Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c5
Un assunto implicito degli attuali
modelli di inclusione finanziaria è che esista un nesso causale tra inclusione
finanziaria e benessere socioeconomico e, soprattutto, l’idea che sia il primo a
determinare il secondo, anziché il contrario. Inoltre, si assume che scelte e
comportamenti individuali siano determinanti rispetto all’inclusione finanziaria,
sottovalutando il peso di fattori e contesti più generali. Da un lato, questo alimenta
rappresentazioni depoliticizzate dei mercati finanziari. Dall’altro, il richiamo alla
cittadinanza economica rende esplicita la concezione privatistica di cittadinanza
sociale che l’educazione (e in generale, l’inclusione) finanziaria sottende. Infatti, è
la dimensione economica della cittadinanza a essere enfatizzata, ovvero il diritto a
partecipare al mercato, a scapito della dimensione sociale. Infine, è implicito che
l’inclusione finanziaria avvenga sulla base delle forme mainstream
di razionalità economico-finanziaria. Queste, come discusso nel prossimo paragrafo, non
sono tuttavia le uniche possibili.
¶{p. 95}
4. Addomesticare il debito: le comunità autofinanziate
Il richiamato equilibrio tra
dimensione economica e dimensione sociale, nonché la critica alle forme
mainstream di razionalità economico-finanziaria, sono aspetti
particolarmente importanti se si punta l’attenzione alla vita quotidiana di cittadini e
cittadine. A tal fine è utile richiamare una declinazione di finanziarizzazione
riscontrabile in letteratura, che presenta risvolti conoscitivi ma anche politici di un
certo interesse: la logica finanziaria sarebbe diventata dominante, rendendoci tutti più
calcolatori e «razionali» [van der Zwan 2014], come d’altronde vorrebbero alcuni
programmi (ri)educativi precedentemente richiamati. La questione è politica, in quanto
interrogarsi sulla «razionalità» porta a riconsiderare le condizioni materiali di vita
delle persone in difficoltà, come vedremo.
Le analisi delle pratiche
finanziarie quotidiane hanno fatto emergere originali forme di «addomesticamento» della
finanza. Addomesticare è il termine utilizzato in letteratura [Ossandón et
al. 2022; Pellandini-Simányi, Hammer e Vargha 2015] per indicare il modo
in cui gli individui attingono a più logiche e pratiche nel prendere le decisioni
finanziarie, in quello che è stato definito un bazar della razionalità [Godechot 2023]
dove persone di diverso background socioeconomico si rapportano alle pensioni, ai
risparmi, ai debiti, agli investimenti, alle spese quotidiane in modo differente, ma al
contempo molto efficace perché tiene conto delle loro condizioni materiali di vita.
Alla rappresentazione simmeliana
del denaro quale mezzo che rende omogeneo il significato degli scambi, si sono
contrapposte le analisi situate sviluppate grazie alla sociologa americana Viviana
Zelizer [1994], che ha mostrato come not all dollars are the same,
bensì le persone assegnano un valore al denaro che dipende dal contenuto delle relazioni
sociali all’interno delle quali avviene lo scambio: un significato che non dipende da
biases cognitivi, quindi, ma da un lavoro relazionale situato
in un contesto sociale definito. Ad esempio, nelle famiglie del Novecento studiate da
Zelizer, non è raro che il denaro «contrassegnato» al femminile avesse un
¶{p. 96}significato, e quindi un peso e degli utilizzi diversi, rispetto
a quello guadagnato dall’uomo. Abbiamo trovato simili differenziazioni tra le famiglie
musulmane di origine marocchina a Torino: il denaro femminile in questa comunità segue
strade peculiari, molto efficaci per tenere insieme dettami religiosi, desiderio di
emancipazione, pratiche tradizionali legate al paese di origine e volontà di inserimento
sociale nel paese di arrivo [Moiso e Ricucci 2020]. Spesso le strategie contemplano la
creazione di ROSCA, circuiti di risparmio e credito a rotazione di antichissima
tradizione: nel caso della comunità di migranti torinesi fedeli all’islam non sono però
residui di pratiche tradizionali, ma modalità delle seconde generazioni di conciliare
dettami della fede (ad esempio divieto di interessi sul denaro) con le tendenze della
finanziarizzazione (ad esempio necessità di indebitamento per l’acquisto della casa). In
tali situazioni, il denaro non è più mezzo freddo e omologante, ma uno strumento
attraverso cui antiche pratiche e nuove esigenze vengono mixate per ottenere inclusione
sociale.
