Luigi Mengoni
Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c3
Nella logica leibniziana il deficit di verità (cioè di giustificazione logica) delle conclusioni induttive non è coperto da tentativi di convertire l’induzione in forma dimostrativa, ma è riconosciuto come elemento di differenziazione dalla conoscenza certa di un’altra specie, la conoscenza del verosimile: «così che vi saranno due specie di conoscenza come si hanno due specie di prove, di cui le une producono la certezza e le altre si limitano alla probabilità» [32]
. In quanto derivano dai concetti contenuti nelle proposizioni normative e definiti mediante l’attività di interpretazione della legge [33]
, le categorie
{p. 89}della scienza giuridica [34]
non sono princìpi deduttivi di nuove conoscenze, ma soltanto schemi mentali di riferimento analogico, criteri orientativi nella elaborazione di nuovi modelli di decisione. Nella ricerca della regola da applicare al caso proposto, il punto di vista sistematico, che fa valere la tradizione dottrinale, i precedenti giudiziari, i modi di pensare consolidati in forme linguistiche tecnicizzate, insomma il «già conosciuto» (i «precognita dogmatica» nel linguaggio di Leibniz) [35]
, è certo importante, come hanno ammesso, correggendo Heck, anche i sostenitori della giurisprudenza degli interessi [36]
, ma non ha un valore decisivo. Leibniz non manca di ricordare in proposito il noto passo di Paolo (D. 50, 17, 1), il quale vuol dire che «si ricavano regole da un diritto già conosciuto per meglio ricordarsene, ma che non si stabilisce il diritto su queste regole» [37]
. Le soluzioni da esse deducibili sono ipotesi di decisione fondate sull’analogia, la cui verosimiglianza deve essere provata mettendole a confronto con altri progetti elaborati da punti di vista extrasistematici, cioè tematizzandole come oggetto di una ricerca dialettica, nella quale nuove valutazioni si misurano con le valutazioni integrate nel sistema. E tanto più feconda sarà la ricerca quanto più il giurista è dotato di talento, di fantasia, di cultura, di capacità di controllo della propria precomprensione [38]
, di mente eclet{p. 90}tica, aperta agli apporti delle varie filosofie e delle varie scuole. Per esempio il rimprovero mosso di recente ai giuristi (da un giurista) di avere «un atteggiamento mentale che tende a impostare le questioni giuridiche sempre in termini etici» [39]
, è accettabile se, al di là della formulazione non del tutto appropriata, intende dire che i giuristi trascurano sovente i punti di vista che danno peso ai valori strumentali dell’efficienza, della produttività, e in genere al principio economico del minimo mezzo. La morale non può esaurirsi nell’utilitarismo, ma non può non essere, entro certi limiti, anche utilitaristica. Vi è una sfera della morale, la «morale dei mezzi» [40]
, i cui giudizi normativi riposano su giudizi di valore diversi da quelli etici [41]
.

5. I due significati di «sistema».

Dal confronto con le teorie ermeneutiche [42]
e anche con la teoria moderna delle scienze formali [43]
, ben lontana dal modello ottocentesco, la dogmatica giuridica esce distanziata dalla pretesa di costituire un sistema autosufficiente, in virtù del quale il giudizio si ridurrebbe a un atto di pura sussunzione. Nel contesto {p. 91}della scoperta, quando occorre trovare le premesse per la soluzione di nuovi problemi, nemmeno il matematico può dedurre (c’è un pensiero topico anche nella matematica), mentre nel contesto della giustificazione anche il ragionamento giuridico è principalmente deduttivo e può attingere l’esattezza della forma dimostrativa [44]
.
Ma la distinzione fra i due contesti non significa una contrapposizione radicale tra due modi di pensiero, la quale porterebbe a una concezione riduttiva della dogmatica giuridica, quasi che la sua funzione fosse soltanto quella di fondare metodicamente nell’unità del sistema conoscenze già acquisite. È un equivoco che deve essere dissipato se non si vuole sguarnire il pensiero giuridico di fronte alla tendenza della politica del diritto a rimettere tutto continuamente in discussione. Esso è un residuo della teoria della scienza del secolo scorso, legata al concetto di sistema, nel senso di totalità deduttiva di discorso, che diventa prevalente alla fine del settecento. Con questo «augusto nome» Wolff designa un insieme di verità universali o proposizioni universali tra loro connesse (systema doctrinarum) [45]
. Il sistema ideale dovrebbe rendere possibile la deduzione di un gran numero di conclusioni da un piccolo numero di concetti-base o princìpi o teoremi; ma da questo ideale, raggiunto soltanto dalla matematica, la scienza pandettistica rimase molto lontana.
