Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c1
Proprio l’intervento di Fouché si sarebbe rivelato decisivo, dato che a stretto giro egli impose al prefetto Dubois di accordare «un nouveau délai de six jours afin de lier l’exé
{p. 38}cution de l’arrêté avec les égards que la justice et l’humanité réclament en leur faveur». Tuttavia, se nella sostanza tale proroga consentì a diversi esuli di consegnare i certificati richiesti per sottrarsi all’obbligo di partire, nelle intenzioni del ministro essa era dovuta soprattutto a ragioni di utilità. Infatti, egli precisava che il decreto consolare dovesse certo permettere delle eccezioni, ma servisse anche a «écarter de Paris les Italiens qui reçoivent des secours de la République française». Pertanto, invitava Dubois a non accordare «aucune permission de rester à Paris aux Italiens réfugiés qui, n’ayant pas de moyens connus d’existence, seraient en état de porter les armes et ceux qui vous seraient désignés comme des hommes factieux et turbulents» [15]
.
È questa una questione di grande importanza, perché attesta sia la volontà di una parte consistente di rifugiati di prolungare il proprio soggiorno in Francia finanche quando si profilavano concrete possibilità di rientrare in patria, sia la dimensione al contempo politica ed economica che la gestione della mobilità degli stranieri assumeva per le istituzioni locali. In una fase in cui la necessità di «terminare la rivoluzione» era alquanto avvertita, queste si trovavano nella non facile condizione di dover da un lato aiutare gli esuli che avevano combattuto per la causa francese (e che ad essa potevano ancora tornar utili), e dall’altro ridurre i margini d’azione per uomini dal pronunciato profilo democratico al fine di evitare disordini sul proprio territorio. Cosicché, coloro che continuavano a usufruire dei soccorsi elargiti dalla Commissione erano tenuti – salvo le eccezioni legate a sesso ed età – ad arruolarsi nella Legione italica per combattere in sostegno di quella Repubblica francese che stava garantendo la loro sopravvivenza. Invece, chi era in grado di attestare la propria autonomia finanziaria – o perché titolare di ricchezze personali o perché aveva nel frattempo trovato lavoro – poteva restare finanche in quella Parigi che, in quanto centro politico, era oggetto di attenta sorveglianza.
Fatto sta che anche nei mesi successivi la presenza italiana nella capitale sarebbe stata numericamente con{p. 39}sistente e politicamente connotata. Lo avrebbe segnalato a più riprese la polizia locale, sempre allertata dai suoi informatori operanti nei luoghi di ritrovo dell’emigrazione peninsulare. In generale, si trattava di rifugiati che si mostravano piuttosto «mécontents» del nuovo ordine, perché giudicavano la nuova costituzione bonapartista non «assez conforme aux vrais principes de l’égalité», al punto tale da non nascondere «l’intention de s’unir aux anarchistes s’ils entreprenaient un mouvement contre l’ordre actuel» [16]
. Per questo, ancora in giugno, restava alta la preoccupazione per la presenza di quegli italiani che, non senza vere e proprie truffe [17]
, continuavano a sottrarsi all’ordine prefettizio e a prestare il fianco alle possibili strumentalizzazioni delle opposizioni locali:
Les Italiens réfugiés à Paris, qui ne sont point encore partis ou qui ont obtenu en leur faveur des exceptions à l’arrêté des Consuls, se réunissent en nombre tous les soirs au café de Virginie ou à celui du Caveau au Palais-Egalité. Il n’est pas d’horreurs qu’ils ne vomissent contre le général Premier Consul et contre le gouvernement. Presque tous ne parlent que la langue italienne, mais l’agent qui surveille ce rassemblement entend cet idiome et ne perd pas un mot de leurs discours. Beaucoup de militaires, qui entendent aussi cette langue, paraissent les écouter avec complaisance et applaudir aux propos de ces hommes turbulents. Les deux partis disent, chacun de leur côté, qu’ils comptent fermement sur les Italiens, s’il y avait un mouvement; en effet, on cherche à les accaparer [18]
.
