Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c11
Tu avevi dunque, o Italia, generato Dante, tu il Petrarca, tu il Boccaccio, un Cavalca, un Macchiavello, un Ariosto, un Davanzati, un Nardi, e cento altri; e con aureo stile gli facesti fiorire, perché fossero poi per generale ignoranza quasi dimenticati nel seno tuo, e fosse necessario ch’io uscissi del tuo grembo per udirgli ricordare e commendare! E quella città la quale, per la copia dei piaceri e de passatempi ch’ella fornisce, parrebbe avesse dovuto fare in me quel medesimo effetto che fatto aveva Milano, operò in me tutto il contrario. In quella mia età delli anni 24 ben si può vedere da quante parti il rettore del mio destino mandasse in mio aiuto ausiliari che mi spingessero e aiutassero a fare il gran mutamento. Grande dico essere stato qui il cambiamento in me, se poco prima io aveva venduto Dante! [...] Qual differenza tra i
{p. 375}miei amici di Milano e quei di Parigi! Era mai possibile che la mia pianta si fosse potuta piegare e dirizzarsi in alcun luogo d’Italia? Ove mai trovare in essa tanti stimoli allo studio, quanti trovai là in ogni parte ch’io mi volgessi? Egli era dunque necessario, siami lecito il ridirlo, ch’io commettessi quel fallo in Milano che mi cacciasse d’Italia; era necessario che rimanessi in Parigi senza commerciale occupazione e senza danari [26]
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Per la cronaca, quando il 23 dicembre 1830 Niccolò Giosafatte Biagioli spirava in quella sua casa parigina di rue Rameau che per decenni era stata adibita a sede delle lezioni di italiano, i notai incaricati di inventariare i suoi possedimenti potevano constatare come, sulla parete dell’ormai vuoto «salon des cours» in cui sin dagli albori del secolo egli aveva avviato alla lettura dei classici diverse generazioni di studenti, si trovassero ancora «trois tableaux représentants Dante, Pétrarque et Bocace, peints à huile, dans leurs cadres de bois doré» [27]
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2. Da Buttura a Salfi: nuovi progetti, vecchie battaglie

Fra coloro i quali facevano ritorno in Francia agli albori della Restaurazione vi era anche quell’Antonio Buttura da cui queste pagine hanno preso le mosse e che, giunto oltralpe come esule, aveva concepito sin dagli albori del secolo «le dessein de [s]’y établir». Nel 1812 egli aveva ottenuto, a quasi un decennio dall’avvio della sua mansione di archivista presso il Ministero degli esteri del Regno d’Italia con sede a Parigi, la promozione a Console italiano a Fiume, in quelle Province Illiriche che lui, di origini venete, conosceva piuttosto bene e dalle quali, tuttavia, dovette allontanarsi nel 1814, quando il crollo dell’Impero segnò la fine delle sue funzioni. Trovatosi ormai privo di incarichi, all’opzione di rientrare nella natia Verona preferì quella di un altro ritorno, quello nella città che lo aveva accolto per circa tre lustri e nella {p. 376}quale aveva avuto modo di realizzarsi sia personalmente che professionalmente. Così, nell’estate del 1816 – forte anche della raccomandazione dell’allora ministro delle finanze Corvetto, che lo presentava come «homme de lettres distingué» – chiedeva la naturalizzazione francese, sostenendo di essere «revenu à Paris en 1814, aussitôt que ces fonctions ont cessé par suite des événements». E nonostante proprio la circostanza del suo allontanamento ostasse al requisito dei dieci anni consecutivi di permanenza oltralpe, il Ministero della giustizia approvava la richiesta in considerazione del lodevole rapporto redatto dalla Prefettura della Seine, che, dopo averne ricordato tanto i servizi diplomatici quanto i lavori letterari, lo descriveva come meritevole della «bienveillance du gouvernement» [28]
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Cominciava così il suo secondo soggiorno a Parigi, interrottosi questa volta solo con la morte, sopraggiunta il 23 agosto 1831 [29]
. In tale periodo, se il riconoscimento della cittadinanza francese non fu accompagnato da un nuovo inserimento nelle istituzioni diplomatiche, egli riuscì comunque a restare attivo nel panorama pubblico rilanciando quella produzione culturale rallentata in passato proprio a causa delle incombenze consolari. In quegli anni, infatti, prima pubblicò a Parigi una traduzione italiana dell’Ifigenia di Racine, poi diede alle stampe a Milano un Saggio di storia veneta e infine redasse una breve poesia dedicata alla terra natia, edita a Venezia nel 1818 e intitolata Rivedendo il patrio Benaco [30]
