Luigi Mengoni
Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c3
In secondo luogo le categorie sistematiche forniscono princìpi di riflessione [50]
sui casi non regolati dalla legge, i quali devono essere tematizzati allo scopo di trovarne le premesse di decisione. Nel contesto dell’«invenzione» finalizzata all’integrazione delle lacune, la quale muove da antinomie di valori e si sviluppa nella forma dell’argomentazione dialettica, il pensiero sistematico assume una funzione ermeneutica orientata dal topos dell’argomento a simili. Le classificazioni cui procede l’analisi sistematica del caso da decidere hanno il carattere «saggiatorio» (temptativus), e quindi provvisorio, proprio delle progettazioni dell’arte topica, servono a mettere alla prova un’ipotesi di soluzione basata sull’assunto di analogia del caso con un altro previsto dalla legge o che ha formato oggetto di una decisione precedente. Poiché non sono disponibili criteri scientifici rigorosi per sceverare le qualità essenziali dalle qualità non essenziali di uno stato di cose o di un evento [51]
, la decisione sull’applicabilità del canone dell’analogia indicato dall’art. 12 prel. c.c. è una scelta determinata da un giudizio valutativo. Perciò
{p. 94}trovano spazio in questo contesto anche le valutazioni di politica del diritto: contro i progetti di soluzione fondati sull’analogia esse fanno valere nuovi punti di vista extrasistematici di equità, di utilità sociale, di convenienza economica ecc., allargando la base di informazione sulla quale si misura il grado di verosimiglianza delle possibili ipotesi di decisione.

6. Il pensiero sistematico nel contesto della «demonstratio».

Quando il caso rivela una lacuna della legge, e quindi si prospetta la possibilità di soluzioni alternative, il giudice si risolve per una di esse non perché la ritiene probabilmente esatta, ma pur sempre perché è convinto della sua esattezza. Poiché, però, tale convinzione non si è formata sulla base dell’evidenza di verità propria delle conclusioni deduttive, bensì sulla base di conclusioni probabili o verosimili (quali sono le conclusioni induttive o quelle dei sillogismi dialettici), la decisione è adottata in condizioni di incertezza circa la sua esattezza [52]
. Come tale, essa non può essere giustificata con criteri di verità, ma solo con criteri di razionalità.
A tal fine non sono sufficienti valutazioni di razionalità pratica, espresse nella forma dei giudizi di preferenza. Questo tipo di valutazioni appartiene ancora al contesto dell’inventio, la quale mira a selezionare, tra quelle possibili, le ipotesi di soluzione razionalmente fondate secondo criteri di verosimiglianza. Nel contesto della giustificazione decisiva è la valutazione di razionalità sistematica, di congruenza della soluzione con la logica del sistema costituito. In questo contesto sono escluse giustificazioni di altra specie, politiche, economiche, morali, religiose ecc. Sono tutti punti di vista importanti per la formazione del progetto di decisione, ma per tradursi in decisione secundum ius esso deve essere fondato mediante un «controllo {p. 95}di coerenza in vista della decisione di altri casi» [53]
. Invero, essendo l’applicazione del diritto concretizzazione di un universale, l’idoneità a stabilizzarsi in vista dell’applicazione a casi futuri è una condizione essenziale di razionalità della decisione. Le scelte valutative operate nel contesto dell’invenzione ermeneutica risulteranno integrabili nel sistema, e perciò «giustificate», quando sia possibile tramutarle, mediante il pensiero dogmatico, in concetti descrittivi di fattispecie sussumibili sotto una regola o una prevista eccezione [54]
.
La verifica di coerenza sistematica delle scelte valutative cui mettono capo i procedimenti ermeneutici semplifica l’attività di decisione giuridica in quanto la trasformazione in enunciati descrittivi [55]
esonera il giudice dalla {p. 96}necessità di rinnovare la valutazione in presenza di ogni altro caso avente la medesima struttura tipica. La funzione della dogmatica giuridica risponde così a due esigenze fondamentali dell’ordinamento: l’esigenza di giustizia, che vuole trattamento uguale dei casi oggettivamente uguali, e l’esigenza politica di certezza del diritto (almeno in una certa misura), cioè di stabilizzazione delle aspettative sociali di comportamenti individuali e di gruppo [56]
.
