Lavinia Bifulco, Maria Dodaro (a cura di)
Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c5
Un assunto implicito degli attuali modelli di inclusione finanziaria è che esista un nesso causale tra inclusione finanziaria e benessere socioeconomico e, soprattutto, l’idea che sia il primo a determinare il secondo, anziché il contrario. Inoltre, si assume che scelte e comportamenti individuali siano determinanti rispetto all’inclusione finanziaria, sottovalutando il peso di fattori e contesti più generali. Da un lato, questo alimenta rappresentazioni depoliticizzate dei mercati finanziari. Dall’altro, il richiamo alla cittadinanza economica rende esplicita la concezione privatistica di cittadinanza sociale che l’educazione (e in generale, l’inclusione) finanziaria sottende. Infatti, è la dimensione economica della cittadinanza a essere enfatizzata, ovvero il diritto a partecipare al mercato, a scapito della dimensione sociale. Infine, è implicito che l’inclusione finanziaria avvenga sulla base delle forme mainstream di razionalità economico-finanziaria. Queste, come discusso nel prossimo paragrafo, non sono tuttavia le uniche possibili.
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4. Addomesticare il debito: le comunità autofinanziate

Il richiamato equilibrio tra dimensione economica e dimensione sociale, nonché la critica alle forme mainstream di razionalità economico-finanziaria, sono aspetti particolarmente importanti se si punta l’attenzione alla vita quotidiana di cittadini e cittadine. A tal fine è utile richiamare una declinazione di finanziarizzazione riscontrabile in letteratura, che presenta risvolti conoscitivi ma anche politici di un certo interesse: la logica finanziaria sarebbe diventata dominante, rendendoci tutti più calcolatori e «razionali» [van der Zwan 2014], come d’altronde vorrebbero alcuni programmi (ri)educativi precedentemente richiamati. La questione è politica, in quanto interrogarsi sulla «razionalità» porta a riconsiderare le condizioni materiali di vita delle persone in difficoltà, come vedremo.
Le analisi delle pratiche finanziarie quotidiane hanno fatto emergere originali forme di «addomesticamento» della finanza. Addomesticare è il termine utilizzato in letteratura [Ossandón et al. 2022; Pellandini-Simányi, Hammer e Vargha 2015] per indicare il modo in cui gli individui attingono a più logiche e pratiche nel prendere le decisioni finanziarie, in quello che è stato definito un bazar della razionalità [Godechot 2023] dove persone di diverso background socioeconomico si rapportano alle pensioni, ai risparmi, ai debiti, agli investimenti, alle spese quotidiane in modo differente, ma al contempo molto efficace perché tiene conto delle loro condizioni materiali di vita.
Alla rappresentazione simmeliana del denaro quale mezzo che rende omogeneo il significato degli scambi, si sono contrapposte le analisi situate sviluppate grazie alla sociologa americana Viviana Zelizer [1994], che ha mostrato come not all dollars are the same, bensì le persone assegnano un valore al denaro che dipende dal contenuto delle relazioni sociali all’interno delle quali avviene lo scambio: un significato che non dipende da biases cognitivi, quindi, ma da un lavoro relazionale situato in un contesto sociale definito. Ad esempio, nelle famiglie del Novecento studiate da Zelizer, non è raro che il denaro «contrassegnato» al femminile avesse un {p. 96}significato, e quindi un peso e degli utilizzi diversi, rispetto a quello guadagnato dall’uomo. Abbiamo trovato simili differenziazioni tra le famiglie musulmane di origine marocchina a Torino: il denaro femminile in questa comunità segue strade peculiari, molto efficaci per tenere insieme dettami religiosi, desiderio di emancipazione, pratiche tradizionali legate al paese di origine e volontà di inserimento sociale nel paese di arrivo [Moiso e Ricucci 2020]. Spesso le strategie contemplano la creazione di ROSCA, circuiti di risparmio e credito a rotazione di antichissima tradizione: nel caso della comunità di migranti torinesi fedeli all’islam non sono però residui di pratiche tradizionali, ma modalità delle seconde generazioni di conciliare dettami della fede (ad esempio divieto di interessi sul denaro) con le tendenze della finanziarizzazione (ad esempio necessità di indebitamento per l’acquisto della casa). In tali situazioni, il denaro non è più mezzo freddo e omologante, ma uno strumento attraverso cui antiche pratiche e nuove esigenze vengono mixate per ottenere inclusione sociale.
