Cecilia Tomassini, Marco Albertini, Carlo Lallo (a cura di)
Avanzare insieme nella società anziana
DOI: 10.1401/9788815413086/c7
L’eventuale abolizione degli istituti più risalenti comporterebbe, di conseguenza, la necessità di adattare ulteriormente l’amministrazione di sostegno, modificandola sotto più aspetti. Da questo punto di vista, dovrebbe parimenti essere valutata l’introduzione all’interno del codice civile di una disposizione che rechi i principi ispiratori della legge n. 6/2004, la cui finalità, espressa all’art. 1, è quella «di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente».
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Questo sarebbe solo il punto di partenza di una riforma di ampio respiro degli istituti giudiziali di protezione degli anziani fragili.

3.1. Il mandato o procura in previsione di una futura incapacità

Se da una parte si sono avanzate ipotesi di riforma dell’attuale disciplina degli istituti di protezione dei soggetti fragili, dall’altra si è proposta la valorizzazione degli strumenti negoziali per la cura degli incapaci. Viste le difficoltà in cui versa l’amministrazione della giustizia in Italia, sembra in effetti ragionevole minimizzare il coinvolgimento pubblico nella gestione privata della vulnerabilità. Tale tesi non si limita a verificare l’idoneità degli strumenti negoziali già previsti dal codice civile, ma sviluppa una proposta alternativa, ossia l’introduzione di un negozio giuridico, denominato «mandato o procura in previsione», a tutela della futura incapacità del soggetto fragile, che potrebbe essere utilizzato quale alternativa al sistema giudiziale di protezione dell’amministrazione di sostegno.
In altri termini, una soluzione di carattere privato e non pubblico, com’è invece l’amministrazione di sostegno.
Questa proposta evidenzia la necessità di introdurre un nuovo sistema negoziale di protezione, il quale dovrebbe essere conformato, innanzitutto, nel senso della massima semplificazione possibile. In prospettiva, converrebbe invero puntare ad avere un solo istituto di protezione legale per gli adulti vulnerabili e dovrebbe essere concepito un solo schema negoziale utilizzabile allo stesso fine. Il risultato della riforma dovrebbe essere, cioè, quello di creare un sistema di protezione degli adulti essenziale, con una sola alternativa negoziale all’unico strumento di protezione legale, entrambi però modulabili sulla situazione personale e conformabili ai desideri del soggetto interessato. Un simile assetto «minimale» sembra di per sé idoneo a garantire l’attenzione alle esigenze del singolo caso e a manifestare, al contempo, una sufficiente affidabilità presso i terzi che dovessero interagire con il rappresentante, legale o negoziale. Le esperienze di altri paesi a noi vicinisi pensi su tutti alla Francia [Malaurie e Aynés 2018] – mostrano come, al contrario, il libero sovrapporsi di diversi strumenti, sia negoziali che legali, {p. 152}nella protezione dell’adulto non faccia che generare incertezza senza fornire alcuna utilità specifica per il soggetto interessato. Conformemente all’esempio dei paesi (Germania e Francia) a noi più vicini, andrebbe invece consacrata la sussidiarietà della protezione legale rispetto a quella negoziale e la nomina di un rappresentante legale andrebbe limitata ai casi in cui il soggetto non avesse già provveduto a delegare una persona di sua fiducia.
Lo schema negoziale di partenza per il private mandate italiano potrebbe essere il mandato, definito dall’art. 1703 c.c., valorizzando il profilo dell’incarico assunto dal rappresentante. Tuttavia, una procura dedicata presenterebbe, rispetto al mandato, un vantaggio psicologico per il soggetto fragile, soprattutto se anziano. Spesso infatti è più facile accettare l’idea di affiancare a sé un altro soggetto che quella di incaricare qualcuno di agire al posto nostro. Nel primo caso si percepisce che esiste qualcuno disposto ad aiutarci; nel secondo caso si prospetta la difficoltà di accettare di non farcela più da soli.
Quanto al nomen iuris, anziché denominare la figura come mandato o procura «di protezione», potrebbe essere forse meno impattante per il soggetto fragile chiamarla mandato o procura «in previsione» o «preventivo/a» oppure anche «di precauzione», visto che in fondo viene redatta quando il soggetto è ancora pienamente compos sui.
