Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c5
È in questa luce che pare
necessario leggere l’esperienza del Fondo di contrasto alla povertà educativa minorile
(FCPEM), istituito dal governo con l’articolo 392 della legge
¶{p. 90}208/2015. Come stabilito da un protocollo di intesa tra
presidente del Consiglio dei ministri, ministro dell’Economia e delle Finanze, ministro
del Lavoro e delle Politiche sociali e presidente di ACRI, a sua volta previsto dalla
legge stessa, il governo del Fondo è affidato a un comitato di indirizzo strategico,
presieduto da un rappresentante del governo, dove sono rappresentati in modo paritetico
il governo, le organizzazioni di Terzo settore e le FOB e sono presenti rappresentanti
di INAPP e Istituto Einaudi per l’Economia e la Finanza. La gestione del Fondo è
affidata all’Impresa sociale con i bambini (CIB) SRL, completamente partecipata da
Fondazione con il Sud, a sua volta partecipata in maniera decisiva dalle fondazioni di
origine bancaria. Secondo i dati riportati dal sito di CIB SRL, il fondo ha raccolto per
il triennio 2016-2018 360 milioni di euro versati dalle FOB in cambio di un credito di
imposta del 75% (fino a un massimo di 100 milioni l’anno) dunque 270 milioni, da parte
dello Stato. Nel quadriennio successivo si registrano altri 247 milioni, con un credito
di imposta del 65% (fino a un massimo di 55 milioni l’anno) e dunque 160,55 milioni di
contributo pubblico. Per il 2023 e il 2024 si torna a un credito di imposta del 75%
(fino a un massimo di 45 milioni l’anno): quindi si può immaginare circa 120 ulteriori
milioni, di cui 90 pubblici. Complessivamente, dunque la dotazione del fondo si attesta
attorno ai 727 milioni in nove anni, di cui circa 520 finanziati dal pubblico attraverso
credito di imposta.
Quel che da questo caso appare
rilevante ai fini della discussione del rapporto tra finanziarizzazione e cittadinanza è
la progressiva assunzione di un ruolo centrale nelle politiche sociali da parte di
attori finanziari, privi di legittimazione democratica, quali le FOB. Queste, da un
lato, operano in una relazione con le politiche pubbliche basata sulla capacità
egemonica in termini ideativi e dall’altro, conseguentemente, riescono a trasformare una
quota decrescente di contributo economico a fondo perduto (sia in assoluto, sia nello
specifico del FCPEM) in una quota crescente di potere di gestione diretta della politica
pubblica.¶{p. 91}
3. L’inclusione finanziaria
L’inclusione finanziaria permette
di mettere a fuoco ulteriori aspetti del rapporto tra finanza e politiche pubbliche e,
in particolare, del modo in cui questo si snoda all’incrocio con i processi di
riorganizzazione del welfare e di finanziarizzazione della vita quotidiana.
Per cominciare, il termine
«inclusione finanziaria» rimanda a un insieme di iniziative finalizzate a contrastare
l’esclusione finanziaria, intesa come un «processo per il quale le persone incontrano
difficoltà nell’accesso e/o nell’utilizzo di servizi e prodotti finanziari nel mercato
tradizionale che siano adeguati alle loro esigenze e consentano loro di
condurre una vita sociale normale» [Commissione Europea 2008, 9]. Questo
è per definizione un processo situato i cui livelli «adeguati» a «condurre una vita
sociale normale» variano a seconda dei diversi gradi di espansione della finanza nella
vita quotidiana, a loro volta influenzati sia dai contesti economici, sociali e
istituzionali sia dalle pratiche agite «dal basso» [Moiso 2011]. L’esclusione
finanziaria può essere totale, quando non si ha pressoché alcun rapporto con gli
istituti bancari e finanziari, o parziale, nei casi in cui si possiede almeno un conto
corrente, ma per esempio non si utilizzano altri prodotti e servizi finanziari, a
partire da quelli che hanno oramai assunto un carattere fondamentale per la vita dei
cittadini come pagamenti elettronici, strumenti di risparmio o prestiti [Dagnes
et al. 2022].