Nell’epoca di Leibniz la parola sistema ha un altro significato, non coincidente con quello di pensiero deduttivo o assiomatico. Essa designa piuttosto un modo {p. 92}scientifico di pensare [46]
, un metodo di riflettere su cose nuove mettendole in relazione con quelle già conosciute, ovvero, secondo la definizione di N. Hartmann, il filosofo moderno che ha rivalutato questo significato, una forma mentale che consente di «rimanere sistematicamente in contatto con i problemi». In quest’altro senso il pensiero sistematico non è chiuso, bensì aperto agli apporti critici di nuovi punti di vista e pronto a introdurre correzioni, modificazioni o integrazioni nell’edificio dottrinale già costruito, il quale non è mai definitivo. I concetti sistematici non sono che «la riduzione di un problema ai suoi elementi fondamentali definitori, una sua formulazione abbreviata» [47]
.
Così inteso, il pensiero sistematico svolge un ruolo essenziale nel contesto della ricerca del diritto. Anzitutto i concetti sistematici hanno una funzione regolativa dell’interpretazione ai fini dell’applicazione della legge ai casi previsti, tenuto presente che, essendo il giudizio un rapporto tra concetti, sotto una fattispecie normativa, costituita da una connessione di concetti (normativi), si sussumono non tanto fatti, quanto concetti (rappresentazioni) di fatti [48]
. L’analisi del contenuto teoretico delle norme giuridiche non può avvenire se non sotto la guida delle categorie sistematiche, il collegamento all’una o all’altra delle quali, per successive approssimazioni, conduce alla comprensione del testo come parte organica di una totalità e allarga l’orizzonte ermeneutico fornendo un punto di attacco per intendere più esattamente la norma mediante congrue integrazioni o limitazioni o estensioni di senso [49]
.{p. 93}
In secondo luogo le categorie sistematiche forniscono princìpi di riflessione [50]
sui casi non regolati dalla legge, i quali devono essere tematizzati allo scopo di trovarne le premesse di decisione. Nel contesto dell’«invenzione» finalizzata all’integrazione delle lacune, la quale muove da antinomie di valori e si sviluppa nella forma dell’argomentazione dialettica, il pensiero sistematico assume una funzione ermeneutica orientata dal topos dell’argomento a simili. Le classificazioni cui procede l’analisi sistematica del caso da decidere hanno il carattere «saggiatorio» (temptativus), e quindi provvisorio, proprio delle progettazioni dell’arte topica, servono a mettere alla prova un’ipotesi di soluzione basata sull’assunto di analogia del caso con un altro previsto dalla legge o che ha formato oggetto di una decisione precedente. Poiché non sono disponibili criteri scientifici rigorosi per sceverare le qualità essenziali dalle qualità non essenziali di uno stato di cose o di un evento [51]
, la decisione sull’applicabilità del canone dell’analogia indicato dall’art. 12 prel. c.c. è una scelta determinata da un giudizio valutativo. Perciò
{p. 94}trovano spazio in questo contesto anche le valutazioni di politica del diritto: contro i progetti di soluzione fondati sull’analogia esse fanno valere nuovi punti di vista extrasistematici di equità, di utilità sociale, di convenienza economica ecc., allargando la base di informazione sulla quale si misura il grado di verosimiglianza delle possibili ipotesi di decisione.
Note
[32] Leibniz, Nuovi saggi, IV, 2, § 14 (p. 362). La distinzione è ripresa da Husserl, Ricerche logiche, vol. I, Milano, 1968, p. 33, che distingue corrispondentemente due spede di evidenza: l’evidenza della verità e l’evidenza della probabilità (in un certo grado). Anche la seconda è un «sapere in senso stretto».
[33] Cfr. Wolff, De differentia, § 15, p. 37: «... primum in interpretandis legibus danda est opera ut genuinas notiones iis respondentes detegamus, rerum magis quam verborum rationem habentes».
[34] Cioè i concetti dogmatici, distinti nelle tre classi dei concetti di fattispecie, di situazioni giuridiche e di vicende giuridiche. Cfr. Heck, Begriffsbildung und Interessenjurisprudenz, Tübingen, 1932, p. 56. Secondo una distinzione della filosofia kantiana, utilizzata da de Lazzer, Rechtsdogmatik als Kompromissformular, in Dogmatik und Methode (Festscbr. f. Esser), Kronberg, 1975, pp. 94 ss., i concetti normativi, che è compito dell’interpretazione mettere in chiaro, sono «concetti di oggetti» (Gegenstandsbegriffe), mentre i concetti dogmatici (o sistematici) sono «concetti di riflessione» (Reflexionsbegriffe) ottenuti dal «paragone tra concetti già dati» (Kant, Kritik der reinen Vernunft, B 316; Prolegomena, in Werke, vol. IV, Berlin, 1911, p. 326).
[35] Introductio ad Encyclopaediam arcanam, in Couturat, op. cit., p. 511.
