Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c5
La correzione dell’individualismo proprietario in senso produttivistico segna certamente un progresso decisivo dell’attenzione del diritto per la persona umana e uno spostamento di accento dai problemi della giustizia commutativa, sui quali è concentrato il codice civile, ai problemi della giustizia distributiva. Ma in pari tempo insinua un criterio di discriminazione nei confronti dei membri più deboli della società, cioè di coloro che per fattori fisiopsichici o sociali o economici rimangono esclusi dal mondo del lavoro. Fino alla recente riforma sanitaria, che ha attuato l’art. 32 Cost., la discriminazione incideva soprattutto sulla tutela della salute. Solo i lavoratori godevano di una protezione individuale nella forma del diritto soggettivo: diritto all’assistenza medico-farmaceutica verso l’ente pubblico gestore dell’assicurazione contro le malattie, nonché, in costanza di rapporto di lavoro, diritto verso il datore alla conservazione del posto e della retribuzione per un certo periodo di tempo. Nel secondo dopoguerra l’assicurazione sociale è stata
¶{p. 133}progressivamente estesa ai lavoratori autonomi e ai liberi professionisti. Gli altri cittadini, estranei a queste categorie professionali, che non fossero in grado di provvedersi con un’assicurazione volontaria contro il rischio della malattia, erano rimessi all’assistenza e alla beneficenza pubbliche (salvo il temperamento apportato, a partire dal 1969, dall’istituzione della pensione sociale).
Siffatta condizione corrispondeva all’impostazione tradizionale delle leggi sanitarie di diritto pubblico, dalle quali era tutelata immediatamente non tanto la salute intesa come bene fondamentale della persona, quanto la «sanità pubblica» (art. 1 t.u. 27 luglio 1934, n. 1265) intesa come elemento dell’ordine pubblico, ossia l’interesse pubblico a impedire la diffusione delle malattie e a separare i malati dalla «compagnia dei sani», «sicché la cura della sanità o dell’igiene pubblica si colorava quale funzione di polizia»
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In ordine alla difesa della salute contro le nocività dell’ambiente prodotte dalle attività industriali, una tutela individuale nella forma del diritto soggettivo è apprestata dal codice civile, fuori dai luoghi di lavoro (art. 2087), soltanto nei rapporti tra proprietari di fondi vicini (artt. 844, 890), mentre per gli altri cittadini esposti agli effetti nocivi di «lavorazioni insalubri» si configurava un mero interesse occasionalmente protetto dalle norme di diritto pubblico stabilite a protezione dell’«incolumità» o della «salute del vicinato» (artt. 216 e 217 t.u. leggi sanitarie cit.).
5. La generalizzazione della tutela sulla base del principio di uguaglianza. La periodizzazione della vita umana negli artt. 31 e 38 Cost.
La tendenza discriminante insita nel modello dell’uomo produttore, la quale può ritorcersi sugli stessi lavoratori considerati in altri ruoli sociali (in quanto consumatori, inquilini ecc.), è mitigata dalle ¶{p. 134}norme costituzionali, dette «promozionali», che sviluppano il concetto di giustizia definito dall’art. 3, comma 2°, come la rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Tali norme presuppongono una ulteriore caratterizzazione antropologica del diritto moderno, che è stata designata col termine di «egualitarismo»
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. Ma è un termine ormai segnato da una valenza negativa, legata agli eccessi di certe politiche di livellamento praticate nell’ultimo decennio; è preferibile parlare di principio di uguaglianza in senso sostanziale, inteso come momento essenziale del valore della dignità umana, elevato dalla Costituzione a istanza assiologica suprema di controllo dell’ordinamento positivo. In questo senso, che si definisce primariamente a livello antropologico, il principio di uguaglianza significa che la dignità umana non dipende dalle circostanze esteriori, dai ruoli sociali occupati dall’individuo, ma è un valore che inerisce all’uomo in quanto uomo.