Nelle economie più avanzate,
l’esclusione finanziaria si è ridotta nel corso del tempo in misura assai considerevole.
La diffusione di carte di credito, prestiti al consumo, mutui per la casa,
assicurazioni, e altri prodotti e servizi finanziari come i piani integrativi
previdenziali e sanitari è il segno, secondo diversi studiosi, di come anche la vita
quotidiana si sia progressivamente finanziarizzata. Tuttavia, l’accesso a tali prodotti
e servizi resta disuguale. L’esclusione può dipendere da diverse cause, tra cui un costo
eccessivo, la mancanza di requisiti per l’accesso, aspetti socioculturali, o una
combinazione di queste.¶{p. 92}
In Europa, le misure di inclusione
finanziaria sono state principalmente rivolte a migliorare l’accesso al credito. In
molti paesi si registrano infatti dinamiche significative di esclusione in questo ambito
per le persone a basso reddito e/o con carriere lavorative instabili che non possono
contare su solide garanzie familiari. In Italia, queste dinamiche sono state solo in
parte compensate attraverso sistemi pubblici di garanzia finalizzati a sostenere
l’accesso al credito delle piccole e medie imprese, per esempio attraverso le iniziative
di microcredito d’impresa, o in altri casi a favorire l’accesso dei giovani ai mutui per
l’acquisto della prima casa. L’accesso a prodotti e servizi finanziari, infatti, è
influenzato da dinamiche complesse, che chiamano in causa non solo i meccanismi di
funzionamento dei mercati finanziari ma anche quelli dell’economia, dei mercati del
lavoro, dei sistemi di welfare.
Se l’accesso è disuguale, anche i
rischi connessi all’utilizzo di prodotti e servizi finanziari non sono equamente
distribuiti. I rischi aumentano quando a fare da contraltare alle restrizioni
dell’offerta di credito da parte degli intermediari finanziari sono le pressioni
all’indebitamento, esercitate anche attraverso tattiche predatorie
[ibidem]. Tuttavia, in un contesto di indebolimento dei sistemi
di welfare, e fragilità dei bilanci familiari, anche gli strumenti di finanza etica
possono avere effetti contraddittori [Dodaro e Bifulco 2023]. Ulteriori rischi
dell’inclusione finanziaria, oltre a quelli connessi all’indebitamento, possono derivare
dall’acquisto di prodotti non necessari, inappropriati o relativamente troppo rischiosi.
Sia l’inclusione sia l’esclusione finanziaria possono quindi avere conseguenze pratiche
negative sulla vulnerabilità finanziaria e sociale. Per uscire da questa
impasse si sono diffuse negli ultimi anni molte iniziative di educazione
finanziaria con l’obiettivo di fornire strumenti cognitivi e comportamentali con cui
orientarsi tra i rischi e le opportunità del mondo finanziario.
Le iniziative e i programmi di
educazione finanziaria sono diffusi in molti paesi che negli ultimi anni hanno recepito
la raccomandazione dell’OCSE, principale promotore, di dotarsi di una strategia
nazionale sul tema [OECD 2017]. L’Italia ¶{p. 93}ha istituito nel 2017
il Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione
finanziaria che, tra le altre cose, ha definito una strategia per l’Italia, delle linee
guida per i programmi dedicati sia agli adulti sia agli studenti e alle studentesse
delle scuole, e istituito il mese dell’educazione finanziaria (a ottobre).
Sinteticamente, l’educazione
finanziaria persegue tre obiettivi che riguardano: i)
l’acquisizione di conoscenze finanziarie, a partire dai concetti di
base (ad esempio interesse semplice e composto, inflazione, diversificazione del
rischio); ii) l’adozione di comportamenti
finanziari «appropriati», che vanno dall’abitudine di redigere il bilancio familiare a
quella di ottenere ogni informazione rilevante prima di fare scelte finanziarie; e
iii) lo sviluppo di attitudini
finanziarie, come la propensione a perseguire obiettivi a lungo termine e ad adottare un
orientamento al lungo periodo; tipicamente si tratta della propensione a risparmiare in
via precauzionale e a pianificare [ibidem].
