Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c6
Anche per questo, sin dal primo
statuto, il titolo di «rettore a vita» fu conferito a Filippo Rusca, fondatore della
Società e poi sua anima indiscussa esattamente per un decennio, ossia fino alla morte
avvenuta a Parigi nel dicembre 1817
[28]
. Nativo di Briga Marittima (oggi La Brigue, in Francia), questi era il
fratello del più noto Giambattista, generale repubblicano che negli anni della
rivoluzione si era
¶{p. 197}arruolato nell’esercito francese e aveva
partecipato alle più importanti operazioni militari durante il Triennio
[29]
. A differenza del fratello, che negli anni napoleonici fu emarginato a causa
del suo profilo politico, Filippo, che già negli anni del Direttorio aveva ottenuto
l’incarico di «conservateur du dépôt littéraire de Nice, [...] chargé de former la
bibliothèque de l’école centrale»
[30]
, seppe integrarsi maggiormente negli indirizzi napoleonici, riuscendo
appunto a trarre profitto dalle sue competenze linguistiche. Proprio il successo della
Société d’émulation ne fu una conferma, non solo perché essa continuò per anni le sue
riunioni tenutesi tre volte a settimana, ma anche perché dalle sue lezioni Rusca trasse
ulteriore impulso per dare alle stampe, nel 1810, dei brevi appunti d’italiano
intitolati Tableaux élémentaires des déclinaisons et conjugaisons de la langue
italienne. Come egli stesso precisava in prefazione, essi dovevano
servire, nell’attesa di un’auspicata Grammaire complète che però
mai vide la luce, da «introduction à [s]a méthode analytique, ayant été demandés par un
très grand nombre de [s]es eleves»
[31]
. Quello stesso anno, inoltre, esplicitava i principi della Società in un
discorso inaugurale che, tenutosi in novembre e presto pubblicato da quegli stampatori
Ballanche ormai divenuti i referenti editoriali dell’associazione, era volto a esaltare
l’eleganza del dialetto della Toscana, area descritta come «sorgente d’ogni civiltà,
[...] prima coltivatrice di scienze ed arti in Europa»
[32]
. Dedicato al nuovo prefetto del Rhône (il conte Pierre-Marie de Bondy),
l’intervento si concludeva con un convinto ringraziamento al «savissimo Imperadore», il
cui merito era l’aver accordato allo studio della lingua italiana «privilegi tanto più
preziosi, quanto che tendono tutti a conservarla e renderla ogni vieppiù ricca, pulita e gentile»
[33]
.¶{p. 198}
Proprio questo impegno a carattere
purista, volto cioè all’insegnamento di una lingua italiana il più possibile corretta e
«preservata da modi e locuzioni straniere»
[34]
, lo avrebbe condotto ad approfondire i suoi studi aggiungendo al magistero
del volgare anche quello del latino. A tal fine, prima pubblicò, nel 1813, uno
Specimen epistolarum istitutoris ad discipulum che serviva a
delineare i principi della didattica latina
[35]
, poi istituì, l’anno successivo, una Société latine che andava ad affiancare
– e non a sostituire – la Société d’émulation. Essa, infatti, svolgeva le sue lezioni
negli stessi locali lionesi di quest’ultima e per i tre giorni della settimana rimasti
liberi (ossia quelli dispari), ma soprattutto aveva l’obiettivo di «rendre l’usage de
cette langue plus familier par la conversation et par l’explication et l’analyse latine
des auteurs latins du siècle d’or»
[36]
. Così, in una straordinaria continuità con l’idea del 1807, quella cioè di
fondare un istituto preposto all’insegnamento dell’italiano, finanche nei suoi
ultimissimi anni di vita Rusca proseguiva l’impegno culturale volto a promuovere
un’approfondita conoscenza di caratteristiche e storia della lingua madre.
2. Una calcografia in movimento: le peregrinazioni parigine dei fratelli Piranesi
Negli stessi mesi in cui a Lione
prendeva corpo la Società di Rusca, a Parigi un altro italiano con precedenti politici
provava a compiere un’operazione simile, seppur maggiormente improntata sul terreno
artistico. L’esule romano Francesco Piranesi, figlio del celebre incisore Giambattista,
dopo aver installato con il fratello Pietro una calcografia dedicata alla riproduzione
di monumenti antichi, proponeva prima di adibire i locali del suo stabilimento parigino
a centro di esposizione, poi di istituire a Milano una sorta ¶{p. 199}di
Accademia delle belle arti. Infatti, nel febbraio 1807, il giornale «La Décade» (ormai
prossimo alla chiusura, ma sempre ben informato sulle iniziative degli esuli italiani)
comunicava che questi aveva offerto «à tous les artistes et même aux manufacturiers de
l’Empire de placer dans son dépôt les productions de leurs talents et de leur industrie
qu’ils voudraient exposer»
[37]
. Poco più di un anno dopo, nel giugno 1808, era lo stesso Piranesi a
rivolgersi al viceré Eugenio di Beauharnais per avanzare l’idea della realizzazione a
Milano di una «Accademia d’industria»
[38]
.