Sulla base di tale principio la tutela giuridica dei bisogni vitali si inserisce nella sfera dei diritti fondamentali o inviolabili della persona (art. 2 Cost.), e quindi viene organizzata con la tecnica garantistica. L’art. 32 Cost. protegge la salute come «fondamentale diritto dell’individuo», oltre che come interesse della collettività, e riserva alla legge la possibilità di disporre trattamenti sanitari obbligatori nei limiti imposti dal rispetto della dignità umana. L’art. 38, comma 1°, riconosce ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. Ma va ricordato anzitutto l’art. 31 in quanto norma di sostegno della famiglia nell’adempimento dei compiti che le competono ai fini dello sviluppo della personalità umana. Il comma 2° delinea una parziale periodizzazione della vita dell’uomo, assumendo ad oggetto di speciale tutela, oltre alla maternità e quindi ai periodi prenatale e perinatale della vita, l’infanzia e la gioventù, con riferimento a tutte le esigenze, non solo igienico-sanitarie, ma ¶{p. 135}pure psichico-affettive, delle varie fasi dell’età evolutiva.
I provvedimenti più importanti di attuazione di questa tutela costituzionale nel campo del diritto pubblico sono l’istituzione degli asili-nido comunali per la prima infanzia
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, dove i bambini fino a tre anni non solo sono custoditi con funzioni di supplenza della famiglia, ma ricevono anche un’assistenza sanitaria e psicopedagogica professionalmente qualificata in un ambiente adatto a favorirne l’armonico sviluppo; e per la seconda infanzia l’istituzione della scuola materna statale
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, che educa i bambini dai tre ai sei anni «continuando e integrando, in intima collaborazione, l’opera e le iniziative della famiglia»
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. Nel campo del diritto privato si ricollega all’art. 31, comma 2°, oltre che all’art. 30, comma 2°, l’istituto dell’adozione speciale introdotto nel codice civile dalla legge 5 giugno 1967, n. 431, allo scopo di procurare una famiglia ai bambini di età inferiore agli otto anni in stato di abbandono materiale e morale.
Le «esigenze della vita» nell’età della vecchiaia sono espressamente considerate solo nel comma 2° dell’art. 38 Cost. con riguardo ai lavoratori, ma il riferimento alla «terza età» è implicito anche nel comma 1°, la vecchiaia essendo una causa di inabilità al lavoro e quindi di incapacità di guadagno. In attuazione di questa norma, che insieme con l’art. 32 programma la trasformazione del sistema di previdenza sociale, riservato ai lavoratori, in un sistema generale di sicurezza sociale, la legge 30 aprile 1969, n. 269, ha istituito la «pensione sociale» in favore di tutti i cittadini ultrasessantacinquenni in disagiate condizioni economiche. Si osservi peraltro che il ruolo di lavoratore precedentemente ricoperto durante l’età lavorativa, mentre non è più criterio esclusivo di accesso al diritto alla pensione, rimane un criterio di diversificazione della misura del diritto. Ai lavoratori, infatti, è riconosciuto un trattamento preferenziale, commisurato alle «esigenze di
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vita», mentre ai cittadini non abbienti è riconosciuto soltanto il diritto al mantenimento. Gli altri problemi della senescenza rientrano nell’àmbito dell’art. 32 concernente la tutela della salute, che è venuta sempre più differenziandosi dalla tutela del reddito
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. La legge 28 dicembre 1978, n. 833, espone nell’art. 2 una definizione degli obiettivi del servizio sanitario nazionale articolata anche in funzione delle varie età degli utenti, con specifico riferimento, da un lato, alla tutela della salute nell’età infantile e nell’età evolutiva, dall’altro alla «tutela della salute degli anziani, anche al fine di prevenire e di rimuovere le condizioni che possono concorrere alla loro emarginazione».
Alla stregua di questo ampio concetto di salute, intesa non semplicemente in senso negativo, come assenza di malattia, ma nel senso positivo di «benessere biologico e psichico dell’uomo», e quindi pure in funzione della «qualità della vita»
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, si può dire che contribuisce alla tutela della salute degli anziani anche il nuovo trattamento successorio del coniuge, introdotto dalla legge di riforma del diritto di famiglia, il quale comprende inderogabilmente i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del coniuge defunto o di entrambi (art. 540 c.c.): diritti destinati ad assicurare al coniuge superstite, al di là del semplice interesse a disporre di un alloggio, la conservazione del rapporto affettivo con l’ambiente in cui è vissuto in comunione di vita col coniuge scomparso.