Queste esperienze nascono dal basso all’interno di comunità coese in cui è presente un elevato livello di fiducia interpersonale. È interessante notare come abbiano ispirato, a livello istituzionale, progetti presentati come innovativi e volti all’inclusione finanziaria. Proprio alle ROSCA, ad esempio, fa riferimento l’esperienza delle comunità autofinanziate (CAF), nata in Italia nel 2012 a seguito dell’importazione di una realtà consolidata in Spagna, in Catalogna, nel 2004, fondata da un privato e chiamata ACAF (Associazione non profit per le comunità autofinanziate). Si tratta di piccoli gruppi di persone che costruiscono fiducia l’una nell’altra, iniziando un percorso in cui si incontrano con una periodicità fissata, al fine di condividere piccoli risparmi, da cui possono attingere prestiti del valore anche di qualche migliaio di euro. Il modello è stato esportato per ora in otto città di differenti paesi [1]
, tra cui l’Italia, dove l’associazione nazionale ACAF Italia si propone di coordinare lo sviluppo delle CAF {p. 97}italiane. Queste ultime sono presentate come luogo in cui le persone si riuniscono per aiutarsi ad affrontare le piccole difficoltà nella gestione del budget quotidiano o la mancanza di liquidità, per far fronte alle esigenze di denaro senza avere entrate da guadagni regolari, e seguendo, aspetto più importante, regole condivise dal gruppo durante la prima riunione: come si accede al prestito, se viene applicato un tasso di interesse e di quale importo, le modalità di rimborso, la necessità di garanti interni al gruppo in caso di prestiti. Alla prima riunione si eleggono presidente, contabile, titolare del salvadanaio in cui si raccolgono i soldi e titolare delle chiavi del salvadanaio, e segretario/a, poiché in ogni riunione si redige un verbale.
Tra i primi CAF italiani vi sono stati quelli nati a Torino, in cui uno era composto da giovani «non bancabili» secondo il sistema finanziario tradizionale, beneficiari di una politica di sostegno al reddito. La possibilità di fare questa esperienza è stata presentata loro durante un corso di educazione finanziaria erogato nell’ambito delle politiche attive del lavoro collegate al sostegno economico. Quattro partecipanti al corso hanno accettato di provare a fondare il loro CAF e sono stati supportati da ACAF Italia: risiedevano nello stesso quartiere e avevano deciso di incontrarsi ogni tre settimane in una sala riunioni della biblioteca locale. Questi incontri sono stati animati da risparmi e prestiti, ma hanno anche attivato una rete di scambio di informazioni importanti per la vita quotidiana delle famiglie coinvolte (dalle occasioni di lavoro alle possibilità di acquisti a prezzo contenuto, a consigli sulla modalità di accesso a misure di sostegno), e sono stati al centro di varie occasioni di socialità (da un orto condiviso a occasioni conviviali).
Rispetto alle ROSCA tradizionali, nel caso del CAF l’originalità risiede nell’uso della contabilità. Nelle ROSCA ogni membro deve risparmiare o prendere in prestito la stessa somma di denaro, ma la contabilità ha permesso una certa flessibilità: ogni componente risparmia e si indebita in base alle proprie esigenze, grazie alla presenza del contabile che prende nota delle movimentazioni di denaro. È prevista anche l’educazione finanziaria, ma sotto aspetti molto {p. 98}tecnici e attraverso pratiche condivise: le ACAF nazionali hanno lo scopo di trasmettere nozioni di contabilità di base ai partecipanti, durante le prime riunioni, coinvolgendoli attivamente nel dar forma ai meccanismi del prestito che ne definiscono accessibilità e sostenibilità. Secondo Patricia Pulido, la prima presidente di ACAF Italia, in questo modo nelle riunioni successive si accede al prestito non per una concessione, ma perché se ne ha diritto. In altre parole, il sistema di intermediazione viene creato con la partecipazione degli stessi cittadini interessati allo scambio di denaro, che hanno così la possibilità di esprimere le loro esigenze, contrattare le condizioni in ottica partecipativa: la valutazione della meritevolezza del credito incorpora in questo modo meno «biases» sulla condizione delle persone giudicate «non bancabili» rispetto a quella quantitativa standard utilizzata nella finanza tradizionale.