Una volta quello che oggi è detto «contesto della fondazione» si chiamava «costruzione», con la differenza che allora la costruzione era ritenuta non solo un mezzo di giustificazione, ma anche un mezzo di «invenzione» delle decisioni [57]
. Il termine è stato recuperato da un autore moderno, che ha studiato la dogmatica giuridica in veste di sociologo della conoscenza. Secondo Luhmann [58]
, nel contesto della fondazione la dogmatica «definisce le condizioni del possibile giuridico, e precisamente la possibilità di costruzione di casi giuridici». Costruire giuridicamente un caso significa fondarne sistematicamente la decisione qualificandolo in un senso corrispondente a un certo grado di astrazione concettuale del sistema. Ma il principio metodologico «ciò che non è giuridicamente costruibile non è giuridicamente rilevante» [59]
ha un significato diverso da quello che ad esso era attribuito dalla «giurisprudenza costruttiva» classica. Questa selezionava {p. 97}le soluzioni possibili esclusivamente dal punto di vista della razionalità formale del sistema, governata dal principio logico di non contraddizione, e quindi in funzione dell’interesse di chiusura (o di purezza) del sistema, senza riguardo alle conseguenze nella realtà sociale circostante e alla congruità con le aspettative degli interessati al traffico giuridico. Il controllo della dogmatica lasciava filtrare nel sistema solo le informazioni idonee a discernere le circostanze di fatto riconducibili alle determinazioni di senso prestabilite dalle astrazioni concettuali della scienza giuridica. Erano così garantite l’unità e la coerenza del sistema [60]
, ma si perdeva il contatto col dinamismo sociale esterno, con la dimensione diacronica del diritto.
Questo metodo di verifica delle condizioni del possibile giuridico, peculiare di un sistema chiuso che pretende di legittimarsi unicamente in base alla propria razionalità formale, non è praticabile nell’ordinamento attuale, retto da una costituzione che riconosce determinati valori etico-sociali e li pone a fondamento del diritto positivo. Tali valori sono sovraordinati alle norme positive sia nel senso che vincolano l’attività di formazione delle leggi, sia nel senso che impartiscono al giudice parametri di interpretazione teleologica della lex lata e linee di sviluppo dell’attività di integrazione delle lacune. La rinata esigenza di una legittimazione metalegislativa dell’ordinamento giuridico (in opposizione al positivismo legislativo, che esaurisce il concetto di diritto nella positività, e al suo correlato sul piano filosofico, il positivismo scientista, che nega la possibilità di fondare conoscitivamente giudizi di valore) «riporta il pensiero giuridico alla tradizione europea, da ultimo del giusnaturalismo laico, che il formalismo scientifico del secolo XIX aveva abbandonato» [61]
. Beninteso, non si tratta di un ritorno {p. 98}sulle posizioni del vecchio diritto naturale. I valori del diritto naturale appartenevano al mondo metafisico, erano valori non solo metagiuridici, ma anche metastorici, organizzati in un sistema deduttivo fondato su un principio soprasensibile supremo, Dio nella scolastica medievale, la ragione nel diritto naturale profano dei secoli XVII e XVIII. Invece i valori ai quali rinvia la Costituzione come misura assiologica di controllo del diritto positivo sono punti di vista storicamente condizionati, la cui validità dipende dal consenso sociale-politico fissato nel patto costituzionale: essi sono «un surrogato positivistico (o storicistico) del metafisico» [62]
. E poiché nella società pluralistica, qualificata dal conflitto tra gruppi organizzati portatori di opposte ideologie, il consenso fondamentale è il risultato di un compromesso, i valori riconosciuti dalla costituzione formano un insieme non omogeneo, percorso da frequenti antinomie culminanti nella tensione costante tra il principio (o valore) dello Stato di diritto e il principio dello Stato sociale.

7. Il problema del rapporto tra legge e giudizi di valore.

L’assoggettamento del diritto positivo a istanze assiologiche di controllo rende urgente un chiarimento del rapporto concettuale tra la legge e i giudizi di valore socialmente riconosciuti [63]
. Il problema investe il metodo giuridico sia nel campo dell’ermeneutica, sia nel campo della dogmatica. Nel primo occorre acquisire una metodologia che garantisca le condizioni formali di razionalità delle scelte dell’interprete secondo i canoni delle moderne teorie della decisione, tenuto conto dei limiti che alla loro utilizzazione derivano dal vincolo specifico dell’ermeneutica giuridica ai valori materiali sanciti dalla costituzione. Di essi occorre misurare le pretese di realizzazione con riferimento alle varie tipologie sociali, risolvere le antinomie determinando il rispettivo grado gerarchico e, in caso
{p. 99}di conflitto tra valori equiordinati, definendo la proporzione in cui ciascuno subisce il concorso dell’altro.
Note
[50] Nella teoria kantiana del giudizio la distinzione tra giudizio «determinante» e giudizio «riflettente» (bestimmende/reflectierende Urteilskraft: Kant, Kritik der Urteilskraft, pp. XXVI ss.) corrisponde alla distinzione tra «concetti di oggetti» e «concetti di riflessione» (v. supra, nota 34). Alla stregua dei concetti della prima specie il giudizio procede «determinando», cioè sussumendo i casi particolari sotto una regola data; alla stregua dei concetti della seconda specie il giudizio procede «riflettendo», cioè non dall’universale al particolare, ma all’inverso muovendo da un caso particolare dato alla ricerca della regola sotto la quale deve essere sussunto.