In generale, la preoccupazione di mantenere per quanto possibile l’anziano nel suo ambiente originario di vita, o almeno di riprodurre nel nuovo ambiente in cui viene ospitato le sue abitudini precedenti, qualifica tutta la legislazione regionale sull’assistenza agli anziani
[20]
. Ac¶{p. 137}canto all’assistenza di tipo tradizionale fornita dalle case di riposo, o dai gerontocomi in caso di malattie croniche o di grave indebolimento delle capacità intellettive, sono previste nuove forme che si riassumono nel concetto di «servizi aperti»: assistenza domiciliare, assistenza abitativa, centri diurni d’incontro, soggiorni climatici, ecc. Tutte queste forme mirano a supplire le funzioni di protezione e di accoglienza dei vecchi un tempo adempiute dalla grande famiglia, con la differenza però, incolmabile, che la cura disinteressata e personalizzata dei familiari è ora sostituita dall’assistenza professionalizzata di operatori salariati
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6. Tutela della salute del minore e potestà parentale.
Per l’età evolutiva obiettivi generali della legislazione sanitaria di diritto pubblico sono la riduzione del tasso di patologia e di mortalità infantile, ancora relativamente elevato nel nostro paese, il recupero e l’integrazione sociale dei soggetti handicappati, la prevenzione (soprattutto mediante i servizi della medicina scolastica) dell’insorgere di malattie nelle età successive.
Dal punto di vista del diritto privato si pongono altri problemi, che attengono al rapporto fra tutela della salute del minore e potestà dei genitori. Anzitutto il problema di un intervento pubblico a protezione del minore nei confronti di comportamenti pregiudizievoli dei genitori, ma non di tale gravità da dar luogo alla pronuncia di decadenza dalla potestà o a una dichiarazione dello stato di adottabilità. Già l’art. 21 t.u. delle leggi sulla protezione e assistenza della maternità e dell’infanzia (r.d. 24 dicembre 1934, n. 2316), trasfuso nell’art. 403 c.c., prevedeva che i minori allevati in locali insalubri o pericolosi fossero ritirati e collocati in luogo sicuro con un provvedimento
¶{p. 138}dell’autorità competente (cioè l’autorità di pubblica sicurezza) e a cura degli organi di protezione dell’infanzia, fino a quando si potesse provvedere in modo definitivo alla loro protezione. Più in generale gli artt. 333 e 336 c.c. forniscono al giudice uno strumento di intervento sostitutivo del consenso dei titolari della potestà, quando essi si oppongano all’applicazione di trattamenti terapeutici necessari per assicurare la sopravvivenza del figlio o per preservarne la salute da gravi pregiudizi
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Note
[13] Così Corasaniti, Commento agli artt. 1-2 della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, in Nuove leggi civili commentate, 1979, p. 1201.
[14] Lombardi Vallauri, Corso, cit., p. 306.
[15] L. 6 dicembre 1971, n. 1044; 1. 29 novembre 1977, n. 891.
[16] L. 18 marzo 1968, n. 444, e d.p.r. 10 settembre 1969, n. 647.
[17] Cfr. d.p.r. 11 giugno 1958, n. 584
[18] Persiani, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca, Bologna-Roma, 1979, sub art. 38, p. 245.
[19] Cfr. art. 27 d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, e Cass. s.u., 6 ottobre 1979, n. 5172, in Foro it., 1979, I, c. 2302.
[20] Cfr. Poletti e Zana, La tutela della salute nella legislazione speciale italiana, in Tutela della salute e diritto privato, cit., pp. 29 s., testo e nota 38.
[21] Per misurare l’importanza sociale del problema conviene ricordare che, mentre nel 1861 gli ultrasessantenni non raggiungevano in Italia il milione e mezzo, nel 1978 erano aumentati a circa dieci milioni, di cui quattro milioni nella categoria degli ultrasessantenni.
[22] Cfr. Giardina, in II diritto alla salute, a cura di Busnelli e Breccia, Bologna, 1979, p. 128, la quale ricorda, come una delle prime applicazioni dell’art. 333, il decreto 24 aprile 1963 del giudice tutelare di Arezzo (competente ai sensi dell’art. 336, comma 2°, testo originario), che autorizzò una trasfusione di sangue a una bambina di pochi mesi in pericolo di vita, nonostante il diniego di consenso opposto dai genitori affiliati alla setta dei testimoni di Jeova. In casi analoghi, in alternativa all’intervento del giudice ai sensi dell’art. 333 c.c., è prospettabile oggi (e già se ne è fatta applicazione) l’autorizzazione del sindaco nella sua qualità di autorità sanitaria, ai sensi dell’art. 33 1. 23 dicembre 1978, n. 833.