Tuttavia, non bisogna pensare al mondo dell’esilio italiano a Parigi come a un insieme omogeneo, perché al suo interno non mancavano né divisioni legate alla provenienza geografica, né divergenze ideologiche. Sul primo punto, le spie della polizia segnalavano come «les Romains paraissent faire bande à part», tanto da essere «fort mal regardés des autres» [19]
. Sul secondo, invece, ancora a metà luglio si comu{p. 40}nicava che «ce qui reste des Italiens réfugiés à Paris, et ils sont encore en grand nombre, ne paraissent point attachés au gouvernement et tenir au contraire à l’une ou à l’autre des factions qui s’agitent en ce moment» [20]
. Nello specifico, si precisava che se decisamente numerosi erano gli esuli «liés avec les exclusifs [qui] parlent et agissent dans leur sens», non mancava poi una «minorité royaliste et bien prononcée» [21]
.
Al contempo, è doveroso precisare come gli stessi rapporti della polizia fossero tutt’altro che privi di finalità politiche: essi, infatti, molto accentuavano l’insoddisfazione degli italiani verso le istituzioni consolari per enfatizzare il pericolo rappresentato dalla continuazione di una simile presenza e dunque spingere per un loro allontanamento. Non a caso, simili commenti si fecero particolarmente insistenti a metà ottobre, ossia dopo che la scoperta di una congiura ordita contro il primo Console da parte del romano Giuseppe Ceracchi, avvenuta il 9 di quel mese, rese nuovamente precaria la permanenza oltralpe di quegli esuli che in primavera erano riusciti a sottrarsi all’ordine prefettizio [22]
. Dubois, infatti, non si lasciò sfuggire l’occasione per tornare alla carica e, questa volta sostenuto da un governo intenzionato a sfruttare l’accaduto per spegnere gli ultimi fuochi dell’opposizione repubblicana [23]
, si affrettò a presentare un nuovo decreto di espulsione. Anche in questo caso, a sostenere gli esuli vi fu un ministro che, proprio come Fouché, aveva avuto trascorsi in Italia, ossia quel André-Joseph Abrial che da qualche mese era stato nominato al dicastero della giustizia dopo esser stato l’anno prima commissario civile nella Napoli repubblicanizzata [24]
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Si riproponeva, pertanto, una situazione simile a quella instauratasi nel maggio precedente, seppur con l’aggiunta dell’avvenuta proclamazione della seconda Cisalpina, la {p. 41}quale rendeva meno giustificato il prolungamento di quel soggiorno. Questa volta, dunque, l’ordine prefettizio non si inseriva in uno scenario di slancio patriottico innescato dalla riapertura delle operazioni militari, bensì in un clima di tensione innescato nell’opinione pubblica dall’attentato Ceracchi. Non a caso, già all’indomani della sua pubblicazione, le spie della polizia comunicavano che «l’atrocité du complot médité récemment a porté au plus haut degré l’indignation générale contre tous les réfugiés de l’Italie» [25]
.
Fu in questo scenario che prese corpo la Lettre aux Italiens réfugiés en France con cui, il 25 vendemmiaio (17 ottobre), il napoletano Gioacchino Olivier-Poli si rivolse pubblicamente ai suoi connazionali per invitarli a non lasciarsi sedurre dai «nouveaux Brutus» e così mostrare come la comunità italiana fosse nella sua maggioranza altra cosa rispetto a pochi «insensés». Il pamphlet serviva a chiamare all’ordine tutti gli esuli peninsulari, ai quali doveva esser chiaro che, nella precarietà della loro situazione, comportamenti avventati avrebbero potuto compromettere il soggiorno dell’intera collettività. Ma soprattutto, esso permetteva di ribadire come, nell’Europa degli albori del nuovo secolo, fosse proprio dal pieno sostegno alle autorità napoleoniche che passavano le speranze di una completa indipendenza di parte italiana [26]
.