. Inoltre, i suoi contatti con gli uffici ministeriali parigini non furono interrotti, né tantomeno egli smise di coltivare ulteriori progetti riguardanti il proprio paese, tant’è che nel luglio 1818 presentò al dicastero degli esteri francese una lunga riflessione che oggi costituisce una testimonianza di grande interesse per valutare tanto le sue {p. 377}posizioni politiche in quel contesto, quanto le finalità con cui aveva concepito il proprio impegno negli anni napoleonici. Intitolata Quelques idées sur l’Italie et sur les moyens que la France pourrait employer pour conserver ou acquérir de l’influence en ce pays, la memoria serviva ad analizzare lo scenario geopolitico del tempo e a fornire strumenti utili per realizzare quello che egli considerava il più importante obiettivo sia per la Francia che per l’Italia, ossia «aplanir les Alpes qui les séparent» [31]
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A suo avviso, il principale ostacolo a tale legame era l’Austria, che invece quelle Alpi voleva «élever jusqu’au ciel»: la presenza asburgica nella penisola, infatti, era descritta come una sciagura per il proprio paese e come una minaccia anche per il ruolo da protagonista che la Francia doveva proporsi di recuperare nel panorama europeo. Inoltre, in quel nuovo scenario dischiusosi con il Congresso di Vienna, non solo l’Austria aveva accresciuto la sua influenza nei territori settentrionali della penisola riducendone qualsiasi spazio di autonomia (al punto tale che «le nom de Regno Lombardo-Veneto n’est qu’une dérision»), ma poi anche altre potenze, in primis Russia e Inghilterra, avevano aumentato le proprie ambizioni su un’Italia ormai nuovamente divisa in entità sempre meno capaci di svolgere un ruolo politicamente rilevante. Per questo, Parigi doveva supportare con forza la sua «sorella» d’oltralpe nella difesa dalle invasioni delle potenze nordiche, anche perché «depuis dix siècles, la France est regardée comme l’appui naturel de l’Italie contre les puissances septentrionales» [32]
. Del resto, la stessa Francia aveva interesse a favorire l’indipendenza dell’Italia, in quanto proprio sul fronte peninsulare avrebbe potuto e dovuto scongiurare l’estensione della sfera d’influenza delle altre monarchie continentali.
Concretamente, tutto ciò significava che il governo francese doveva mettere in atto una serie di «représailles», ossia {p. 378}non classici attacchi armati, bensì strumenti più sottili, che riguardavano soprattutto la sfera d’influenza commerciale e culturale. In tal modo, si sarebbe evitata l’apertura di un fronte militare ampiamente scongiurabile in un contesto in cui la potenza francese era stata ridimensionata dal crollo napoleonico, ma al tempo stesso si sarebbe permesso a Parigi di non rinunciare a svolgere un ruolo attivo nei futuri equilibri continentali, perché in fondo la convinzione di Buttura era che «la politique emploie en temps de paix les ruses de la guerre» [33]
. D’altronde, in questo approccio machiavelliano attraverso il quale egli tornava a valorizzare l’incidenza del lavoro culturale nella definizione degli assetti geopolitici internazionali, non si poteva non prendere atto del portato che le trasformazioni introdotte nell’ultimo quarto di secolo avevano avuto anche per la penisola italiana:
Les guerres amenées par la révolution ont entièrement changé la face politique de l’Italie soit par rapport à elle-même, soit par rapport aux grandes puissances de l’Europe. Il faut en conséquence apporter des changements aux principes de politique suivis depuis longtemps par les cabinets de ces puissances à l’égard de l’Italie [34]