[51] Horak, Rationes decidendi, cit., p. 36. V. anche Bydlinski, Methodenlehre, cit., p. 75.
[52] Wittmann, Induktive Logik, cit., p. 45. Per il concetto di «decisione in condizioni di incertezza» (Entscheidung unter Unsicherheit), cfr. Stegmiiller, Probleme und Resultate der Wissenschaftstheorie und analytischen Philosophie, vol. I, Berlin-Heidelberg-New York, 1969, pp. 389 ss.
[53] Luhmann, Rechtssystem und Rechtsdogmatik, Stuttgart, 1974, p. 19.
[54] Per esempio, l’esperienza giuridica recente in materia di obbligazioni ha posto il problema dell’estensione degli obblighi di protezione (o di sicurezza) derivanti a una delle parti da determinati contratti (locazione, contratto di lavoro, ecc.) anche in favore di terze persone legate all’altra parte da rapporti che le rendono partecipi del medesimo rischio specifico. La soluzione affermativa viene fondata ermeneuticamente, da un lato, per quanto attiene alla portata del principio di relatività degli effetti del contratto, sul valore della solidarietà sociale, assunto dalla costituzione (art. 2) tra i principi fondamentali dell’ordinamento e interpretato (secondo la definizione di Wieacker, Privatrechtsgeschichte der Neuzeit2, Göttingen, 1967, p. 621) come criterio di «responsabilizzazione anche dei singoli individui privati per l’esistenza sociale e anzi per il benessere degli altri», dall’altro sul principio della buona fede contrattuale, per quanto attiene alla fondazione dell’obbligo in questione (a carico del locatore o del datore di lavoro) nell’economia del contratto. Questa valutazione, che dal valore costituzionale della solidarietà sociale argomenta un limite al valore dell’autonomia privata (di cui è un corollario il principio di relatività degli effetti del contratto), viene poi integrata nel sistema e stabilizzata mediante la trasformazione in una categoria dogmatica descrittiva di una fattispecie normativa, denominata «contratto con effetti di protezione per terzi» e classificata tra i casi eccezionali di cui è fatta riserva nel secondo comma dell’art. 1372 c.c. Cfr. Castronovo, Problema e sistema nel danno da prodotti, Milano, 1979, pp. 191 ss., 230 ss.
[55] Cfr. Esser, Möglichkeiten und Grenzen des dogmatischen Denkens im modernen Zivilrecht, in «Ar. civ. Pr.», CLXXII (1972), pp. 101, 113; Wieacker, Zur praktischen Leistung der Rechtsdogmatik, in Hermeneutik und Dialektik (Festschrift f. Gadamer), vol. II, Tübingen, 1970, pp. 316, 319 ss.
[56] Wieacker, op. ult. cit., p. 313.
[57] Il vizio logico di Inversionsmethode o Inversionsverfahren era appunto rimproverato dalla giurisprudenza degli interessi ai procedimenti dogmatici di «integrazione delle lacune mediante costruzione di concetti ordinatori». Cfr. Heck, op. cit., pp. 92 ss. Tuttavia, come già si è ricordato supra, nota 36, la critica di Heck è eccessiva. La costruzione giuridica ha una funzione anche nella fase «inventiva» del processo di ritrovamento della norma da applicare al caso in questione: ma soltanto una funzione euristica di conoscenza del problema posto dal caso con l’ausilio delle categorie che traducono il punto di vista del sistema. In questa fase le categorie sistematiche sono utilizzate come formule riassuntive di problemi (già ordinati nel sistema), non di soluzioni. Cfr. Blühdom, Zum «Problemdenken» und seiner Funktion in der Rechtsfindungslehre, in «Jahrb. f. Rechtssoziologie u. Rechtstheorie», II (1972), pp. 459 s.
[58] Rechtssystem, cit., p. 19.
[59] Cfr. Weber, Rechtssoziologie, Neuwied, 1960, pp. 256, 279 s. (Economia e società, vol. II, Milano, 1961, pp. 168, 190).
[60] In un sistema chiuso il controllo giuridico della realtà sociale può essere mantenuto a livelli elevati di astrazione, così che si rende possibile «una qualificazione relativamente semplice e rapidamente traducibile nella pratica di situazioni di fatto complesse» (Luhmann, op. cit., p. 30).
[61] Wieacker, Privatrechtsgeschichte1, p. 540.
[62] Heidegger, Holzwege, Frankfurt a.M., 1977, p. 227 (trad. it. Sentieri interrotti, Firenze, 1977, p. 208).
[63] Così Ballerstedt, Über ziwilrechtsdogmatik, in Festschrift f. Flume, vol. I, Köln, 1978, p. 259.