Note
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Pubblicata, col sottotitolo Le esperienze inglese e italiana a confronto, a cura della Scuola superiore di studi universitari e di perfezionamento di Pisa, Milano, 1983.
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Stegmüller, Probleme und Resultate der Wissenscbaftstheorie und analytischen Philosophie, vol. IV, 1, Berlin-Heidelberg-New York, 1973, p. 52. Sulla complementarità tra Kelsen e Weber cfr. Bobbio, Max Weber e Hans Kelsen, in «Sociologia del diritto», 1981, pp. 135 ss., spec. 147.
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Cfr. supra, p. 11 ss.
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Un bilancio dopo i primi vent’anni è tracciato da Otte, Zwanzig ]ahre Topik-Diskussion: Ertrag und Aufgaben, in «Rechtstheorie», 1970, pp. 183 ss.; Wieacker, Zur Topikdiskussion in der zeitgenössischen deutschen Rechtswissenschaft, in Festschrift f. Zepos, vol. I, Athen-Freiburg i. Br.-Köln, 1973, pp. 391 ss. Da ultimo, riferimenti completi e aggiornati in Bydlinski, Juristische Methodenlehre und Rechtsbegriff,Wien-New York, 1982.
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Devono però essere ricordati i contributi di Lombardi Vallauri, Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano, 1967, spec. pp. 201 ss.; Corso di filosofia del diritto, Padova, 1981, spec. la prima parte. Del resto, conviene ripetere che il giurista positivo, e in particolare il civilista, non può delegare la riflessione metodologica al filosofo del diritto, perché l’elaborazione del metodo è legata da uno stretto nesso di interazione all’attività di applicazione al proprio oggetto specifico. Anche Wieacker, op. cit., p. 396, osserva che la discussione sulla topica come metodo di ricerca (non di fondazione) della regola da applicare alla decisione del caso concreto non è un esercizio filosofico, ma un affare proprio della scienza giuridica nel suo interesse centrale al problema della Rechtsgewinnung.
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Arnauld-Nicole, La logique ou l’art de penser, III, 17 (Paris, 1965, pp. 232 ss.).
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Kritik der reinen Vernuft, B 325.
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Hobbes, A dialogue between a philosopher and a student of the Common Laws of England, riprodotto nei «Testi per la storia del pensiero giuridico» raccolti da Ascarelli e Giannetta, vol. I, Milano, 1960, p. 76.
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Stoijar, System and Topoi, in «Rechtstheorie», 1981, p. 388. Cfr. pure Jørgensen, Hermeneutik und Auslegung, ivi, 1978, p. 66.
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Cfr. Wieacker, op. cit., pp. 398 ss.; Hassemer, Juristische Argumentationstheorie und juristische Didaktik, in «Jahrb. f. Rechtssoziologie u. Rechtstheorie», II (1972), pp. 467 ss. La critica di Bydlinski, Methodenlehre, cit., p. 148, secondo cui la «topica» non sarebbe in grado di mediare tra diritto positivo e valori metalegislativi, è eccessiva. Vero è soltanto che la topica, come ogni metodo ermeneutico (cioè del «comprendere»), è un procedimento euristico che serve a scoprire ipotesi (di valutazione giuridica), le quali devono poi essere verificate (cfr. Stegmüller, Probleme und Resultate der Wissenschaftstheorie, vol. I, Berlin-Heidelberg-New York, 1969, pp. 368, 375).
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Nel linguaggio di Vico, come già negli scrittori del Rinascimento (Bacone, Budeo, ecc.), «ratio» significa metodo (ratio sive via). Cfr. Herberger, Dogmatik, Frankfurt a.M., 1981, p. 233, nota 87. Talvolta le due parole erano congiunte in un’endiadi: si ricordi, per esempio, l’opera di Matteo Gribaldi Mofa, De methodo ac ratione studendi (1541).
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Cfr. I. Mancini, Il diritto imputato, in «Jus», 1983, p. 192.
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Kritik der reinen Vernunft, B XXXVI.
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Da Wolff e dai suoi discepoli (Cramer, Nettelbladt, ecc.) è probabilmente venuto alla scienza giuridica anche il concetto di dogmatica. Cfr. Herberger, op. cit., p. 4, e già Ascarelli, Hobbes e Leibniz e la dogmatica giuridica, in «Testi per la storia del del pensiero giuridico», vol. I, cit., p. 161, nota 182.