[36] Cfr. citazioni, supra, p. 40, nota 87; da ultimo Hassold, Rechtsfindung durch Konstruktion, in «Ar. civ. Pr.», 1981, p. 134.
[37] Nuovi saggi, IV, 7, § 19 (p. 414).
[38] Su questo fondamentale concetto ermeneutico v. supra, pp. 39 ss., 65 ss. L’aspetto metodologico di esso è colto esattamente da Rottleuthner, Rechtstheorie und Rechtssoziologie, München, 1981, p. 122, nei termini del problema: «come da una comprensione provvisoria (per es. di un testo) si perviene a una comprensione fondata?». Giova ripetere, contro persistenti equivoci, che la precomprensione non è un concetto metodologico, bensì un concetto analitico-descrittivo (proveniente dalla fenomenologia esistenzialistica), il quale pone un problema metodologico. E come tale non può essere trascurato dal giurista quasi fosse un «Luxusproblem» (così Adomeit, Rechtstheorie für Studenten2, prefazione, citato da Bydlinski, op. cit., p. 68, nota 175).
[39] Trimarchi, Il giurista nella società industriale, in «Riv. dir. civ.» 1980, I p. 45.
[40] N. Hartmann, Etica, I, Fenomenologia dei costumi, Napoli, 1969, pp. 19 s., 123 s.
[41] Stegmüller, op. cit., p. 56. In una certa misura anche i giudizi di valore espressi dal mercato (imperativi ipotetici) possono tradursi in giudizi morali normativi (imperativi categorici); cfr. Arrow, Social Choice and Individual Values, New York-London, 1951, p. 86.
[42] Cfr. Gadamer, Wahrheit und Methode2, Tübingen, 1965, p. 313.
[43] I giuristi, che vanno interrogandosi sul carattere scientifico della loro disciplina, hanno sovente una concezione antiquata della scienza, non molto diversa da quella da cui prese misura il pamphlet di Kirchmann.
[44] Horak, op. cit., p. 52. Sull’ammirazione di Leibniz per i ragionamenti dei giuristi romani, ritenuti secondi soltanto ai geometri, oltre ai passi ricordati da Horak, p. 66, si può citare quest’altro, in Couturat, op. cit., p. 211: «Nimirum pro comperto (habendum) est, ut Mathematicos in necessariis, sic Jurisconsultos in contigentibus logicam, hoc est rationis artem, prae ceteris mortalibus optime exercuisse».
[45] De differentia, cit., § 3, p. 38. Gli allievi di Wolff traducono in volgare con la parola «Lehrgebäude», cioè edificio o costruzione dottrinale: cfr. Lenders, op. cit., p. 139.
[46] Lenders, op. cit., p. 138.
[47] Hartmann, Zur Methode der Philosophiegeschichte, in Kleinere Schriften, voi. III, Berlin, 1958, p. 6.
[48] Kant, Kritik der reine Vernunft, B 176.
[49] Englisch, Sinn und Tragweite juristischer Systematik, in «Studium generale», 1957, p. 188. Per esempio, l’interpretazione letterale e teleologica dell’art. 1523 c.c. sbocca in un’aporia: in contrasto con la lettera della legge, le finalità economiche dell’istituto della vendita a rate con riserva della proprietà postulano che alla consegna della cosa al compratore sia attribuito immediatamente il significato di uno spostamento del titolo di appartenenza, che diventerà definitivo col pagamento dell’ultima rata, mentre il diritto riservato al venditore durante il periodo di rateazione non ha più che una funzione di garanzia reale. L’interpretazione dogmatica (per questa espressione, da intendersi ellitticamente nel senso di interpretazione guidata da concetti dogmatici, v. Geldsetzer, Introduzione a Thibaut, Theorie der logischen Auslegung des römischen Rechts2, rist. an., Düsseldorf, 1966, pp. XIII s., XXXI s., XL ss.) muove da questa aporia e la traduce in una questione gnoseologica di rinvenimento nella disciplina positiva di indici di collegamento della posizione del compratore, già prima del pagamento dell’ultima rata, alla categoria sistematica del diritto reale.
[50] Nella teoria kantiana del giudizio la distinzione tra giudizio «determinante» e giudizio «riflettente» (bestimmende/reflectierende Urteilskraft: Kant, Kritik der Urteilskraft, pp. XXVI ss.) corrisponde alla distinzione tra «concetti di oggetti» e «concetti di riflessione» (v. supra, nota 34). Alla stregua dei concetti della prima specie il giudizio procede «determinando», cioè sussumendo i casi particolari sotto una regola data; alla stregua dei concetti della seconda specie il giudizio procede «riflettendo», cioè non dall’universale al particolare, ma all’inverso muovendo da un caso particolare dato alla ricerca della regola sotto la quale deve essere sussunto.
[51] Horak, Rationes decidendi, cit., p. 36. V. anche Bydlinski, Methodenlehre, cit., p. 75.