Avanzare insieme nella società anziana
DOI: 10.1401/9788815413086/c7
L’eventuale abolizione degli
istituti più risalenti comporterebbe, di conseguenza, la necessità di adattare
ulteriormente l’amministrazione di sostegno, modificandola sotto più aspetti. Da questo
punto di vista, dovrebbe parimenti essere valutata l’introduzione all’interno del codice
civile di una disposizione che rechi i principi ispiratori della legge n. 6/2004, la cui
finalità, espressa all’art. 1, è quella «di tutelare, con la minore limitazione
possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia
nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno
temporaneo o permanente».
¶{p. 151}
Questo sarebbe solo il punto di
partenza di una riforma di ampio respiro degli istituti giudiziali di protezione degli
anziani fragili.
3.1. Il mandato o procura in previsione di una futura incapacità
Se da una parte si sono
avanzate ipotesi di riforma dell’attuale disciplina degli istituti di protezione dei
soggetti fragili, dall’altra si è proposta la valorizzazione degli strumenti
negoziali per la cura degli incapaci. Viste le difficoltà in cui versa
l’amministrazione della giustizia in Italia, sembra in effetti ragionevole
minimizzare il coinvolgimento pubblico nella gestione privata della vulnerabilità.
Tale tesi non si limita a verificare l’idoneità degli strumenti negoziali già
previsti dal codice civile, ma sviluppa una proposta alternativa, ossia
l’introduzione di un negozio giuridico, denominato «mandato o procura in
previsione», a tutela della futura incapacità del soggetto fragile, che potrebbe
essere utilizzato quale alternativa al sistema giudiziale di protezione
dell’amministrazione di sostegno.
In altri termini, una soluzione
di carattere privato e non pubblico, com’è
invece l’amministrazione di sostegno.
Questa proposta evidenzia la
necessità di introdurre un nuovo sistema negoziale di protezione, il quale dovrebbe
essere conformato, innanzitutto, nel senso della massima semplificazione possibile.
In prospettiva, converrebbe invero puntare ad avere un solo istituto di protezione
legale per gli adulti vulnerabili e dovrebbe essere concepito un solo schema
negoziale utilizzabile allo stesso fine. Il risultato della riforma dovrebbe essere,
cioè, quello di creare un sistema di protezione degli adulti essenziale, con una
sola alternativa negoziale all’unico strumento di protezione legale, entrambi però
modulabili sulla situazione personale e conformabili ai desideri del soggetto
interessato. Un simile assetto «minimale» sembra di per sé idoneo a garantire
l’attenzione alle esigenze del singolo caso e a manifestare, al contempo, una
sufficiente affidabilità presso i terzi che dovessero interagire con il
rappresentante, legale o negoziale. Le esperienze di altri paesi a noi
vicini – si pensi su tutti alla Francia [Malaurie e Aynés
2018] – mostrano come, al contrario, il libero sovrapporsi di diversi strumenti, sia
negoziali che legali, ¶{p. 152}nella protezione dell’adulto non
faccia che generare incertezza senza fornire alcuna utilità specifica per il
soggetto interessato. Conformemente all’esempio dei paesi (Germania e Francia) a noi
più vicini, andrebbe invece consacrata la sussidiarietà della protezione legale
rispetto a quella negoziale e la nomina di un rappresentante legale andrebbe
limitata ai casi in cui il soggetto non avesse già provveduto a delegare una persona
di sua fiducia.
Lo schema negoziale di partenza
per il private mandate italiano potrebbe essere il mandato,
definito dall’art. 1703 c.c., valorizzando il profilo dell’incarico assunto dal
rappresentante. Tuttavia, una procura dedicata presenterebbe, rispetto al mandato,
un vantaggio psicologico per il soggetto fragile, soprattutto se anziano. Spesso
infatti è più facile accettare l’idea di affiancare a sé un altro soggetto che
quella di incaricare qualcuno di agire al posto nostro. Nel primo caso si percepisce
che esiste qualcuno disposto ad aiutarci; nel secondo caso si prospetta la
difficoltà di accettare di non farcela più da soli.
Quanto al nomen
iuris, anziché denominare la figura come mandato o procura «di
protezione», potrebbe essere forse meno impattante per il soggetto fragile chiamarla
mandato o procura «in previsione» o «preventivo/a» oppure anche «di precauzione»,
visto che in fondo viene redatta quando il soggetto è ancora pienamente
compos sui.