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Nuovi saggi sull’intelletto umano, IV, 17, § 6, Roma, 1982, pp. 475 s.): «Tuttavia, se i sillogismi servono a giudicare dubito che possano servire a inventare, vale a dire a trovare prove e a fare nuove scoperte». Cfr. pure Lettera a Bierling (1711), in Philosophische Schriften, a cura di Gerhardt, vol. VII, Leipzig, 1931, p. 498: «Syllogismum minime conferre ad inveniendam veritatem haud amiserim, experientia aliud edoctus non rninus quam ratione».
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Cfr. Lenders, Die analytische Begriffs und Urteilstheorie von G.W. Leibniz und Chr. Wolff (diss.), Hildesheim-New York, 1971, pp. 134 ss., 171.
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Cfr. Wolff, De jurisprudentia in formam demonstrativam redigendo, in Horae subsecivae marburgenses, Veronae, 1770, pp. 207 ss.
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Barone, Introduzione a Leibniz, in Scritti di logica, Bologna, 1968, p. 39.
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L’arte combinatoria (o caratteristica), che è un precedente storico della moderna logica simbolica, è chiamata da Leibniz anche ars inveniendi, e in questo senso non ha niente a che fare con la topica. In altri scritti, peraltro, egli adopera l’espressione «arte inventiva» nel senso di arte topica. Cfr. Couturat, Opuscules et fragments inédits de Leibniz,Paris, 1903, rist. an., Hildesheim, 1961, pp. 37 («Topica seu ars inveniendi»), 219 («Scientia generalis consistit in judido et inventione, sive Analytids et Topids»).
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Cfr. Lenders, op. cit., p. 148.
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Secondo Leibniz, l’arte combinatoria dovrebbe insegnare ai giuristi come prevedere tutti i casi possibili senza attendere che accadano, e così permettere ai legislatori di fare senz’altro leggi perfette eliminando l’arbitrio del giudice. Cfr. Grua, La justice humaine selon Leibniz, Paris, 1956, p. 246. Il suo ideale era un codice in cui i concetti giuridici fossero ridotti «ad pauca quaedam capita» dai quali si potessero dedurre tutti i casi possibili nell’umana sodetà, «ita ut solis suhsumtionibus sive applicationibus atque combinationibus, nullis vero argumentis topicis ad questionem juris definiendam locus relinquatur» (cfr. Lettera a Hocher [1678], in Sämmtliche Schriften und Briefe, ediz. dell’Accademia germ. delle Scienze, Serie I, vol. II, Darmstadt, 1927, n. 332, pp. 348, 350). Ma, ammesso che l’arte combinatoria possa stabilire meccanicamente tutte le combinazioni possibili, essa non insegna come scegliere la migliore.
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Nuovi saggi, IV, 2, § 14 (ediz. dt., p. 360). V. pure IV, 16, § 5 ss. (pp. 454 ss.); IV, 17, § 3 (p. 467); II, 21, § 66 (p. 197). «Probabilità» ha qui il significato di verosimiglianza in senso stretto, doè di probabilità non empirica, fondata a priori su argomenti razionali desunti lege artis dalla natura delle cose. A quest’arte, «riguardante i gradi di probabilità, cioè come si debbano soppesare e valutare le indicazioni che non sono una dimostrazione perfetta, nessuno si è tanto avvicinato quanto i giuristi»: cfr. Lettera a Wagner (1696), in Scritti di logica, cit., p. 502. V. Schiedermair, Das Phönomen der Macht und die Idee des Rechts bei G. W. Leibniz, in «Studia leibnitiana. Supplementa», VII (1970), pp. 285 ss., spec. 297, 309.
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IV, 2, § 14 (p. 361). Per la critica alla topica aristotelica, oltre ai passi citati nella nota precedente, cfr. Lettera a Koch (1778), in Philosophische Schriften, vol. VII, cit., p. 477.
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Nuovi saggi, IV, 7, § 11 (p. 406).
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V. supra, p. 32, nota 60.
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Leibniz, Lettera a Wagner, in Scritti di logica, cit., pp. 495 s.
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Cfr. Horak, Rationes decidendi, vol. I, Innsbruck, 1969, pp. 17 ss., 49 ss.