Per comprenderne fino in fondo gli
assunti e le implicazioni è utile tornare alla fase più acuta della pandemia. A maggio
del 2020, il Comitato nazionale ha presentato i risultati dell’indagine
Emergenza Covid-19: gli italiani tra fragilità e resilienza
finanziaria. L’indagine ha messo in evidenza la fragilità delle
condizioni economico-finanziarie dei cittadini all’arrivo dell’emergenza sanitaria e, in
linea con molte altre rilevazioni, il loro grave peggioramento a seguito delle prime
misure di confinamento. Lo studio segnala anche l’aumento della cosiddetta «ansia
finanziaria», in questo caso associata a «una potenziale debolezza di fondo nelle
famiglie probabilmente dovuta, anche, alle basse conoscenze finanziarie […] che non solo
può portare ad un utilizzo inefficiente degli aiuti pubblici, ma anche, accentuare
l’impatto degli shock e della pandemia» [Comitato Edufin 2020, 21]. Da qui la
raccomandazione di prestare più attenzione alla «resilienza finanziaria» degli individui
e alle «conoscenze finanziarie di base» affinché i cittadini possano «assicurarsi un
futuro più sereno e sicuro» [ibidem, 22]. Quest’esempio illustra
un’argomentazione che ricorre in modo sistematico nel repertorio giustificativo
dell’educazione finanziaria, ovvero l’esistenza ¶{p. 94}di una
concomitanza tra scarse conoscenze/attitudini finanziarie e vulnerabilità
socioeconomica. Alla base vi sono le teorie dell’economia e della finanza
comportamentale che, da un lato, riconoscono come le scelte economico-finanziarie degli
individui non siano quasi mai frutto di un mero calcolo razionale. Dall’altro,
riconducono la complessità che si cela dietro le scelte e le pratiche finanziarie a una
serie di errori cognitivi e comportamentali che possono essere corretti per orientare i
comportamenti verso la direzione «giusta», quella della scelta razionale. Secondo queste
teorie, evitare le «trappole comportamentali» permette di gestire correttamente i rischi
legati per esempio all’indebitamento o agli investimenti, ricondotti principalmente
all’imprudenza finanziaria dei cittadini, all’incapacità di non cedere a gratificazioni
immediate, di pianificare i propri debiti, valutarne la sostenibilità. La «preferenza»
per il presente, o il «senno di poi» sono altri esempi di ciò che è classificato
all’interno di tali trappole, che ostacolano la gestione razionale delle proprie
entrate, delle spese, dei risparmi, e dei rischi sociali e finanziari [Dodaro e Bifulco
2023].
Un assunto implicito degli attuali
modelli di inclusione finanziaria è che esista un nesso causale tra inclusione
finanziaria e benessere socioeconomico e, soprattutto, l’idea che sia il primo a
determinare il secondo, anziché il contrario. Inoltre, si assume che scelte e
comportamenti individuali siano determinanti rispetto all’inclusione finanziaria,
sottovalutando il peso di fattori e contesti più generali. Da un lato, questo alimenta
rappresentazioni depoliticizzate dei mercati finanziari. Dall’altro, il richiamo alla
cittadinanza economica rende esplicita la concezione privatistica di cittadinanza
sociale che l’educazione (e in generale, l’inclusione) finanziaria sottende. Infatti, è
la dimensione economica della cittadinanza a essere enfatizzata, ovvero il diritto a
partecipare al mercato, a scapito della dimensione sociale. Infine, è implicito che
l’inclusione finanziaria avvenga sulla base delle forme mainstream
di razionalità economico-finanziaria. Queste, come discusso nel prossimo paragrafo, non
sono tuttavia le uniche possibili.
¶{p. 95}
Note