I maggiori vincoli alle pratiche di condivisione dei CAF sono dovuti alla normativa prudenziale sull’intermediazione finanziaria: non è permesso, diversamente dalla Spagna, imprestare soldi tra CAF differenti, ed è obbligatorio sciogliere l’esperienza dopo un anno di attività. È interessante sottolineare, però, che i gruppi attivi ottengono non di rado finanziamenti da Fondazioni bancarie locali: in Piemonte Compagnia di San Paolo, in Toscana più recentemente Fondazione del Monte dei Paschi di Siena. Il finanziamento è di solito decisamente contenuto, copre i costi dei materiali e il supporto finanziario dei consulenti ACAF ai primi incontri di ciascun gruppo. Inoltre, nel caso torinese il Comune ha promosso questi gruppi nella misura politica di sostegno al reddito, anche se il contatto è stato attivato da un’associazione del Terzo settore coinvolta nelle politiche attive del lavoro.
Tra una normativa che comprime e istituzioni finanziarie e pubbliche che sostengono debolmente, l’attività dei CAF in Italia è rimasta piuttosto limitata. Il loro sviluppo si deve al periodo post-crisi finanziaria, mentre la pandemia non pare aver dato particolare impulso alla costituzione di nuove esperienze. Eppure la loro presenza, e soprattutto il richiamo all’esperienza spagnola, fa riflettere sulla ripoliti{p. 99}cizzazione dell’accesso al credito e sulla riconsiderazione della dimensione sociale della cittadinanza.
I beneficiari del sostegno al reddito rifiutati dal sistema bancario tradizionale hanno trovato nel CAF la possibilità di sottrarsi alle etichette di cattivi pagatori e vedersi riconosciuta un’alternativa, avendo la possibilità di accedere a un momentaneo sollievo economico mentre cercavano di rientrare sul mercato del lavoro. Si sono sentiti riconosciuti nelle loro condizioni materiali di vita, dato che hanno avuto la possibilità di sperimentare una definizione partecipata di inclusione finanziaria all’interno di una parallela costruzione di pratiche comunitarie. Le esperienze come quella di ACAF, che vanno certo approfondite, provano a ripoliticizzare la finanziarizzazione valutando nuove linee di inclusione alternative alla finanza standard e tradizionale, ovvero agendo per riconoscere e accompagnare la varietà di forme che può assumere la finanziarizzazione della vita quotidiana.

5. Conclusioni

La crescente penuria e incertezza dei diritti sociali e il peso dei condizionamenti e delle restrizioni al loro accesso, per come evidenziati nei diversi capitoli di questo volume, tracciano il solco nel quale collocare la riflessione sulle dinamiche di finanziarizzazione del welfare e della vita quotidiana a partire dai tre casi analizzati. Rispetto ai diritti, la nostra analisi richiama l’attenzione innanzitutto sulle implicazioni depoliticizzanti e individualizzanti dei processi di finanziarizzazione, sia dal punto di vista dei processi che dei loro contenuti. Dal punto di vista dei processi, abbiamo preso in esame la trasformazione del rapporto tra attori pubblici e privati attraverso la ricostruzione delle recenti evoluzioni del ruolo dei principali attori finanziari coinvolti nelle politiche sociali, ovvero le fondazioni di origine bancaria (FOB). Analizzando il caso del Fondo di contrasto alla povertà educativa minorile istituito nel 2015 dal governo nazionale e mettendolo in relazione con altri casi di collaborazione tra FOB e attore pubblico, abbiamo mostrato il crescente potere
{p. 100}ideativo di questi attori finanziari posizionati all’incrocio tra pubblico e privato, che riescono a imporre i propri quadri cognitivi e normativi in diversi settori dell’azione pubblica. Ciò che ci pare rilevante dal punto di vista delle tensioni e trasformazioni della cittadinanza è in questo senso la depoliticizzazione delle tematiche in questione, intesa sia nel senso di sottrazione della discussione dalle arene democratiche sia nel senso di presentazione in veste di soluzioni tecniche e neutrali di diagnosi e soluzioni specifiche.
Note
[1] Si tratta di Spagna, Senegal, Portogallo, Italia, Ungheria e Belgio. Nel 2013 ACAF ha progettato e diffuso una piattaforma, www.winkomun.org, per presentare la propria metodologia in larga scala.