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Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, § 16 (trad. it. di B. Croce, vol. I, Bari, p. 24).
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Wolff, De jurisprudentia, cit., § 8, p. 218.
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Cfr. Wittmann, Induktive Logik und ]urisprudenz, in «Rechtstheorie», 1978, pp. 43 ss. Questa concezione dell’induzione è sottesa, per esempio, al seguente passo di Wolff, De differentia intellectus systematici et non systematici, § 15, in Horae subsecivae, cit., p. 38: «Leges revocandae sunt ad rationes generales, unde tanquam a principiis pendent, ita ut positis istis principiis immutabili consecutionis lege ponantur edam leges».Nella filosofia moderna l’uso dell’induzione come «auxilium ad invenienda axiomata», cioè come procedimento che mette capo a conclusioni non precarie, ma necessarie in quanto colgono l’essenza delle cose, è stato teorizzato, nei termini della metafisica aristotelica, da Bacone, Novum organum scientiarum, distrib. op. e p. II, Aph. 105. Bisogna dire che non sempre gli interpreti del diritto osservano il precetto metodologico baconiano di procedere gradatim con l’induzione e di non concludere se non dopo le debite eliminazioni ed esclusioni. Talvolta essi trapassano di volo (advolant) dalle cose particolari alle cose generalissime, e poi senz’altro deducono. Un esempio si può indicare nella posizione della giurisprudenza (e di una parte della dottrina) in merito all’onere di prova della buona fede. Dall’art. 1147, comma 3°, c.c., dettato per il possesso di fuona fede, si argomenta immediatamente un principio generale, e quindi si qualificano come eccezioni a tale principio le norme (estranee all’istituto dell’art. 1147) che pongono l’onere della prova a carico di colui che invoca la buona fede (per es. artt. 534, comma 2°, 1189, comma 1°). In tal modo la giurisprudenza scambia per conclusione induttiva quella che è soltanto un’ipotesi (esistenza di un principio generale di presunzione della buona fede) suggerita dal topos «quisquis praesumitur bonus», e scambia per eccezioni quelli che sono invece i dati normativi la cui osservazione esclude la conferma dell’ipotesi, cioè appunto la possibilità di convertirla in una conclusione induttiva.
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L’originario fondamento giusnaturalistico dell’attribuzione di forza normativa ai concetti sistematici della scienza giuridica emerge chiaramente da quest’altro passo di Wolff, De jurisprudentia, cit., § 7, p. 216. «Auctoritas legem facere potest, definitionem facete nequit, cuius veritas ab immutabilibus legibus logids pendent, quae ipsi rerum naturae insitae sunt, quemadmodum ex principiis nostris ontologicis et logids perspicue intelligitur, et circa quas nullus superior dispensare potest, cum rerum essentias in se immutabiles mutare nequeat».
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Leibniz, Nuovi saggi, IV, 2, § 14 (p. 362). La distinzione è ripresa da Husserl, Ricerche logiche, vol. I, Milano, 1968, p. 33, che distingue corrispondentemente due spede di evidenza: l’evidenza della verità e l’evidenza della probabilità (in un certo grado). Anche la seconda è un «sapere in senso stretto».
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Cfr. Wolff, De differentia, § 15, p. 37: «... primum in interpretandis legibus danda est opera ut genuinas notiones iis respondentes detegamus, rerum magis quam verborum rationem habentes».
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Cioè i concetti dogmatici, distinti nelle tre classi dei concetti di fattispecie, di situazioni giuridiche e di vicende giuridiche. Cfr. Heck, Begriffsbildung und Interessenjurisprudenz, Tübingen, 1932, p. 56. Secondo una distinzione della filosofia kantiana, utilizzata da de Lazzer, Rechtsdogmatik als Kompromissformular, in Dogmatik und Methode (Festscbr. f. Esser), Kronberg, 1975, pp. 94 ss., i concetti normativi, che è compito dell’interpretazione mettere in chiaro, sono «concetti di oggetti» (Gegenstandsbegriffe), mentre i concetti dogmatici (o sistematici) sono «concetti di riflessione» (Reflexionsbegriffe) ottenuti dal «paragone tra concetti già dati» (Kant, Kritik der reinen Vernunft, B 316; Prolegomena, in Werke, vol. IV, Berlin, 1911, p. 326).