Del resto, una simile suggestione,
che comunque non riuscì ad andare in porto aggravando la sempre più precaria situazione
economica di Piranesi, non era certo una novità nella mente di quest’ultimo, dato che
essa era stata presentata già alcuni anni prima, quando, nell’estate del 1802, locali e
tecniche della sua calcografia, ai tempi gestita da entrambi i fratelli, furono proposti
per l’istituzione di una vera e propria «Académie des Beaux-Arts». A darne l’annuncio
era stata, già allora, proprio «La Décade», che in giugno aveva riferito della volontà
del governo di fornire all’istituto «toutes les facilités nécessaires pour le
développement» dell’iniziativa. L’Accademia, che secondo la ricostruzione del giornale
era «déjà en pleine activité», doveva dividersi in sette classi (pittura, scultura,
architettura, dipinti di storia naturale, incisioni varie, decorazioni di edifici,
incisioni su pietra) e avrebbe dovuto garantire la frequenza a circa 300 studenti
[39]
.
Tuttavia, contrariamente a quanto
riferito dal giornale, le cose erano ben lontane dall’essere già avviate, anzi proprio
l’articolo in questione avrebbe innescato feroci polemiche che finirono con il far
naufragare il progetto. Nel giro di pochi giorni, infatti, l’idea di un’Accademia
gestita da due ¶{p. 200}romani fu duramente attaccata, perché risultò
poco gradita la prospettiva di affidare la direzione di un importante stabilimento nel
cuore della capitale a uomini di nazionalità straniera. Ad aprire i fuochi furono gli
ambienti raccoltisi nell’Athénée des arts, i quali, per bocca di Jean-Baptiste Duchesne,
contestarono la scelta di affidare l’iniziativa a «des mains étrangères», ritenendo
invece più opportuno «employer les maîtres Français, sans charger un Italien de la
conduite d’une pareille école»
[40]
. Pochi giorni più tardi, erano le pagine del «Journal des Arts», altro
periodico culturale edito a Parigi e storicamente avversario de «La Décade», a
rilanciare la questione, tra le altre cose facendo polemicamente notare come l’Accademia
dei Piranesi «n’est encore qu’un projet, quoiqu’on l’annonce en pleine activité».
Motivando il loro intervento «par cet amour que nous portons à la gloire nationale», i
redattori dedicavano alla vicenda un lungo articolo che dimostrava quanto le origini
geografiche fossero reputate tutt’altro che marginali nell’assegnazione dei
finanziamenti statali:
Malgré l’admiration que nous inspirent tant de belles choses et la confiance que nous devons à ces promesses fastueuses, peut-être nous est-il permis de les examiner en détail, et de chercher si véritablement les Arts en France doivent se réjouir de cette haute protection que les frères Piranesi veulent bien leur accorder au centre de Paris, qui possède cependant des hommes dans la force de l’âge et très célèbres dans les Arts, sans avoir été formés par les frères Piranesi, et de chercher si ce n’est pas véritablement un devoir à remplir que d’empêcher que l’Europe ne soit trompée par une semblable annonce, et ne s’imagine que les Arts sont ici dans une telle décadence que la France a été trop heureuse que les frères Piranesi ayent daigné prendre la peine de venir les y relever; car ériger une Académie des Beaux-Arts c’est indiquer que l’on manque d’établissements de ce genre; former des trois cents élèves à la fois, c’est annoncer que l’on n’en forme point ailleurs; avoir besoin pour les conduire de directeurs instruits par les frères Piranesi, c’est dire que la France n’en fournit plus [41] .¶{p. 201}
Sul progetto dei Piranesi, dunque,
si era acceso un intenso scontro presto conclusosi con una netta vittoria del «Journal
des Arts». A metà agosto, infatti, «La Décade» si vide costretta a chiudere la vicenda
con una retromarcia che sconfessava il suo stesso articolo e che chiariva come
l’attività dei due fratelli non solo non fosse ancora stata avviata, ma soprattutto
sarebbe dovuta originare non dal sostegno governativo, bensì dall’esclusiva iniziativa
dei diretti interessati
[42]
. Sta di fatto che proprio quelle polemiche imposero ai due artisti di
rinunciare al loro proposito e concentrarsi esclusivamente sulla comunque fiorente – e,
questa sì, ben avviata – calcografia.
