l’astratto individuo moralmente autonomo dell’etica formale kantiana, non solo ha allargato la tutela del rapporto di lavoro ai problemi della salute del lavoratore, ma ha messo in luce anche un altro aspetto delle sue esigenze di vita.
Come ho già notato, l’ideologia dell’individualismo possessivo portava a considerare anche il lavoratore alla stregua di un proprietario, e quindi di un soggetto investitore capace di provvedere da sé, mediante il risparmio privato, ai bisogni futuri derivanti da una causa fisiologica, come la senescenza, o patologica di inabilità al lavoro. Il nuovo modello antropologico elimina questa sovrastruttura ideologica e promuove una valutazione più realistica dei lavoratori come classe sociale istituzionalmente incapace di risparmiare, e perciò bisognosa di provvidenze pubbliche che organizzino uno strumento collettivo atto a garantire la continuazione di un flusso di reddito al lavoratore anche nei periodi di inabilità al lavoro, e in particolare nell’età della vecchiaia.
Insieme con la legislazione scolastica e con la legislazione sulla tutela del lavoro minorile, la legislazione sulle pensioni della previdenza sociale ha diviso i cittadini in tre classi di età: l’età scolare, tendenzialmente coincidente con la fanciullezza nel senso del diritto del lavoro; l’età lavorativa, comprendente l’adolescenza e l’età adulta; l’età pensionabile, che di regola è raggiunta per gli uomini al sessantesimo anno, per le donne al cinquantacinquesimo, con facoltà della lavoratrice di ritardarla fino ai sessantanni (legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 4). A questa divisione corrisponde una differenziazione sociale, cioè una diversificazione di ruoli e di aspettative coordinata con le esigenze del sistema produttivo. Particolarmente notevole è la differenza delle aspettative rispetto alla stabilità del posto di lavoro fissata dall’art. 11, comma 1°, 1. 15 luglio 1966, n. 604.

4. I limiti dell’intervento del diritto del lavoro.

La tutela della vita materiale nelle varie età dell’uomo non può {p. 132}essere assunta dal diritto del lavoro oltre certi limiti. Anzitutto limiti intrinseci, derivanti dal collegamento della tutela al rapporto di lavoro. Per esempio, i problemi dell’infanzia entrano nell’orizzonte del diritto del lavoro solo di riflesso, in funzione delle esigenze della lavoratrice madre, quindi limitatamente alla prima infanzia e per i soli bisogni di nutrizione e di custodia del bambino durante l’orario di lavoro [12]
. I problemi della senescenza sono percepiti esclusivamente sotto il profilo del pensionamento del lavoratore e del proseguimento in suo favore dell’assicurazione contro le malattie.
In secondo luogo opera il limite esterno definito dall’oggetto stesso del diritto del lavoro. Essendo costituito per la protezione dei lavoratori, esso non può estendere la propria normativa oltre la cerchia degli occupati se non con istituti, quali il collocamento e l’assicurazione contro la disoccupazione, destinati a favorire l’inserimento o il reinserimento nella vita professionale.
La correzione dell’individualismo proprietario in senso produttivistico segna certamente un progresso decisivo dell’attenzione del diritto per la persona umana e uno spostamento di accento dai problemi della giustizia commutativa, sui quali è concentrato il codice civile, ai problemi della giustizia distributiva. Ma in pari tempo insinua un criterio di discriminazione nei confronti dei membri più deboli della società, cioè di coloro che per fattori fisiopsichici o sociali o economici rimangono esclusi dal mondo del lavoro. Fino alla recente riforma sanitaria, che ha attuato l’art. 32 Cost., la discriminazione incideva soprattutto sulla tutela della salute. Solo i lavoratori godevano di una protezione individuale nella forma del diritto soggettivo: diritto all’assistenza medico-farmaceutica verso l’ente pubblico gestore dell’assicurazione contro le malattie, nonché, in costanza di rapporto di lavoro, diritto verso il datore alla conservazione del posto e della retribuzione per un certo periodo di tempo. Nel secondo dopoguerra l’assicurazione sociale è stata
{p. 133}progressivamente estesa ai lavoratori autonomi e ai liberi professionisti. Gli altri cittadini, estranei a queste categorie professionali, che non fossero in grado di provvedersi con un’assicurazione volontaria contro il rischio della malattia, erano rimessi all’assistenza e alla beneficenza pubbliche (salvo il temperamento apportato, a partire dal 1969, dall’istituzione della pensione sociale).
Note
[9] Per l’Italia, v. da ultimo, Martone, Le prime leggi sociali nell’Italia liberale, in «Quaderni fiorentini», III/IV (1974-1975), Il «socialismo giuridico», vol. I, pp. 103 ss.
[10] Cfr. Treu, La tutela del minore nel diritto del lavoro, in L’autonomia dei minori tra famiglia e società, a cura di De Cristofaro e Belvedere, Milano, 1980, pp. 441 ss. V. pure, per alcuni riferimenti che interessano il nostro punto di vista, Sandulli, Aspetti pubblicistici della posizione dei minori, in «Dir. e società», 1981, pp. 709 ss.
[11] Per dare ingresso a tali rimedi non occorrono le forzature dogmatiche di certa recente dottrina del diritto del lavoro, la quale contesta la qualificazione del dovere di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c. nella categoria degli «obblighi di protezione» e si ingegna di ricondurlo nel contenuto dell’obbligazione principale di prestazione del datore di lavoro. Cfr. per es. Bianchi D’Urso, Profili giuridici della sicurezza nei luoghi di lavoro, Napoli, 1980, p. 18, testo e nota 28, il quale ritiene di screditare la dottrina prevalente con qualche battuta di «dietrologia» modello (primi) anni Settanta. Per la critica di simile indirizzo v. in generale Castronovo, Obblighi di protezione e tutela del terzo, in «Jus», 1976, pp. 143 ss., 178 s.
[12] L. 30 dicembre 1971, n. 1204, artt. 7, 10.