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Introductio ad Encyclopaediam arcanam, in Couturat, op. cit., p. 511.
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Cfr. citazioni, supra, p. 40, nota 87; da ultimo Hassold, Rechtsfindung durch Konstruktion, in «Ar. civ. Pr.», 1981, p. 134.
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Nuovi saggi, IV, 7, § 19 (p. 414).
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Su questo fondamentale concetto ermeneutico v. supra, pp. 39 ss., 65 ss. L’aspetto metodologico di esso è colto esattamente da Rottleuthner, Rechtstheorie und Rechtssoziologie, München, 1981, p. 122, nei termini del problema: «come da una comprensione provvisoria (per es. di un testo) si perviene a una comprensione fondata?». Giova ripetere, contro persistenti equivoci, che la precomprensione non è un concetto metodologico, bensì un concetto analitico-descrittivo (proveniente dalla fenomenologia esistenzialistica), il quale pone un problema metodologico. E come tale non può essere trascurato dal giurista quasi fosse un «Luxusproblem» (così Adomeit, Rechtstheorie für Studenten2, prefazione, citato da Bydlinski, op. cit., p. 68, nota 175).
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Trimarchi, Il giurista nella società industriale, in «Riv. dir. civ.» 1980, I p. 45.
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N. Hartmann, Etica, I, Fenomenologia dei costumi, Napoli, 1969, pp. 19 s., 123 s.
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Stegmüller, op. cit., p. 56. In una certa misura anche i giudizi di valore espressi dal mercato (imperativi ipotetici) possono tradursi in giudizi morali normativi (imperativi categorici); cfr. Arrow, Social Choice and Individual Values, New York-London, 1951, p. 86.
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Cfr. Gadamer, Wahrheit und Methode2, Tübingen, 1965, p. 313.
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I giuristi, che vanno interrogandosi sul carattere scientifico della loro disciplina, hanno sovente una concezione antiquata della scienza, non molto diversa da quella da cui prese misura il pamphlet di Kirchmann.
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Horak, op. cit., p. 52. Sull’ammirazione di Leibniz per i ragionamenti dei giuristi romani, ritenuti secondi soltanto ai geometri, oltre ai passi ricordati da Horak, p. 66, si può citare quest’altro, in Couturat, op. cit., p. 211: «Nimirum pro comperto (habendum) est, ut Mathematicos in necessariis, sic Jurisconsultos in contigentibus logicam, hoc est rationis artem, prae ceteris mortalibus optime exercuisse».
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De differentia, cit., § 3, p. 38. Gli allievi di Wolff traducono in volgare con la parola «Lehrgebäude», cioè edificio o costruzione dottrinale: cfr. Lenders, op. cit., p. 139.
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Lenders, op. cit., p. 138.
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Hartmann, Zur Methode der Philosophiegeschichte, in Kleinere Schriften, voi. III, Berlin, 1958, p. 6.
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Kant, Kritik der reine Vernunft, B 176.
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Englisch, Sinn und Tragweite juristischer Systematik, in «Studium generale», 1957, p. 188. Per esempio, l’interpretazione letterale e teleologica dell’art. 1523 c.c. sbocca in un’aporia: in contrasto con la lettera della legge, le finalità economiche dell’istituto della vendita a rate con riserva della proprietà postulano che alla consegna della cosa al compratore sia attribuito immediatamente il significato di uno spostamento del titolo di appartenenza, che diventerà definitivo col pagamento dell’ultima rata, mentre il diritto riservato al venditore durante il periodo di rateazione non ha più che una funzione di garanzia reale. L’interpretazione dogmatica (per questa espressione, da intendersi ellitticamente nel senso di interpretazione guidata da concetti dogmatici, v. Geldsetzer, Introduzione a Thibaut, Theorie der logischen Auslegung des römischen Rechts2, rist. an., Düsseldorf, 1966, pp. XIII s., XXXI s., XL ss.) muove da questa aporia e la traduce in una questione gnoseologica di rinvenimento nella disciplina positiva di indici di collegamento della posizione del compratore, già prima del pagamento dell’ultima rata, alla categoria sistematica del diritto reale.
