Matelda Reho, Filippo Magni (a cura di)
Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c15
Da tale individuazione, effettuata nell’ambito della pianificazione territoriale, è possibile cogliere quanto il terri
{p. 292}torio rurale regionale sia il risultato dei profondi fattori di trasformazione, principalmente di natura socioeconomica, che hanno investito, a partire dalla seconda metà del XX secolo, il paesaggio agricolo tradizionale.
Infatti, la rivoluzione agronomica – con l’avvento della concimazione chimica generalizzata, della meccanizzazione delle pratiche agricole, della drastica riduzione del lavoro umano e dell’esodo dalle campagne – ha condotto ad una sorta di standardizzazione degli ordinamenti colturali, in particolare verso le monocolture cerealicole, con una evidente semplificazione del mosaico paesaggistico e una conseguente omogeneizzazione dei paesaggi agrari, specie in pianura.
Sono infatti sotto i nostri occhi le principali dinamiche che contraddistinguono il paesaggio rurale contemporaneo: la prevalenza della monocoltura erbacea (mais, frumento, soia, ecc.), nonché della zootecnia intensiva con i cosiddetti «allevamenti senza terra»; l’intensivizzazione delle colture arboree (vigneti, frutteti); la perdita di naturalità diffusa (filari, boschetti, siepi, zone umide, prati stabili e pascoli) e di agrobiodiversità; il depauperamento culturale (pratiche e tecniche, conoscenze e tradizioni in via d’estinzione); l’appiattimento percettivo e la perdita di identità dei luoghi; il consumo di suolo agricolo da urbanizzazione, in particolare laddove prevale l’edificazione diffusa (sprawl); l’occupazione di suolo agricolo da parte di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico, biomasse e biogas).
Se si osservano, invece, le cause di vulnerabilità rilevate con maggior frequenza per i paesaggi rurali storici (prese in esame nell’Atlante MiPAAF del 2011), emerge che la principale causa di minaccia non è la pressione antropica, come si può comunemente pensare, bensì l’abbandono; la pressione antropica risulta al secondo posto, seguita poi dall’avanzare della vegetazione del bosco e dall’intensivizzazione agricola.
Quale potrebbe essere allora il punto di incontro tra paesaggio rurale storico-tradizionale e quello contempo- raneo?{p. 293}

8. Un caso progettuale: i contesti figurativi

Uno spunto per poter avanzare una risposta viene ad esempio dall’esame di un teorico caso progettuale, quello dei contesti figurativi dei beni culturali, ancora caratterizzati dalla presenza di usi agricoli del suolo.
Esistono infatti ambiti agricoli, potenzialmente di elevato pregio paesaggistico ma particolarmente vulnerabili alle trasformazioni territoriali, come quelli inclusi nei contesti figurativi, sia delle ville venete (in primo luogo quelle del sistema palladiano già riconosciuto UNESCO), sia degli altri complessi storico-architettonici disseminati in tutto il territorio agricolo regionale.
È infatti di strategica importanza salvaguardare e valorizzare l’intorno non solo urbanistico ma anche agricolo di questi beni culturali, in modo tale da poter conservare oppure addirittura ricomporre la loro immagine ambientale e paesaggistica, in quanto parte significativa dell’identità culturale dei luoghi.
Si pensi, al caso della «Rotonda» (Villa Almerigo Capra, 1566-1580) di Andrea Palladio a Vicenza (fig. 7), che periodicamente sale alla ribalta delle cronache, sui quotidiani e sui social, perché i turisti si soffermano, formando code lungo la strada, per fotografarla immersa nella colza in fiore o nel grano antico.
Si pensi anche alla Filanda Motta di Campocroce di Mogliano, esempio di archeologia industriale risalente alla metà del XIX secolo, rispetto alla quale un quotidiano locale ha evidenziato come la coltivazione del mais, per la sua altezza e compattezza, finiva per offuscare il cono visuale individuato dello strumento urbanistico comunale, che invece dispone di lasciarlo libero per consentire di apprezzare il profilo dell’intero complesso storico-architettonico.
In questi casi, appare chiara la rilevanza paesaggistica dei piani colturali che l’agricoltore può mettere in atto. Ad esempio, nell’ambito del PSR 2014-2020 furono previsti (anche se mai attuati) piani colturali, con durata quinquennale, proprio con finalità paesaggistiche. Si trattava di rotazioni di colture erbacee non ordinarie, ovvero colture primaverili {p. 294}ed estive, con fioriture piacevolmente vistose, in alternanza a colture autunno-vernine ed erbai, in modo tale da non lasciare mai nudo il terreno coltivato.
Fig. 7. Contesto figurativo di Villa Almerigo Capra (dal sito web di Vicenza Today).
Le finalità paesaggistiche contemplate erano molteplici: testimoniare l’avvicendarsi delle stagioni, migliorando la percezione dei luoghi e le relazioni emotive con questi ultimi; contrastare la semplificazione del mosaico paesaggistico tipica del paesaggio agrario contemporaneo, aumentando così gli stimoli visivi e l’agrobiodiversità; riqualificare quei paesaggi agricoli eccessivamente trasformati o depauperati, come quelli delle monocolture cerealicole, e infine proteggere i coni visuali riconoscibili nel territorio aperto.