Importante è stabilire il
momento a partire dal quale la delega prenderebbe efficacia. Gli ordinamenti che già
disciplinano un private mandate si orientano diversamente sul
punto, oscillando tra la predeterminazione normativa di un’attivazione differita
coincidente per lo più con l’affermarsi di uno stato di incapacità del
dominus, come in Francia [Girolami 2021], e la previsione
dell’efficacia immediata a partire dal momento del rilascio, come in Germania.
La soluzione di far decorrere
l’efficacia dell’atto dal momento in cui subentrasse uno stato di incapacità del
dominus presenterebbe evidenti criticità per due ordini di
ragioni: anzitutto risulterebbe problematico definire il livello di incapacità che
si dovrebbe ritenere rilevante ai fini dell’efficacia. Nella varietà di
manifestazioni che l’incapacità naturale presenta, non sembra concretamente
possibile tracciare un confine definito oltre il quale la persona non dovrebbe più
ritenersi compos sui. ¶{p. 153}In secondo
luogo, si porrebbe la questione in merito al soggetto che dovrebbe certificare tale
incapacità: forse il medico di base, ammesso che abbia sempre le competenze adeguate
e che abbia sempre una conoscenza adeguata della storia clinica e umana di tutti i
suoi pazienti. Tutto ciò si unisce a considerazioni di ordine etico: la verifica
delle condizioni fisiche e psichiche del dominus rappresenta
comunque un’invasione della sua sfera personale che, se non indispensabile, andrebbe
evitata. Non va dimenticato, infine, che il rappresentante nominato potrebbe non
essere solerte nell’attivarsi per dare efficacia all’incarico, generando così un
vuoto di tutela per il soggetto fragile.
Quanto al modus
operandi di questo private mandate, per
prudenza, converrebbe sempre definire un sistema di controllo dell’operato del
rappresentante. Il più semplice appare l’indicazione da parte del dominus
di un altro soggetto in qualità di controllore, in grado di adire il
giudice nel caso ravvisasse abusi o irregolarità da parte del rappresentante
designato. Andrebbe poi previsto un obbligo di rendicontazione nelle proporzioni
minime sufficienti a garantire trasparenza senza onerare il delegato di adempimenti
eccessivi, come invece avviene negli istituti di protezione legale (tenuto fermo che
la rendicontazione rigorosa degli atti di straordinaria amministrazione rientrerebbe
comunque senz’altro tra gli obblighi previsti).
In ogni caso dovrebbe rimanere
possibile promuovere un’azione ex art. 1394 o 1395 c.c., ove il
rappresentante agisse in conflitto di interessi, e pertanto dovrebbe considerarsi
preclusa nelle deleghe «preventive» la possibilità di escludere negozialmente
l’applicazione di tali norme, come invece avviene di prassi nelle comuni procure
generali. Se si optasse per un mandato, per sindacare il comportamento del
mandatario, verrebbe in applicazione l’art. 1710 c.c. Ove fosse invece il
dominus non più compos sui ad agire in
prima persona, soccorrerebbe l’art. 428 c.c.
Quanto alla definizione dei
poteri del delegato, si tratta di profilo che andrebbe lasciato alla libera scelta
del singolo dominus, dovendo rimanere
modulabile sulla base delle sue esigenze, delle sue aspirazioni e dei suoi desideri.
Le problematiche al riguardo comunque non sarebbero molto diverse da quelle, già
note, che si riscontrano nella redazione di una comune procura
generale.¶{p. 154}
Sarebbe infine opportuno, se
non indispensabile, coordinare la disciplina della delega «in previsione» con le
disposizioni regolate dalla legge n. 219/2017, in specie l’art. 4, che prevede la
nomina di un fiduciario per le decisioni in materia di trattamenti sanitari, dunque
in un campo specifico della cura personae.
Senza ricalcare la complessità
del sistema tedesco sul punto, si potrebbe più facilmente immaginare di creare un
unico schema negoziale che il soggetto vulnerabile potrebbe utilizzare conformemente
alle proprie preferenze: potrebbe dettare solo disposizioni patrimoniali, solo
disposizioni in materia di salute o di cura personae in senso
più ampio – si pensi alla scelta di essere ricoverato in una RSA o di rimanere
comunque nella propria casa fornito di assistenza adeguata – ma potrebbe anche unire
più tipi di disposizioni in un unico atto, a propria libera scelta.