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Nella teoria kantiana del giudizio la distinzione tra giudizio «determinante» e giudizio «riflettente» (bestimmende/reflectierende Urteilskraft: Kant, Kritik der Urteilskraft, pp. XXVI ss.) corrisponde alla distinzione tra «concetti di oggetti» e «concetti di riflessione» (v. supra,nota 34). Alla stregua dei concetti della prima specie il giudizio procede «determinando», cioè sussumendo i casi particolari sotto una regola data; alla stregua dei concetti della seconda specie il giudizio procede «riflettendo», cioè non dall’universale al particolare, ma all’inverso muovendo da un caso particolare dato alla ricerca della regola sotto la quale deve essere sussunto.
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Horak, Rationes decidendi, cit., p. 36. V. anche Bydlinski, Methodenlehre, cit., p. 75.
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Wittmann, Induktive Logik, cit., p. 45. Per il concetto di «decisione in condizioni di incertezza» (Entscheidung unter Unsicherheit),cfr. Stegmiiller, Probleme und Resultate der Wissenschaftstheorie und analytischen Philosophie, vol. I, Berlin-Heidelberg-New York, 1969, pp. 389 ss.
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Luhmann, Rechtssystem und Rechtsdogmatik, Stuttgart, 1974, p. 19.
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Per esempio, l’esperienza giuridica recente in materia di obbligazioni ha posto il problema dell’estensione degli obblighi di protezione (o di sicurezza) derivanti a una delle parti da determinati contratti (locazione, contratto di lavoro, ecc.) anche in favore di terze persone legate all’altra parte da rapporti che le rendono partecipi del medesimo rischio specifico. La soluzione affermativa viene fondata ermeneuticamente, da un lato, per quanto attiene alla portata del principio di relatività degli effetti del contratto, sul valore della solidarietà sociale, assunto dalla costituzione (art. 2) tra i principi fondamentali dell’ordinamento e interpretato (secondo la definizione di Wieacker, Privatrechtsgeschichte der Neuzeit2, Göttingen, 1967, p. 621) come criterio di «responsabilizzazione anche dei singoli individui privati per l’esistenza sociale e anzi per il benessere degli altri», dall’altro sul principio della buona fede contrattuale, per quanto attiene alla fondazione dell’obbligo in questione (a carico del locatore o del datore di lavoro) nell’economia del contratto. Questa valutazione, che dal valore costituzionale della solidarietà sociale argomenta un limite al valore dell’autonomia privata (di cui è un corollario il principio di relatività degli effetti del contratto), viene poi integrata nel sistema e stabilizzata mediante la trasformazione in una categoria dogmatica descrittiva di una fattispecie normativa, denominata «contratto con effetti di protezione per terzi» e classificata tra i casi eccezionali di cui è fatta riserva nel secondo comma dell’art. 1372 c.c. Cfr. Castronovo, Problema e sistema nel danno da prodotti, Milano, 1979, pp. 191 ss., 230 ss.
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Cfr. Esser, Möglichkeiten und Grenzen des dogmatischen Denkens im modernen Zivilrecht, in «Ar. civ. Pr.», CLXXII (1972), pp. 101, 113; Wieacker, Zur praktischen Leistung der Rechtsdogmatik, in Hermeneutik und Dialektik (Festschrift f. Gadamer), vol. II, Tübingen, 1970, pp. 316, 319 ss.
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Wieacker, op. ult. cit., p. 313.
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Il vizio logico di Inversionsmethode o Inversionsverfahren era appunto rimproverato dalla giurisprudenza degli interessi ai procedimenti dogmatici di «integrazione delle lacune mediante costruzione di concetti ordinatori». Cfr. Heck, op. cit., pp. 92 ss. Tuttavia, come già si è ricordato supra, nota 36, la critica di Heck è eccessiva. La costruzione giuridica ha una funzione anche nella fase «inventiva» del processo di ritrovamento della norma da applicare al caso in questione: ma soltanto una funzione euristica di conoscenza del problema posto dal caso con l’ausilio delle categorie che traducono il punto di vista del sistema. In questa fase le categorie sistematiche sono utilizzate come formule riassuntive di problemi (già ordinati nel sistema), non di soluzioni. Cfr. Blühdom, Zum «Problemdenken» und seiner Funktion in der Rechtsfindungslehre, in «Jahrb. f. Rechtssoziologie u. Rechtstheorie», II (1972), pp. 459 s.
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Rechtssystem, cit., p. 19.
