Avanzare insieme nella società anziana
DOI: 10.1401/9788815413086/c7
L’effettiva attuazione degli
sportelli di prossimità può sopperire in parte alle carenze che si registrano
nell’accesso alla giustizia da parte dei soggetti fragili, tuttavia sarebbe
opportuno un potenziamento degli organici delle cancellerie, con sezioni specifiche
che si occupino delle procedure di sostegno ai soggetti fragili. A tal proposito,
potrebbe certamente valutarsi l’ingresso nelle procedure di soggetti specializzati,
ad esempio appartenenti ai servizi sociali, in modo che possa essere garantita una
facilità di accesso e di gestione delle procedure di amministrazione di sostegno da
parte non solo dell’anziano fragile, ma anche dei familiari o soggetti designati
alla prestazione delle cure. Questi ultimi infatti devono sovente fare ricorso
all’assistenza di professionisti legali per interfacciarsi con la struttura
burocratica della giustizia. Sul punto, va evidenziato ad esempio che l’introduzione
delle sezioni specializzate d’impresa, a cui sono stati assegnati giudici con una
comprovata esperienza nel settore, ha portato sicuramente a un efficientamento delle
proce
¶{p. 146}dure giurisdizionali gestite dalle sezioni medesime.
In tale prospettiva, deve essere garantita anche la formazione specializzata degli
operatori di cancelleria, i quali dovrebbero essere istruiti per assicurare una
piena e concreta collaborazione con il relativo giudice tutelare. In relazione ai
magistrati, la realizzazione di un progetto di sostegno effettivo e personalizzato
richiede una forte attenzione nella fase dell’ascolto dell’anziano, adempimento che
si scontra con la frequente carenza di organico dei tribunali italiani e con una non
sempre adeguata formazione dei magistrati che se ne occupano.
Sin da quando fu introdotta,
l’amministrazione di sostegno, grazie alla sua flessibilità, ha conosciuto un
successo applicativo senza precedenti. Sono invero moltissime le domande. Nei primi
anni di applicazione questo ha sicuramente rappresentato un indice del successo
dell’istituto, ma ora i numeri sono talmente elevati che si profila l’urgenza di
rimeditare gli equilibri dell’intero sistema di protezione degli incapaci [Girolami
2023].
Non si può fare una colpa al
magistrato gravato da un migliaio di procedimenti di questo tipo, come mediamente
accade, se i decreti tendono a uniformarsi a formule standard riconducibili a
situazioni e modelli astratti di fragilità. Difetta il tempo materiale per conoscere
davvero la condizione della persona a cui è destinato l’amministratore di sostegno,
segnando nei fatti una crisi non voluta dell’istituto, approdato ben lontano dalle
intenzioni del legislatore [Roma 2021; Carlesso et al. 2021].
Analizzando la prassi dei
tribunali presi in considerazione si evidenzia, peraltro, una forte contraddizione:
da un lato si ritiene che nelle procedure di amministrazione di sostegno il ruolo di
giudice tutelare debba essere ricoperto esclusivamente da magistrati togati;
dall’altro, ancorché il singolo giudizio sia effettivamente affidato a un magistrato
togato, spesso si delegano fasi della procedura a magistrati onorari.
Questa prassi provoca
un’ulteriore inefficienza, perché si assiste a un’alternanza di differenti giudici
all’interno del medesimo procedimento di amministrazione di sostegno.
In relazione al ruolo di
giudice tutelare, è stato autorevolmente osservato:
è indispensabile che venga anche normativamente prevista un’adeguata specializzazione a questa funzione; e che la relativa professiona¶{p. 147}lità venga adeguatamente valorizzata anche nell’ambito delle valutazioni nella carriera del magistrato, escludendosi ogni sottovalutazione del suo delicatissimo operato. Al contempo non può certo ritenersi che la professionalità e la sensibilità relativa sia acquisibile solo dai magistrati togati; invece possono e debbono, senza fariseismi normativi, essere utilizzabili senza timori o ubbie esclusivistiche le acquisizioni di formazione e sensibilità rintracciabili in molti magistrati onorari, senza che essi vengano organizzativamente o nei fatti addetti a ruoli vicari o subordinati e nascosti [Trentanovi 2023a; 2023b].
