Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c1
Non è dato sapere per quali motivi
il piano non andò in porto, ma sta di fatto che il problema dell’alto costo della vita
imposto da una città come Parigi fu sempre più avvertito anche dagli stessi italiani.
Infatti, nel presentare un rapporto relativo alle spese destinate ai rifugiati
napoletani e romani rimasti a Parigi (rispettivamente 295 e 85), la Commissione per i
soccorsi apriva anch’essa all’ipotesi di un loro trasferimento in più economiche
località periferiche, sostenendo che i finanziamenti sin lì ricevuti «auraient été plus
efficaces
¶{p. 43}dans des dépôts où les vivres sont moins chers qu’à
Paris et le climat plus analogue à celui d’Italie»
[30]
.
In uno scenario di crescenti
problemi di approvvigionamento, i mesi successivi avrebbero, tra le altre cose, visto la
fine dell’attività della Commissione, la quale, dopo quasi un anno e mezzo di vita,
chiudeva i battenti nel marzo 1801. Era il segno – simbolico e al tempo stesso concreto
– di una linea politica molto mutata rispetto all’anno precedente. Tuttavia, nonostante
diversi rimpasti, tale organo svolse fino alla fine i suoi compiti. Ad esempio, in
occasione del suo scioglimento consegnava a Talleyrand un resoconto sul proprio operato
in cui, rivendicando la bontà di scelte che l’avevano messo «continuellement en rapport
avec la misère et l’injustice», faceva notare come, dei circa 5.200 esuli a cui aveva
garantito il soccorso, ancora 1.200 fossero rimasti in Francia
[31]
. Fra questi, a primeggiare erano quelli appartenenti alla comunità
napoletana e a quella romana, per il cui futuro oltralpe molte raccomandazioni si aveva
cura di reiterare. In particolare, della prima si metteva in evidenza come, «quoique la
plus nombreuse», non avesse «jamais inquiété la police» e anzi avesse frequentato con
profitto «nos cours, nos musées, nos bibliothèques». Dei romani, poi, si sottolineava
come fra essi vi fossero «beaucoup d’artistes et de savants» che molto giovamento
avrebbero ancora potuto apportare agli interessi francesi.
Insomma, nella primavera del 1801,
in un contesto molto mutato rispetto all’anno precedente perché le seppur positive
vicende militari avevano reso meno giustificato il soggiorno all’estero di esuli che
potevano (e dovevano) far rientro in patria, si cominciava a mettere in luce un aspetto
che presto si sarebbe rivelato decisivo, ossia il contributo che, soprattutto in termini
culturali, tali italiani avrebbero potuto fornire al paese di arrivo. E così, si
iniziava a suggerire alle istituzioni consolari un’altra strada per la gestione dei
rifugiati rimasti oltralpe: una strada che non era il brutale
¶{p. 44}allontanamento coercitivo, né il mero sovvenzionamento di
soccorsi economici, ma il riconoscimento del contributo che questa presenza straniera –
certo politicamente connotata, ma al contempo molto valida sul piano delle competenze –
avrebbe potuto fornire alla Francia napoleonica.
2. Fra permessi di soggiorno e rapporti di polizia
Lo scioglimento della Commissione
per il soccorso ai rifugiati italiani segnò l’avvio di una diversa gestione dell’esilio,
che da quel momento non si fondò più sulla strutturale erogazione di sussidi da parte
dello Stato francese (per quanto alcune forme di finanziamenti rimasero comunque
possibili). Tale scioglimento, inoltre, costituì una tappa problematica non solo per
chi, allora, si trovò a dover provvedere autonomamente alla propria sopravvivenza, ma
anche per chi, oggi, quelle vicende prova a ricostruire. Infatti, se i carteggi di
quell’istituzione permettono di avere un’idea di massima sulla consistenza dei flussi in
direzione francese nei 12 mesi seguiti al crollo delle «Repubbliche sorelle», la
mancanza di una documentazione simile per gli anni successivi rende più difficile
delineare l’ammontare della presenza italiana in Francia nella fase seguente. Sul primo
punto, qui ci si limita a rimandare alla ricerca di Anna Maria Rao, nella quale si fa
notare come, «difficilmente quantificabile per i suoi caratteri fluttuanti nel tempo e
la sua dispersione sul territorio francese, l’emigrazione politica italiana non
raggiunse forse le diecimila persone, e non più di seimila furono censite»
[32]
. Sul secondo aspetto, proprio partendo dal lavoro appena citato (oltre che
dalle liste redatte dall’evocata Commissione ministeriale), ci si sente di sostenere,
seppur con la dovuta cautela, che, a partire dalla fase compresa fra la vittoria
francese di Marengo del giugno 1800 e la proclamazione della Repubblica italiana
avvenuta nel gennaio 1802, circa due terzi del totale censito varcò nuovamente le Alpi
per far ritorno in Italia. Dunque, un numero orientativamente
¶{p. 45}oscillante intorno alle 2.000 unità preferì restare in Francia:
ai 1.200 rifugiati evocati dalla Commissione nella sua ultima seduta (come detto in gran
parte napoletani e romani) si aggiungevano circa un migliaio di esuli provenienti da
zone in quei mesi nuovamente occupate dai francesi (soprattutto cisalpini, ma anche
piemontesi e liguri)
[33]
.