Queste esperienze nascono dal basso
all’interno di comunità coese in cui è presente un elevato livello di fiducia
interpersonale. È interessante notare come abbiano ispirato, a livello istituzionale,
progetti presentati come innovativi e volti all’inclusione finanziaria. Proprio alle
ROSCA, ad esempio, fa riferimento l’esperienza delle comunità autofinanziate (CAF), nata
in Italia nel 2012 a seguito dell’importazione di una realtà consolidata in Spagna, in
Catalogna, nel 2004, fondata da un privato e chiamata ACAF (Associazione non profit per
le comunità autofinanziate). Si tratta di piccoli gruppi di persone che costruiscono
fiducia l’una nell’altra, iniziando un percorso in cui si incontrano con una periodicità
fissata, al fine di condividere piccoli risparmi, da cui possono attingere prestiti del
valore anche di qualche migliaio di euro. Il modello è stato esportato per ora in otto
città di differenti paesi
[1]
, tra cui l’Italia, dove l’associazione nazionale ACAF Italia si propone di
coordinare lo sviluppo delle CAF ¶{p. 97}italiane. Queste ultime sono
presentate come luogo in cui le persone si riuniscono per aiutarsi ad affrontare le
piccole difficoltà nella gestione del budget quotidiano o la mancanza di liquidità, per
far fronte alle esigenze di denaro senza avere entrate da guadagni regolari, e seguendo,
aspetto più importante, regole condivise dal gruppo durante la prima riunione: come si
accede al prestito, se viene applicato un tasso di interesse e di quale importo, le
modalità di rimborso, la necessità di garanti interni al gruppo in caso di prestiti.
Alla prima riunione si eleggono presidente, contabile, titolare del salvadanaio in cui
si raccolgono i soldi e titolare delle chiavi del salvadanaio, e segretario/a, poiché in
ogni riunione si redige un verbale.
Tra i primi CAF italiani vi sono
stati quelli nati a Torino, in cui uno era composto da giovani «non bancabili» secondo
il sistema finanziario tradizionale, beneficiari di una politica di sostegno al reddito.
La possibilità di fare questa esperienza è stata presentata loro durante un corso di
educazione finanziaria erogato nell’ambito delle politiche attive del lavoro collegate
al sostegno economico. Quattro partecipanti al corso hanno accettato di provare a
fondare il loro CAF e sono stati supportati da ACAF Italia: risiedevano nello stesso
quartiere e avevano deciso di incontrarsi ogni tre settimane in una sala riunioni della
biblioteca locale. Questi incontri sono stati animati da risparmi e prestiti, ma hanno
anche attivato una rete di scambio di informazioni importanti per la vita quotidiana
delle famiglie coinvolte (dalle occasioni di lavoro alle possibilità di acquisti a
prezzo contenuto, a consigli sulla modalità di accesso a misure di sostegno), e sono
stati al centro di varie occasioni di socialità (da un orto condiviso a occasioni
conviviali).
Rispetto alle ROSCA tradizionali,
nel caso del CAF l’originalità risiede nell’uso della contabilità. Nelle ROSCA ogni
membro deve risparmiare o prendere in prestito la stessa somma di denaro, ma la
contabilità ha permesso una certa flessibilità: ogni componente risparmia e si indebita
in base alle proprie esigenze, grazie alla presenza del contabile che prende nota delle
movimentazioni di denaro. È prevista anche l’educazione finanziaria, ma sotto aspetti
molto ¶{p. 98}tecnici e attraverso pratiche condivise: le ACAF nazionali
hanno lo scopo di trasmettere nozioni di contabilità di base ai partecipanti, durante le
prime riunioni, coinvolgendoli attivamente nel dar forma ai meccanismi del prestito che
ne definiscono accessibilità e sostenibilità. Secondo Patricia Pulido, la prima
presidente di ACAF Italia, in questo modo nelle riunioni successive si accede al
prestito non per una concessione, ma perché se ne ha diritto. In altre parole, il
sistema di intermediazione viene creato con la partecipazione degli stessi cittadini
interessati allo scambio di denaro, che hanno così la possibilità di esprimere le loro
esigenze, contrattare le condizioni in ottica partecipativa: la valutazione della
meritevolezza del credito incorpora in questo modo meno «biases» sulla condizione delle
persone giudicate «non bancabili» rispetto a quella quantitativa standard utilizzata
nella finanza tradizionale.