Sarebbe, dunque, opportuno un
potenziamento dell’organico, anche attingendo a giudici onorari, che tenga
nell’adeguata considerazione la formazione e l’esperienza degli stessi nella
specifica materia del sostegno e delle cure ai soggetti fragili e non solo le
competenze giuridiche degli stessi. Come osservato da Trentanovi
[ibidem]:
si deve superare (anche attraverso previsioni in tal senso a livello normativo-organizzativo) la cosiddetta logica delle competenze, della diagnosi e della prognosi settoriale attraverso la logica della condivisione multidisciplinare e multidimensionale nel progetto personale di sostegno a favore della persona non autonoma. Necessità di comprensione (e, se ritenuto necessario per superare divergenze applicative, specificazione normativa) del carattere sussidiario dell’intervento del GT (art. 405 c.c.) che può e non deve essere assistita (art. 404 c.c.). Attraverso percorsi comuni di formazione deve esser compreso, parallelamente, il carattere sussidiario dello stesso intervento dei «responsabili dei servizi sanitari e sociali impegnati nella cura e assistenza della persona», ex art. 406, terzo comma, c.c. (dicotomia tra sono tenuti e ove opportuna).
2.3. Il problema della necessaria formazione continua e specializzata dei soggetti coinvolti nel progetto di sostegno e del costo delle procedure di amministrazione di sostegno
È necessario garantire una
formazione adeguata e continua di tutti i soggetti che fanno parte del «progetto di
sostegno» e che sono coinvolti nella prestazione delle cure di sostegno agli anziani
fragili, ossia: giudici tutelari, avvocati e altri soggetti che assumono la
qualifica di amministratori di sostegno, operatori ¶{p. 148}dei
servizi sociali, familiari che partecipano alle cure e al sostegno dell’anziano.
Allo stato, infatti, non sono
rintracciabili previsioni normative che fissano un obbligo di formazione specifica
per i soggetti (al di fuori degli operatori dei servizi sociali). Peraltro, si
evidenzia che tale formazione continua dovrebbe essere multidisciplinare e, dunque,
riguardare non solo gli aspetti giuridici, ma anche quelli medico-psicologici e tale
formazione dovrebbe tenere in debita considerazione l’esperienza dei soggetti che
effettivamente hanno prestato cure ad anziani fragili. Sul punto, si è evidenziata
la necessaria collaborazione e condivisione che deve intercorrere tra i soggetti
chiamati al progetto di sostegno del beneficiario, affermandosi che
tali professionalità e sensibilità vanno normativamente richieste e formate anche nei responsabili e negli operatori dei servizi socio-sanitari; essi devono saper operare, anche assieme ai magistrati incaricati del ruolo di GT, superando ogni logica di competenze esclusive e nell’ottica della multidimensionalità e della multidisciplinarietà; nella condivisione, ai livelli organizzativi e a quelli (caso per caso, persona per persona) applicativi, di un servizio essenziale per persone tra le più fragili della comunità [Trentanovi 2023a; 2023b].
Ulteriore riflessione
dev’essere svolta sui costi delle procedure di amministrazione di sostegno. Allo
stato, la procedura di amministrazione di sostegno non è gratuita per il
beneficiario, essendo ad esempio previsto un compenso, sotto forma di indennità, che
grava sul patrimonio del beneficiario. La determinazione di tale indennità avviene
sulla base di protocolli adottati dai vari tribunali, «tenendo in considerazione
l’entità del patrimonio amministrato ma anche le difficoltà incontrate nella cura
della persona e dei suoi interessi patrimoniali» (si è presa quale esempio
l’indicazione adottata dal Tribunale di Padova).
Si ritiene necessario valutare
l’opportunità di tale scelta e le possibili alternative: ad esempio è stata avanzata
l’ipotesi di far rientrare le spese relative ai progetti di sostegno dei soggetti
fragili all’interno dei livelli essenziali di assistenza, ossia
«le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a
fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di
partecipazione (ticket), con le risorse ¶{p. 149}pubbliche raccolte
attraverso la fiscalità generale (tasse)» (definizione tratta dal sito del Ministero
della Salute)
[2]
.