Se da un lato non desta stupore
constatare come proprio i cittadini appartenenti alle aree della penisola non toccate
dal ritorno francese fossero i più propensi a restare oltralpe, dall’altro va fatto
notare che il numero di coloro i quali restarono in Francia pur potendo rientrare in
patria non fu affatto inconsistente. Inoltre, flussi ulteriori verso la Francia animati
da quegli esuli del 1799 che erano velocemente rientrati in patria si ebbero negli anni
successivi: è quanto sarebbe accaduto ai piemontesi dopo l’annessione alla Repubblica
consolare dei territori natii avvenuta nel 1802. Ma al di là dei dati quantitativi, è
fondamentale sottolineare come proprio la continuazione di un soggiorno nato come esilio
e poi articolatosi con caratteristiche diverse facesse sì che quei rifugiati, ormai non
più tali, si trovassero a condividere occasioni professionali e luoghi di sociabilità
sia con la popolazione del posto, sia con altri italiani nel frattempo giunti in Francia
per le ragioni più disparate.
Da questo punto di vista, fra i
documenti conservati negli archivi parigini particolarmente utile ci sembra il registro
contenente i Relèves journaliers de permis de séjour à Paris et de visa de
départs accordés par la Préfecture. Esso, infatti, fornisce informazioni
interessanti non solo sulla mobilità in entrata e uscita dalla capitale francese, ma
anche sulla dislocazione interna e sulle caratteristiche dei protagonisti coinvolti.
Redatti quotidianamente dalla Prefettura parigina per un periodo compreso fra l’autunno
1800 e l’estate ¶{p. 46}1802 (ossia per i mesi sostanzialmente
coincidenti con la stagione della seconda Cisalpina), i documenti indicano i nomi degli
stranieri di cui si autorizzava il soggiorno nella capitale, fornendo informazioni sulla
loro origine, la loro professione e la loro residenza
[34]
.
Innanzitutto, va detto che a fronte
di poco meno di 500 italiani autorizzati a lasciare Parigi, nello stesso periodo circa
900 ottennero il permesso di installarvisi, seppur va precisato che il caso parigino è
alquanto particolare, perché se da un lato gli esuli che rientrarono nella penisola
erano in gran parte raccolti in altri centri della Francia (i cisalpini a Chambéry e i
piemontesi a Grenoble, mentre già nei mesi precedenti una gran parte di militari era
confluita a Bourg-en-Presse), dall’altro un numero elevato di esuli inizialmente
installatisi in diverse città dell’Esagono (soprattutto i napoletani, sbarcati in un
primo momento a Marsiglia) confluivano appunto nella capitale. Ad ogni modo, sta di
fatto che sulle rive della Senna la presenza italiana non era affatto destinata a
scomparire. Da segnalare, inoltre, che anche le partenze non erano tutte indirizzate nei
territori della penisola, dato che dei permessi accordati «solo» il 70% era destinato
alle principali città settentrionali italiane, mentre la parte restante riguardava altri
centri francesi (25%) e, seppur in maniera minore, ulteriori paesi europei.