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Insomma, la Francia doveva sostenere la causa italiana anche dopo la fine della stagione rivoluzionario-napoleonica, e doveva farlo cercando di ridurre, soprattutto attraverso strumenti di politica culturale, l’influenza esercitata nella penisola dalle potenze nordiche. Per questo, egli proponeva due grandi tipologie di «moyens que la France pourrait employer pour conserver ou acquérir de l’influence en Italie»: da un lato, vi erano i «moyens directs, ou moyens politiques proprement dits»; dall’altro, i «moyens indirects, ou moyens donnés par le commerce, les arts et la littérature». Fra i primi annoverava l’invio nella penisola di «agents voyageurs» preposti ad affiancare (e non a sostituire) il personale diplomatico già presente allo scopo di sottoporre al governo parigino «le tableau statistique du pays qu’ils examinent». Essi dovevano essere inviati in particolare nelle due città {p. 379}in cui il malcontento della popolazione era più forte, ossia Genova e Venezia, in tal modo permettendo alla Francia di porre le basi per un suo eventuale intervento in quei territori «au moment où des circonstances [...] rappelleraient ses armées au-delà des monts». Ma era sull’altra tipologia di strumenti che Buttura concentrava il proprio discorso, nella convinzione che «tout ce qui favorisera le commerce réciproque des productions du sol et du génie avec l’Italie sera toujours utile à la France». Ancor più nel dettaglio, se piuttosto scarne risultavano le parole dedicate alla gestione dei rapporti commerciali fra i due paesi, decisamente maggiore era l’attenzione consacrata a quegli strumenti culturali a cui egli continuava ad attribuire un’importanza cruciale anche da un punto di vista politico, persuaso com’era che «la littérature a fait à la France des plus grandes et plus durables conquêtes que ses armées» [35]
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Cosicché, sottoponeva al Ministero tre progetti che a suo avviso avrebbero avuto il merito d’intensificare le relazioni fra i due paesi. Il primo riguardava il teatro, in quanto l’opera francese «exerce de l’influence en Europe et surtout en Italie, dont le goût est formé, comme en France, par l’étude, les principes et les règles des littératures anciennes»: pertanto, occorreva da un lato promuovere l’arte teatrale francese nei palcoscenici della penisola e dall’altro curare maggiormente le rappresentazioni messe in scena in Francia dai teatri minori, di solito meno ligi alle regole classiche. Il secondo consisteva nell’istituzione di un «école française de musique à Naples», la quale, sul modello di un’analoga scuola di pittura esistente a Roma, avrebbe rappresentato un’istituzione «utile aux progrès de l’art» e al tempo stesso in grado di concorrere ad «acquérir des grands moyens d’influence sur l’Italie». La terza proposta riguardava l’avvio di un giornale letterario italiano in Francia ed era quella a cui Buttura dedicava le maggiori attenzioni, memore dei suoi trascorsi in qualità di redattore del settimanale «La Domenica» attivo a cavallo fra Consolato e Impero. Non a caso, ricordava come a Parigi i rifugiati peninsulari avessero
{p. 380}«essayé plusieurs fois d’imprimer un journal italien à Paris» e come egli stesso avesse, su esplicito impulso dell’allora ministro degli esteri italiano Marescalchi, «dirigé et rédigé le seul qui ait eu quelque succès et qui a duré une année entière, de 1803 à 1804». Proprio a quell’esperienza egli molto si ispirava anche per quanto riguarda la cadenza non quotidiana delle sue pubblicazioni, sostenendo che «un journal en feuille volante serait peu utile et se soutiendrait avec peine, mais une petite brochure qui paraîtrait tous les 15 ou 20 jours, sous le titre p. a. de Biblioteca italiana e francese, aurait un succès utile et durable». Ma soprattutto, quasi rivelando ex post le intenzioni che avevano animato la sua iniziativa giornalistica della stagione napoleonica, affermava che un simile strumento dovesse sì servire a far conoscere in Francia il meglio di prosa e poesia italiane, ma al contempo potesse altresì proporsi più espliciti obiettivi politici nella penisola:
Note
[26] Ibidem, pp. 170-172.
[27] ANF, MC/ET/XVI, cart. 1079, Inventaire après décès de Josaphat Biagioli (9/01/1831).
[28] ANF, BB/11, cart. 114/B, dr. 2591.
[29] ANF, MC/ET/IX, cart. 1179, Inventaire après décès d’Antoine Buttura (8/09/1831).
[30] L’Ifigenia di Racine, recata in versi italiani da Antonio Buttura, Parigi, P. Didot, 1815; Saggio di storia veneta, Milano, Stella, 1816; Rivedendo il patrio Benaco, Venezia, Alvisopoli, 1818.
[31] AMAE, Md, Italie, cart. 14, ff. 36-41, Quelques idées sur l’Italie et sur les moyens que la France pourrait employer pour conserver ou acquérir de l’influence en ce pays, par Buttura (Paris, 21/07/1818).
[32] Ibidem.
[33] Ibidem.
[34] Ibidem.
[35] Ibidem.