Importante è stabilire il momento a partire dal quale la delega prenderebbe efficacia. Gli ordinamenti che già disciplinano un private mandate si orientano diversamente sul punto, oscillando tra la predeterminazione normativa di un’attivazione differita coincidente per lo più con l’affermarsi di uno stato di incapacità del dominus, come in Francia [Girolami 2021], e la previsione dell’efficacia immediata a partire dal momento del rilascio, come in Germania.
La soluzione di far decorrere l’efficacia dell’atto dal momento in cui subentrasse uno stato di incapacità del dominus presenterebbe evidenti criticità per due ordini di ragioni: anzitutto risulterebbe problematico definire il livello di incapacità che si dovrebbe ritenere rilevante ai fini dell’efficacia. Nella varietà di manifestazioni che l’incapacità naturale presenta, non sembra concretamente possibile tracciare un confine definito oltre il quale la persona non dovrebbe più ritenersi compos sui. {p. 153}In secondo luogo, si porrebbe la questione in merito al soggetto che dovrebbe certificare tale incapacità: forse il medico di base, ammesso che abbia sempre le competenze adeguate e che abbia sempre una conoscenza adeguata della storia clinica e umana di tutti i suoi pazienti. Tutto ciò si unisce a considerazioni di ordine etico: la verifica delle condizioni fisiche e psichiche del dominus rappresenta comunque un’invasione della sua sfera personale che, se non indispensabile, andrebbe evitata. Non va dimenticato, infine, che il rappresentante nominato potrebbe non essere solerte nell’attivarsi per dare efficacia all’incarico, generando così un vuoto di tutela per il soggetto fragile.
Quanto al modus operandi di questo private mandate, per prudenza, converrebbe sempre definire un sistema di controllo dell’operato del rappresentante. Il più semplice appare l’indicazione da parte del dominus di un altro soggetto in qualità di controllore, in grado di adire il giudice nel caso ravvisasse abusi o irregolarità da parte del rappresentante designato. Andrebbe poi previsto un obbligo di rendicontazione nelle proporzioni minime sufficienti a garantire trasparenza senza onerare il delegato di adempimenti eccessivi, come invece avviene negli istituti di protezione legale (tenuto fermo che la rendicontazione rigorosa degli atti di straordinaria amministrazione rientrerebbe comunque senz’altro tra gli obblighi previsti).
In ogni caso dovrebbe rimanere possibile promuovere un’azione ex art. 1394 o 1395 c.c., ove il rappresentante agisse in conflitto di interessi, e pertanto dovrebbe considerarsi preclusa nelle deleghe «preventive» la possibilità di escludere negozialmente l’applicazione di tali norme, come invece avviene di prassi nelle comuni procure generali. Se si optasse per un mandato, per sindacare il comportamento del mandatario, verrebbe in applicazione l’art. 1710 c.c. Ove fosse invece il dominus non più compos sui ad agire in prima persona, soccorrerebbe l’art. 428 c.c.
Quanto alla definizione dei poteri del delegato, si tratta di profilo che andrebbe lasciato alla libera scelta del singolo dominus, dovendo rimanere modulabile sulla base delle sue esigenze, delle sue aspirazioni e dei suoi desideri. Le problematiche al riguardo comunque non sarebbero molto diverse da quelle, già note, che si riscontrano nella redazione di una comune procura generale.{p. 154}
Sarebbe infine opportuno, se non indispensabile, coordinare la disciplina della delega «in previsione» con le disposizioni regolate dalla legge n. 219/2017, in specie l’art. 4, che prevede la nomina di un fiduciario per le decisioni in materia di trattamenti sanitari, dunque in un campo specifico della cura personae.
Senza ricalcare la complessità del sistema tedesco sul punto, si potrebbe più facilmente immaginare di creare un unico schema negoziale che il soggetto vulnerabile potrebbe utilizzare conformemente alle proprie preferenze: potrebbe dettare solo disposizioni patrimoniali, solo disposizioni in materia di salute o di cura personae in senso più ampio – si pensi alla scelta di essere ricoverato in una RSA o di rimanere comunque nella propria casa fornito di assistenza adeguata – ma potrebbe anche unire più tipi di disposizioni in un unico atto, a propria libera scelta.