Ad ogni modo, stando a questa
analisi, se per cisalpini e liguri (in gran parte commercianti) tale soggiorno risultava
spesso legato a questioni professionali, il gruppo nazionale di gran lunga più numeroso
era quello dei napoletani, per i quali, del resto, molto frequente era anche la
segnalazione di «réfugié» posta al fianco dei singoli nomi. Ed è interessante rilevare
come la tendenza della Prefettura a segnalare tale status fosse decisamente più
sviluppata nei primi mesi analizzati, ossia nell’autunno 1800, mentre si affievolisse in
maniera consistente a partire dalla primavera 1801, cioè in coincidenza con lo
scioglimento della Commissione per i soccorsi. Alla base di una simile tendenza qui
sembra esservi non tanto l’esaurimento della presenza di esuli, quanto la
¶{p. 47}circostanza per cui gli stranieri in questione, pur essendo
giunti a Parigi per esigenze politiche, fossero sempre meno considerati in maniera
distinta da altri tipi di migranti e dunque non venissero più indicati come «réfugiés».
Tutto ciò induce a ritenere che questa espressione fosse sostanzialmente utilizzata con
un’accezione economica, ossia servisse a indicare che lo straniero in questione riceveva
un finanziamento da parte dello Stato francese.
Quanto alla dislocazione
territoriale nel contesto urbano parigino, la zona di gran lunga più abitata risulta
quella compresa fra i quartieri del Louvre e di Place Vandôme, vero centro politico
della città. Nello specifico, la strada più popolata da italiani era l’allora rue de la
Loi, dove l’hôtel de Paris e l’hôtel des Lillois costituivano le principali abitazioni
dei cisalpini e l’hôtel des Colonies lo era per i liguri, mentre nella parallela rue des
Bons Enfants e nella vicina rue de Saint-Honoré a prevalere erano i napoletani. L’altro
grande polo di convergenza era il faubourg Saint-Germain, posto sulla sponda opposta
della Senna, ma anch’esso in una zona centrale e culturalmente fervente. Nelle non
lontane rue des Cordeliers e rue de Sainte Marguerite si era poi formata, sempre in
piena rive gauche, una terza area che, per quanto inferiore nei numeri, faceva
registrare un’alta percentuale di uomini segnalati come «réfugiés». Infine, se piuttosto
elevato era il numero di piemontesi dimoranti nella settentrionale rue des Victoires,
sita nel faubourg Montmartre, i gruppi nazionali che facevano registrare la maggiore
dispersione erano romani e toscani, per i quali è invece più difficile individuare dei
veri e propri centri di convergenza
[35]
.
In generale, l’analisi della
distribuzione delle residenze parigine attesta come la tendenza prevalente fosse quella
d’installarsi presso locande o maison garnies (stanze ammobiliate)
e di indirizzarsi, almeno in un primo momento, in quartieri in cui erano già presenti
dei connazionali. Al
¶{p. 48}tempo stesso, è doveroso sottolineare come
queste zone non fossero né separate dal resto della città, né tantomeno organizzate
esclusivamente per paesi di provenienza: qui sembra, infatti, che l’eterogeneità della
distribuzione parigina fosse comunque prevalente e, dunque, che non si creassero delle
comunità prettamente legate ai paesi d’origine. Insomma, proprio il contatto con il
contesto parigino indusse a rafforzare i rapporti sociali fra cittadini accumunati
sicuramente dall’uso della lingua e spesso anche dai recenti trascorsi politici.
Note
[30] ANF, F/15, cart. 3511, Stato dei rifugiati romani e napoletani (14/12/1800).
[31] AMAE, Md, Italie, cart. 13, ff. 203-207.
[32] Rao, Esuli, cit., p. 571.
[33] Le informazioni fornite sono il risultato di un lavoro realizzato incrociando i dati rinvenuti nei seguenti faldoni archivistici: AMAE, Md, Italie, cart. 13; AMAE, Chancellerie, passeports, cart. 13-25; ANF, BB/11, cart. 76-90, 97-166; ANF, F/7*, cart. 2231, 2232, 2243, 2244, 2256, 3045, 3046; ANF, F/7, cart. 3500, 3501, 6222, 6359, 6474, 6747, 6748, 6749, 6894, 7733, 7809, 10762-10867; ANF, F/15, cart. 3511.
[34] ANF, F/7, cart. 3501.
[35] Sulla distribuzione degli stranieri a Parigi negli anni precedenti: S. Juratic, Mobilités et populations hébergées en garni, in D. Roche (a cura di), La ville promise. Mobilité et accueil à Paris, fin XVIIe-début XIXe siècle, Paris, Fayard, 2000, pp. 192-220.