I maggiori vincoli alle pratiche di
condivisione dei CAF sono dovuti alla normativa prudenziale sull’intermediazione
finanziaria: non è permesso, diversamente dalla Spagna, imprestare soldi tra CAF
differenti, ed è obbligatorio sciogliere l’esperienza dopo un anno di attività. È
interessante sottolineare, però, che i gruppi attivi ottengono non di rado finanziamenti
da Fondazioni bancarie locali: in Piemonte Compagnia di San Paolo, in Toscana più
recentemente Fondazione del Monte dei Paschi di Siena. Il finanziamento è di solito
decisamente contenuto, copre i costi dei materiali e il supporto finanziario dei
consulenti ACAF ai primi incontri di ciascun gruppo. Inoltre, nel caso torinese il
Comune ha promosso questi gruppi nella misura politica di sostegno al reddito, anche se
il contatto è stato attivato da un’associazione del Terzo settore coinvolta nelle
politiche attive del lavoro.
Tra una normativa che comprime e
istituzioni finanziarie e pubbliche che sostengono debolmente, l’attività dei CAF in
Italia è rimasta piuttosto limitata. Il loro sviluppo si deve al periodo post-crisi
finanziaria, mentre la pandemia non pare aver dato particolare impulso alla costituzione
di nuove esperienze. Eppure la loro presenza, e soprattutto il richiamo all’esperienza
spagnola, fa riflettere sulla ripoliti¶{p. 99}cizzazione dell’accesso al
credito e sulla riconsiderazione della dimensione sociale della cittadinanza.
I beneficiari del sostegno al
reddito rifiutati dal sistema bancario tradizionale hanno trovato nel CAF la possibilità
di sottrarsi alle etichette di cattivi pagatori e vedersi riconosciuta un’alternativa,
avendo la possibilità di accedere a un momentaneo sollievo economico mentre cercavano di
rientrare sul mercato del lavoro. Si sono sentiti riconosciuti nelle loro condizioni
materiali di vita, dato che hanno avuto la possibilità di sperimentare una definizione
partecipata di inclusione finanziaria all’interno di una parallela costruzione di
pratiche comunitarie. Le esperienze come quella di ACAF, che vanno certo approfondite,
provano a ripoliticizzare la finanziarizzazione valutando nuove linee di inclusione
alternative alla finanza standard e tradizionale, ovvero agendo per riconoscere e
accompagnare la varietà di forme che può assumere la finanziarizzazione della vita
quotidiana.
5. Conclusioni
La crescente penuria e incertezza
dei diritti sociali e il peso dei condizionamenti e delle restrizioni al loro accesso,
per come evidenziati nei diversi capitoli di questo volume, tracciano il solco nel quale
collocare la riflessione sulle dinamiche di finanziarizzazione del welfare e della vita
quotidiana a partire dai tre casi analizzati. Rispetto ai diritti, la nostra analisi
richiama l’attenzione innanzitutto sulle implicazioni depoliticizzanti e
individualizzanti dei processi di finanziarizzazione, sia dal punto di vista dei
processi che dei loro contenuti. Dal punto di vista dei processi, abbiamo preso in esame
la trasformazione del rapporto tra attori pubblici e privati attraverso la ricostruzione
delle recenti evoluzioni del ruolo dei principali attori finanziari coinvolti nelle
politiche sociali, ovvero le fondazioni di origine bancaria (FOB). Analizzando il caso
del Fondo di contrasto alla povertà educativa minorile istituito nel 2015 dal governo
nazionale e mettendolo in relazione con altri casi di collaborazione tra FOB e attore
pubblico, abbiamo mostrato il crescente potere
¶{p. 100}ideativo di
questi attori finanziari posizionati all’incrocio tra pubblico e privato, che riescono a
imporre i propri quadri cognitivi e normativi in diversi settori dell’azione pubblica.
Ciò che ci pare rilevante dal punto di vista delle tensioni e trasformazioni della
cittadinanza è in questo senso la depoliticizzazione delle tematiche in questione,
intesa sia nel senso di sottrazione della discussione dalle arene democratiche sia nel
senso di presentazione in veste di soluzioni tecniche e neutrali di diagnosi e soluzioni
specifiche.
Note
[1] Si tratta di Spagna, Senegal, Portogallo, Italia, Ungheria e Belgio. Nel 2013 ACAF ha progettato e diffuso una piattaforma, www.winkomun.org, per presentare la propria metodologia in larga scala.