Sempre in questo scenario vanno collocati anche i progetti consolari volti a inviare in Corsica i rifugiati romani e napoletani, progetti che inaugurarono quella logica del «déplacer pour mieux contrôler» che avrebbe poi costituito per le istituzioni francesi una dottrina guida nella gestione dei flussi migratori lungo tutto il XIX secolo [27]
. Per {p. 42}quanto poi non concretizzatosi, un primo disegno in tal senso assunse una certa consistenza proprio nell’autunno 1800, perché giudicato capace di far fronte alla doppia necessità «d’éloigner promptement de Paris ces réfugiés» e di ridurre le spese statali destinate a quegli esuli impossibilitati a far ritorno nei rispettivi paesi ancora sotto il potere papale o monarchico [28]
. La Corsica, quindi, da un lato avrebbe garantito agli italiani il soggiorno in un «pays où la langue, les mœurs, toutes les habitudes se rapprochent davantage de celles de leur ancienne patrie» e dall’altro avrebbe permesso di alleggerire i costi legati al loro soggiorno nella poco economica capitale francese. Sull’isola, infatti, tali rifugiati avrebbero potuto usufruire di un «domicile beaucoup moins cher qu’en France», con la conseguenza che «le gouvernement qui leur accorde aujourd’hui tant en numéraire qu’en ration de vivres 1 francs 50 centimes et souvent davantage, pourra régulariser ce service journalier de manière à le rendre moins dispendieux». Al tempo stesso, concentrati in uno spazio geografico ristretto, «ceux d’entre eux qui disséminent aujourd’hui dans quelques villes de France [et qui] échappent facilement à la surveillance de la police seront plus aisément aperçus et éclairés». Infine, la poco popolata Corsica avrebbe facilmente permesso di realizzare il progetto d’integrazione voluto dalle istituzioni consolari volto a legare il personale straniero alla proprietà terriera [29]
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Non è dato sapere per quali motivi il piano non andò in porto, ma sta di fatto che il problema dell’alto costo della vita imposto da una città come Parigi fu sempre più avvertito anche dagli stessi italiani. Infatti, nel presentare un rapporto relativo alle spese destinate ai rifugiati napoletani e romani rimasti a Parigi (rispettivamente 295 e 85), la Commissione per i soccorsi apriva anch’essa all’ipotesi di un loro trasferimento in più economiche località periferiche, sostenendo che i finanziamenti sin lì ricevuti «auraient été plus efficaces
{p. 43}dans des dépôts où les vivres sont moins chers qu’à Paris et le climat plus analogue à celui d’Italie» [30]
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Note
[15] ANF, F/7, cart. 7733, dr. 1, ff. 16, 19.
[16] Aulard (a cura di), Paris sous le Consulat, cit., vol. 1, pp. 400, 407.
[17] Ibidem, p. 542.
[18] Ibidem, pp. 393-394.
[19] Ibidem, p. 400.
[20] Ibidem, p. 519.
[21] Ibidem.
[22] Rao, Esuli, cit., pp. 481-505.
[23] B. Gainot, 1799, un nouveau jacobinisme? La démocratie représentative, une alternative à brumaire, Paris, Éditions du Cths, 2001.
[24] ANF, F/15, cart. 3511.
[25] Aulard (a cura di), Paris sous le Consulat, cit., vol. 1, p. 722.
[26] G.M. Olivier-Poli, Lettre aux Italiens réfugiés en France, sur la dernière conspiration contre la vie du premier Consul Bonaparte, Paris, 25 vendémiaire IX. Sul suo profilo vedi A. De Francesco, Per una rilettura della cultura politica del risorgimento. Giacobinismo e moderatismo nella biografia di Gioacchino Mario Olivier-Poli, in «Rivista Storica Italiana», 109, 1997, pp. 938-960.
[27] D. Diaz, Un asile pour tous les peuples? Exilés et réfugiés étrangers en France au cours du premier XIXe siècle, Paris, Armand Colin, 2014, pp. 115-147.
[28] ANF, F/15, cart. 3511, Lettera di Talleyrand a Chaptal (Parigi, 4 nevoso IX: 25/12/1800).
[29] Ibidem.
[30] ANF, F/15, cart. 3511, Stato dei rifugiati romani e napoletani (14/12/1800).