Secondo questa ipotesi,
l’applicazione di una procedura di amministrazione di sostegno verrebbe considerata
livello essenziale di tutela alla persona, che non sopporterebbe più alcun costo,
nemmeno quello per l’indennità dell’amministratore di sostegno. Potrebbe dunque
valutarsi la possibilità di attingere altrove le risorse necessarie al progetto di
sostegno, tra cui anche i costi per gli enti pubblici e privati che potrebbero
essere coinvolti nel sostegno all’anziano.
3. Dalle criticità dell’amministrazione di sostegno a ipotesi alternative
Il forte aumento dei procedimenti
di amministrazione di sostegno ha pregiudicato l’efficienza dell’istituto, sia a causa
delle scarse risorse allocate (tempo e personale), insufficienti a garantire il corretto
funzionamento, sia a causa di una certa inerzia legislativa nel riconoscimento delle
competenze necessarie al procedimento stesso: e certamente questa
tendenza può solo peggiorare proporzionalmente al progressivo
aumento della popolazione anziana in Italia.
I giudici tutelari non riescono a
esercitare un ruolo effettivo e attivo nelle procedure e sovente si assiste a
un’eccessiva burocratizzazione delle procedure: ad esempio, gli amministratori di
sostegno sono tenuti a periodiche e dettagliate relazioni di aggiornamento e ad altre
forme di rendicontazione che in realtà si risolvono in adempimenti burocratici
verificati solo nella forma e non nel merito. Occorre ribadire, peraltro, che le
difficoltà di gestione dell’elevato numero dei ricorsi portano spesso i giudici ad
applicare formule ricorrenti e standardizzate, con ciò frustrando del tutto le finalità
di sostegno e cura del soggetto amministrato. Si assiste, infine, a una disomogeneità
applicativa dell’istituto a livello territoriale, che determina forti disuguaglianze sul
territorio.¶{p. 150}
Per fronteggiare le problematiche
evidenziate, una prima via è quella di prospettare alcune ipotesi di riforma
dell’attuale disciplina degli istituti di protezione dei soggetti fragili, anche e
soprattutto sul piano delle risorse e dello sviluppo di una più adeguata rete
organizzativa di gestione. Sul punto, l’introduzione a opera della legge n. 6/2004 della
possibilità di modulare il decreto di nomina dell’ADS alle reali necessità del
beneficiario «aveva illuso sull’imminente abrogazione degli istituti tradizionali che
apparivano ormai figli di una logica superata» [Girolami 2023]. È stato perfino
osservato che la piena attuazione dei principi ispiratori della legge n. 6/2004 può
essere raggiunta solo con la totale abrogazione degli istituti dell’interdizione e
dell’inabilitazione, mentre il compito di tutelare e supportare i soggetti fragili in
generale deve essere demandato all’amministrazione di sostegno, unico istituto capace di
conformarsi alle reali esigenze del soggetto infermo/fragile. Come evidenziato ancora da
Trentanovi [2023a; 2023b], alla cancellazione normativa dell’interdizione/tutela,
potrebbe conseguire la
trasformazione provvisoria di tutte le tutele in amministrazioni di sostegno; disponendo/prevedendo contestualmente tempi tecnici ridotti per il successivo intervento individualizzante del GT ex art. 405 c.c., tenendo presente l’esigenza-base dell’ascolto personale (il sentire personalmente di cui all’art. 407 c.c.) del beneficiario nel suo contesto esistenziale (immedesimazione).
Il superamento dell’interdizione e
dell’inabilitazione porterebbe, peraltro, ad abbandonare la dicotomia
capacità/incapacità di agire.
L’eventuale abolizione degli
istituti più risalenti comporterebbe, di conseguenza, la necessità di adattare
ulteriormente l’amministrazione di sostegno, modificandola sotto più aspetti. Da questo
punto di vista, dovrebbe parimenti essere valutata l’introduzione all’interno del codice
civile di una disposizione che rechi i principi ispiratori della legge n. 6/2004, la cui
finalità, espressa all’art. 1, è quella «di tutelare, con la minore limitazione
possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia
nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno
temporaneo o permanente».
¶{p. 151}