In definitiva si tratterebbe di introdurre uno strumento i cui contenuti sarebbero rimessi in toto all’autonomia privata, e dunque alla libera valutazione dell’interessato, il quale non subirebbe alcuna formale ablazione della capacità di agire, neppure minima, e si vedrebbe comunque affiancato da un soggetto di fiducia per la gestione dei propri affari e la cura della propria persona e anche per le decisioni in materia di salute. In questo contesto, i giudici verrebbero aditi solo nel caso di segnalate infedeltà o inefficienze del rappresentante e potrebbero ricominciare a seguire attivamente le procedure poste sotto la loro sorveglianza, che tornerebbero a essere in un numero contenuto come era un tempo per le interdizioni e le inabilitazioni.

4. Testamento, matrimonio, contratto e donazioni: gli atti dell’anziano vulnerabile tra autonomia e protezione

Negli ultimi anni il termine vulnerabilità è diventato assiduamente presente nel linguaggio dei giuristi. Complice probabilmente una diversa attenzione verso la fragilità della persona: non più dimensione da nascondere dietro la maschera astratta della soggettività, ma elemento capace di svelare i molteplici volti della dimensione umana [Zatti 2009a]. La revisione degli istituti di protezione della persona, nel modello individuato nel dettato legislativo, ma anche nella concretezza delle applicazioni giurisprudenziali, è andata nel senso di spostare l’attenzione dal volto {p. 155}della fragilità a quello della capacità residua: non si tratta più di proteggere la persona attraverso forme di totale privazione della capacità di agire, ma al contrario di mantenerne intatto il ruolo di protagonista del traffico giuridico (fin dove possibile).
Il percorso che ha portato negli anni alla progressiva valorizzazione di capacità e volontà della persona vulnerabile, con il progressivo invecchiamento della popolazione, disvela però un problema che in passato era destinato ad avere un’incidenza minore rispetto alla rilevanza che è venuto ad assumere in tempi recenti: quello cioè relativo alle forme di condizionamento della volontà della persona vulnerabile; suggestioni, captazioni, pressioni maliziose, forme di manipolazione del volere possono infatti incidere sulla volontà spesso fragile della persona vulnerabile, al pari di un vero e proprio raggiro o di una forma di violenza morale.
Si tratta di elementi in connessione biunivoca. Maggiore è la vulnerabilità della persona e minore deve essere la «forza» della persuasione, del condizionamento, del raggiro malizioso: la persona molto vulnerabile si persuaderà facilmente all’agire, spesso perché ciò le consente di mantenere intatti i termini di una relazione che considera essenziale, al contrario di ciò che accade quando la persona sia meno vulnerabile, meno «esposta» alle relazioni.
La vulnerabilità indica infatti quella carenza di difesa, quella debolezza che nasce dall’impossibilità di soddisfare dei bisogni, vuoi nella relazione con l’ambiente esterno, vuoi nelle relazioni sociali o affettive [Maillard 2011]: una «condizione che appartiene a tutti i viventi, segnata, a seconda delle situazioni, da gradi diversi di debolezza, dipendenza, mancanza di protezione» [Gensabella Furnari 2008]. Una dimensione che appartiene naturalmente alla persona umana. La persona è infatti vulnerabile per definizione, in quanto essere umano. Nella sua materialità, perché esposta al passare del tempo e alle vicissitudini legate alle sofferenze fisiche e psichiche dell’esistenza. Ma anche nella relazione con gli altri [Lévinas 1983], perché è attraverso le relazioni interpersonali che l’uomo soddisfa i suoi bisogni, specie i bisogni più squisitamente relazionali come quelli affettivi, rispetto ai quali la ferita è più intima e dolorosa [3]
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Note
[3] Una recente indagine distingue la vulnerabilità avente un’origine naturale, nella quale vengono inclusi i minori, gli anziani, le donne, i disabili, gli omosessuali, da una vulnerabilità sociale, che comprende i poveri, i consumatori particolarmente indifesi, i lavoratori vessati, gli immigrati, ecc., vedi Gentili [2019] e Battelli [2019]. Cfr. anche supra, capitolo 1.