Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c15
Da tale individuazione, effettuata
nell’ambito della pianificazione territoriale, è possibile cogliere quanto il
terri
¶{p. 292}torio rurale regionale sia il risultato dei profondi
fattori di trasformazione, principalmente di natura socioeconomica, che hanno investito,
a partire dalla seconda metà del XX secolo, il paesaggio agricolo tradizionale.
Infatti, la rivoluzione agronomica –
con l’avvento della concimazione chimica generalizzata, della meccanizzazione delle
pratiche agricole, della drastica riduzione del lavoro umano e dell’esodo dalle campagne
– ha condotto ad una sorta di standardizzazione degli ordinamenti colturali, in
particolare verso le monocolture cerealicole, con una evidente semplificazione del
mosaico paesaggistico e una conseguente omogeneizzazione dei paesaggi agrari, specie in
pianura.
Sono infatti sotto i nostri occhi le
principali dinamiche che contraddistinguono il paesaggio rurale contemporaneo: la
prevalenza della monocoltura erbacea (mais, frumento, soia, ecc.), nonché della
zootecnia intensiva con i cosiddetti «allevamenti senza terra»; l’intensivizzazione
delle colture arboree (vigneti, frutteti); la perdita di naturalità diffusa (filari,
boschetti, siepi, zone umide, prati stabili e pascoli) e di agrobiodiversità; il
depauperamento culturale (pratiche e tecniche, conoscenze e tradizioni in via
d’estinzione); l’appiattimento percettivo e la perdita di identità dei luoghi; il
consumo di suolo agricolo da urbanizzazione, in particolare laddove prevale
l’edificazione diffusa (sprawl); l’occupazione di suolo agricolo da
parte di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili
(fotovoltaico, eolico, biomasse e biogas).
Se si osservano, invece, le cause di
vulnerabilità rilevate con maggior frequenza per i paesaggi rurali storici (prese in
esame nell’Atlante MiPAAF del 2011), emerge che la principale causa di minaccia non è la
pressione antropica, come si può comunemente pensare, bensì l’abbandono; la pressione
antropica risulta al secondo posto, seguita poi dall’avanzare della vegetazione del
bosco e dall’intensivizzazione agricola.
Quale potrebbe essere allora il
punto di incontro tra paesaggio rurale storico-tradizionale e quello contempo-
raneo?¶{p. 293}
8. Un caso progettuale: i contesti figurativi
Uno spunto per poter avanzare una
risposta viene ad esempio dall’esame di un teorico caso progettuale, quello dei contesti
figurativi dei beni culturali, ancora caratterizzati dalla presenza di usi agricoli del
suolo.
Esistono infatti ambiti agricoli,
potenzialmente di elevato pregio paesaggistico ma particolarmente vulnerabili alle
trasformazioni territoriali, come quelli inclusi nei contesti figurativi, sia delle
ville venete (in primo luogo quelle del sistema palladiano già riconosciuto UNESCO), sia
degli altri complessi storico-architettonici disseminati in tutto il territorio agricolo
regionale.
È infatti di strategica importanza
salvaguardare e valorizzare l’intorno non solo urbanistico ma anche agricolo di questi
beni culturali, in modo tale da poter conservare oppure addirittura ricomporre la loro
immagine ambientale e paesaggistica, in quanto parte significativa dell’identità
culturale dei luoghi.
Si pensi, al caso della «Rotonda»
(Villa Almerigo Capra, 1566-1580) di Andrea Palladio a Vicenza (fig. 7), che
periodicamente sale alla ribalta delle cronache, sui quotidiani e sui
social, perché i turisti si soffermano, formando code lungo la
strada, per fotografarla immersa nella colza in fiore o nel grano antico.
Si pensi anche alla Filanda Motta di
Campocroce di Mogliano, esempio di archeologia industriale risalente alla metà del XIX
secolo, rispetto alla quale un quotidiano locale ha evidenziato come la coltivazione del
mais, per la sua altezza e compattezza, finiva per offuscare il cono visuale individuato
dello strumento urbanistico comunale, che invece dispone di lasciarlo libero per
consentire di apprezzare il profilo dell’intero complesso storico-architettonico.
In questi casi, appare chiara la
rilevanza paesaggistica dei piani colturali che l’agricoltore può mettere in atto. Ad
esempio, nell’ambito del PSR 2014-2020 furono previsti (anche se mai attuati) piani
colturali, con durata quinquennale, proprio con finalità paesaggistiche. Si trattava di
rotazioni di colture erbacee non ordinarie, ovvero colture primaverili
¶{p. 294}ed estive, con fioriture piacevolmente vistose, in alternanza a
colture autunno-vernine ed erbai, in modo tale da non lasciare mai nudo il terreno
coltivato.
Le finalità paesaggistiche
contemplate erano molteplici: testimoniare l’avvicendarsi delle stagioni, migliorando la
percezione dei luoghi e le relazioni emotive con questi ultimi; contrastare la
semplificazione del mosaico paesaggistico tipica del paesaggio agrario contemporaneo,
aumentando così gli stimoli visivi e l’agrobiodiversità; riqualificare quei paesaggi
agricoli eccessivamente trasformati o depauperati, come quelli delle monocolture
cerealicole, e infine proteggere i coni visuali riconoscibili nel territorio
aperto.