Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c9
Dopo anni in cui il sistema
scolastico italiano è stato sottoposto a un sistematico sottofinanziamento e dopo una
pandemia che ne ha reso ancora più evidenti gli elementi di fragilità, soprattutto dal
punto di vista dell’equità, il PNRR avrebbe potuto costituire un’opportunità per
intervenire sulle sue debolezze strutturali. Tuttavia, se gli stanziamenti previsti
costituiscono una importante novità, in questo capitolo abbiamo mostrato che il piano si
muove, sia nel merito che nel metodo, perfettamente in continuità con la logica che ha
caratterizzato l’approccio delle politiche nel campo dell’istruzione a partire dagli
anni Duemila. In primo luogo, {p. 171}il piano ripropone e cristallizza
una visione della scuola come un «servizio» a disposizione di studenti e famiglie per
accumulare competenze il cui fine è, in ultima analisi, quello di essere spendibili sul
mercato del lavoro. In questa chiave, ossia in una visione economicista in cui la scuola
è uno strumento di produzione di capitale umano e in cui gli studenti sono visti come
imprenditori di sé, sono inquadrati tutti gli interventi di riforma proposti:
dall’estensione del tempo pieno, al rilancio degli istituti tecnici e professionali,
alla riforma dell’orientamento, passando per le competenze digitali e in ambito STEM. In
secondo luogo, il piano si poggia per la sua attuazione su processi di regolazione e di
governance che, in continuità con il paradigma managerialista,
esasperano la dimensione competitiva del campo scolastico e dunque, il rischio di
approfondire le disuguaglianze tra scuole e tra studenti. La messa a terra della gran
parte degli interventi finanziabili passa attraverso una accresciuta
responsabilizzazione delle singole autonomie scolastiche nella mappatura dei bisogni,
nella progettazione, nell’attuazione e nella rendicontazione dei risultati: questo
rischia di ampliare le disuguaglianze tra scuole e tra territori [Viesti 2022] e di
sovraccaricare un corpo docente già in sofferenza. Mentre scriviamo, emergono elementi
di resistenza al piano, sia da parte di dirigenti scolastici, sia di insegnanti, che
riguardano, non a caso, il rifiuto a inviare candidature per ricoprire la funzione di
«tutor» richiamata nelle pagine precedenti. È presto per comprendere se tali resistenze,
nel quadro più complessivo di un sistema scolastico progressivamente indebolito in
termini di capacità amministrativa, costituiranno un ostacolo determinante
all’attuazione del PNRR. Tuttavia, è certamente plausibile che esse esprimano non solo
una (legittima) protesta sindacale, dal momento che le remunerazioni aggiuntive sono
giudicate troppo basse rispetto ai nuovi compiti richiesti, ma forse anche una critica
al paradigma educativo sottostante al piano, nella sua definizione della funzione
insegnante e, simultaneamente, di quella di studenti e
studentesse.
¶{p. 172}
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Note