Eppure, tanto il sostegno del
Consolato quanto la sponda de «La Décade» erano stati fino ad allora fondamentali per il
soggiorno in Francia dei due fratelli e per il successo della loro impresa. Sbarcati a
Marsiglia nel novembre 1799 insieme ad altri 250 esuli costretti ad abbandonare Roma a
causa della loro partecipazione alla Repubblica istituita nel febbraio dell’anno precedente
[43]
, il quarantaduenne Francesco e il ventiseienne Pietro erano annunciati a
Parigi sin dalla fine di quel mese proprio dal giornale edito nella capitale, che
informava come questi avessero «sauvé de toute leur fortune que les planches gravées par
leur père» e si apprestassero a «publier de nouveau cette intéressante collection, dès
qu’ils seront arrivés à Paris»
[44]
. Infatti, quando qualche settimana più tardi i due arrivarono sulle rive
della Senna, misero subito in circolazione un prospetto in cui descrivevano i tratti
della calcografia che intendevano istituire
[45]
. Nello specifico, essi erano effettivamente in possesso di numerose
¶{p. 202}incisioni inerenti le antichità greco-romane, realizzate in
gran parte dal padre e poi, dopo la morte di quest’ultimo nel 1778, continuate dal
primogenito Francesco, che ne aveva ereditato l’attività
[46]
.
Note
[28] ANF, MC/ET/XV, cart. 1636, Inventaire après décès de Philippe Rusca (12/12/1817).
[30] ADAM, L, cart. 120.
[31] F. Rusca, Tableaux élémentaires des déclinaisons et conjugaisons de la langue italienne, Lyon, Ballanche, 1810.
[32] F. Rusca, Discorso letto alla Società d’emulazione per la lingua e letteratura italiana di Lione il dì 4 novembre 1810, Lyon, Ballanche, 1810, p. 9.
[33] Ibidem, p. 18.
[34] Ibidem, p. 23.
[35] F. Rusca, Specimen epistolarum institutoris ad discipulum, Lugduni Gallorum, ex typis Ballanche, 1813.
[36] Almanach historique et politique de Lyon, Lyon, Ballanche, 1815, p. 257.
[37] «La Décade», 21 febbraio 1807, p. 382.
[38] V. Mirra, Un’impresa culturale e commerciale: la Calcografia Piranesi da Roma a Parigi (1799-1810), tesi di dottorato sostenuta all’Università di Roma Tre, 2011, pp. 195-196. Altre ricerche sul tema sono in U. Van de Sandt, La Chalcographie des frères Piranesi: quelques avatars de la gravure au trait, in «Bulletin de la société de l’histoire de l’art français», 1978-1980, pp. 207-220.
[39] «La Décade», 10 messidoro X (29/06/1802), pp. 60-61.
[40] Mirra, Un’impresa culturale e commerciale, cit., p. 117.
[41] «Journal des Arts», 20 messidoro X (9/07/1802), pp. 77-84.
[42] «La Décade», 30 termidoro X (18/08/1802), pp. 379-380.
[43] I più importanti studi sulla Repubblica romana sono: M. Caffiero, La repubblica nella città del papa. Roma 1798, Roma, Donzelli, 2005; D. Armando, M. Cattaneo e M.P. Donato (a cura di), Una rivoluzione difficile. La Repubblica romana del 1798-1799, Pisa, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 2000; M. Formica, La città e la rivoluzione: Roma 1798-1799, Roma, Isri, 1994. Seppur datato, resta fondamentale anche: V.E. Giuntella, La giacobina repubblica romana. 1798-1799, aspetti e momenti, Roma, Società romana di storia patria, 1950.
[44] «La Décade», 10 frimaio VIII (30/11/1799), p. 431.
[45] BNF, Calcographie Piranesi. Prospectus.
[46] Sulla figura del padre si rimanda a H. Focillon, Giovanni Battista Piranesi, a cura di M. Calvesi e A. Monferrini, Bologna, Alfa, 1918.