In definitiva si tratterebbe di
introdurre uno strumento i cui contenuti sarebbero rimessi in toto
all’autonomia privata, e dunque alla libera valutazione dell’interessato,
il quale non subirebbe alcuna formale ablazione della capacità di agire, neppure
minima, e si vedrebbe comunque affiancato da un soggetto di fiducia per la gestione
dei propri affari e la cura della propria persona e anche per le decisioni in
materia di salute. In questo contesto, i giudici verrebbero aditi solo nel caso di
segnalate infedeltà o inefficienze del rappresentante e potrebbero ricominciare a
seguire attivamente le procedure poste sotto la loro sorveglianza, che tornerebbero
a essere in un numero contenuto come era un tempo per le interdizioni e le
inabilitazioni.
4. Testamento, matrimonio, contratto e donazioni: gli atti dell’anziano vulnerabile tra autonomia e protezione
Negli ultimi anni il termine
vulnerabilità è diventato assiduamente presente nel linguaggio dei giuristi. Complice
probabilmente una diversa attenzione verso la fragilità della persona: non più
dimensione da nascondere dietro la maschera astratta della soggettività, ma elemento
capace di svelare i molteplici volti della dimensione umana [Zatti 2009a]. La revisione
degli istituti di protezione della persona, nel modello individuato nel dettato
legislativo, ma anche nella concretezza delle applicazioni giurisprudenziali, è andata
nel senso di spostare l’attenzione dal volto ¶{p. 155}della fragilità a
quello della capacità residua: non si tratta più di proteggere la persona attraverso
forme di totale privazione della capacità di agire, ma al contrario di mantenerne
intatto il ruolo di protagonista del traffico giuridico (fin dove possibile).
Il percorso che ha portato negli
anni alla progressiva valorizzazione di capacità e volontà della persona vulnerabile,
con il progressivo invecchiamento della popolazione, disvela però un problema che in
passato era destinato ad avere un’incidenza minore rispetto alla rilevanza che è venuto
ad assumere in tempi recenti: quello cioè relativo alle forme di condizionamento della
volontà della persona vulnerabile; suggestioni,
captazioni, pressioni maliziose,
forme di manipolazione del volere possono infatti incidere
sulla volontà spesso fragile della persona vulnerabile, al pari di un vero e proprio
raggiro o di una forma di violenza morale.
Si tratta di elementi in
connessione biunivoca. Maggiore è la vulnerabilità della persona e minore deve essere la
«forza» della persuasione, del condizionamento, del raggiro malizioso: la persona molto
vulnerabile si persuaderà facilmente all’agire, spesso perché ciò le consente di
mantenere intatti i termini di una relazione che considera essenziale, al contrario di
ciò che accade quando la persona sia meno vulnerabile, meno «esposta» alle relazioni.
La vulnerabilità indica infatti
quella carenza di difesa, quella debolezza che nasce dall’impossibilità di soddisfare
dei bisogni, vuoi nella relazione con l’ambiente esterno, vuoi nelle relazioni sociali o
affettive [Maillard 2011]: una «condizione che appartiene a tutti i viventi, segnata, a
seconda delle situazioni, da gradi diversi di debolezza, dipendenza, mancanza di
protezione» [Gensabella Furnari 2008]. Una dimensione che appartiene naturalmente alla
persona umana. La persona è infatti vulnerabile per definizione, in quanto essere umano.
Nella sua materialità, perché esposta al passare del tempo e alle vicissitudini legate
alle sofferenze fisiche e psichiche dell’esistenza. Ma anche nella relazione con gli
altri [Lévinas 1983], perché è attraverso le relazioni interpersonali che l’uomo
soddisfa i suoi bisogni, specie i bisogni più squisitamente relazionali come quelli
affettivi, rispetto ai quali la ferita è più intima e dolorosa
[3]
.
¶{p. 156}
Note
[3] Una recente indagine distingue la vulnerabilità avente un’origine naturale, nella quale vengono inclusi i minori, gli anziani, le donne, i disabili, gli omosessuali, da una vulnerabilità sociale, che comprende i poveri, i consumatori particolarmente indifesi, i lavoratori vessati, gli immigrati, ecc., vedi Gentili [2019] e Battelli [2019]. Cfr. anche supra, capitolo 1.