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Cfr. Weber, Rechtssoziologie, Neuwied, 1960, pp. 256, 279 s. (Economia e società, vol. II, Milano, 1961, pp. 168, 190).
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In un sistema chiuso il controllo giuridico della realtà sociale può essere mantenuto a livelli elevati di astrazione, così che si rende possibile «una qualificazione relativamente semplice e rapidamente traducibile nella pratica di situazioni di fatto complesse» (Luhmann, op. cit., p. 30).
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Wieacker, Privatrechtsgeschichte1, p. 540.
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Heidegger, Holzwege, Frankfurt a.M., 1977, p. 227 (trad. it. Sentieri interrotti, Firenze, 1977, p. 208).
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Così Ballerstedt, Über ziwilrechtsdogmatik, in Festschrift f. Flume, vol. I, Köln, 1978, p. 259.
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Ibidem, p. 258. Intesa in questo senso, cioè come dottrina della legittimazione delle norme di diritto positivo in base alla rispondenza del loro contenuto a una tavola di valori, la dogmatica perderebbe la funzione di strumento di ricerca del diritto (v. infatti Ballerstedt, Probleme einer Dogmatik des Arbeitsrechts, in «Recht der Arbeit», 1976, p. 8, nota 15).
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Nel nostro linguaggio la parola «dogma» ha perduto il significato originario, analogo a quello che le è proprio nella teologia e nelle dottrine ideologiche dei partiti politici. Tuttavia i dogmi giuridici possono non del tutto impropriamente continuare a chiamarsi con questa parola perché assolvono un compito di (relativa) stabilizzazione di giudizi di valore (le valutazioni assunte dall’ordinamento giuridico in un dato momento storico) mediante la loro trasformazione in concetti conoscitivi, che forniscono punti fermi di riferimento per la comprensione del caso da decidere.
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Il pensiero dogmatico, dal quale la materia giuridica riceve la forma del sistema, opera con l’astrazione in entrambi i suoi aspetti, sia con l’astrazione generalizzante (e questo è l’uso più frequente), che procede dai concetti normativi raggruppandoli in concetti via via più generali, sia con l’astrazione nel senso della scomposizione dei concetti legali nei loro contenuti parziali astratti o, secondo un’altra terminologia, nelle loro parti non-indipendenti (cfr. Husserl, Ricerche logiche, cit., vol. I, pp. 486 ss.). Un esempio di astrazione del secondo tipo è il concetto di atto di disposizione, che è un contenuto parziale astratto dei concetti legali di vendita, donazione, permuta, contratto di rendita vitalizia, ecc. È possibile che due o più contenuti parziali astratti, combinandosi tra di loro, diano vita a un contenuto concreto, cioè indipendente, conducendo per tal via alla formazione di nuovi concetti sistematici. Riprendendo l’esempio, il concetto di atto di disposizione (che di per sé rappresenta un contenuto non-indipendente), combinandosi col concetto di causa dell’attribuzione patrimoniale, forma un contenuto (complesso) indipendente rappresentato dal concetto di «negozio traslativo con causa esterna», sotto il quale si classificano per es. gli atti di trasferimento previsti dagli artt. 651, comma 1°, e 1706, comma 2°, c.c.
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Cfr. Larenz, Methodenlehre der Rechtswissenschaft3, Berlin-Heidelberg-New York, 1975, pp. 204 ss., 466 ss.
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Esser, Vorverständnis und Methodenwahl in der Rechtsfindung,Frankfurt a.M., 1970, p. 159.
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Weber, Economia e società, cit., vol. I, pp. 22 s. Si tratta di un modello sociologico, cioè descrittivo, mentre Febbraio, nell’Introduzione alla traduzione italiana del saggio di Luhmann sulla dogmatica giuridica (Bologna, 1978), sembra evocarlo come modello prescrittivo.
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Forsthoff, Die Umbildung der Verfassungsgesetzes, in Rechtsstaat im Wandel, Stuttgart, 1964, p. 153.
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Wieacker, Zur praktischen Leistung, cit., p. 321.
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Hartmann, Etica, II, Assiologia dei costumi, Napoli, 1970, p. 408; C. Schmitt, Die Tyrannei der Werte, in Säkularisation und Utopie,Stuttgart, 1967, pp. 37 ss.
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Bracton, De legibus et consuetudinibus Angliae, ed. Woodbine, vol. II, New Haven, 1922, p. 33.