Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c10
Una parte importante del dibattito
ha messo in luce in modo critico gli aspetti normativi e valoriali cui l’investimento
sociale fa riferimento in tema di giustizia sociale e uguaglianza. L’istruzione, come si
diceva, è il fulcro dell’approccio. In linea con questa prospettiva, anche gli studi
comparativi sul welfare incorporano il sistema dell’istruzione come aspetto cruciale
delle politiche sociali e parte del welfare state [Busemeyer e Nikolai 2010]. Infatti,
gli interventi su istruzione e formazione possono rappresentare una politica molto
vantaggiosa per il bilancio pubblico che si autofinanzia nel tempo generando effetti
positivi per l’intera economia [Hendren e
¶{p. 180}Sprung-Keyser 2020].
Ma come afferma Wilensky [1975, 3] «l’istruzione è speciale». Infatti, non è una
politica sociale direttamente redistributiva, ma segue un diverso principio di giustizia
sociale: l’uguaglianza di opportunità. Inoltre, a causa dei condizionamenti delle
strutture occupazionali e dell’influenza esercitata dal background familiare e sociale,
l’investimento nell’istruzione può produrre risultati differenziati in termini di
disuguaglianza e partecipazione al mercato del lavoro [Checchi et
al. 2014]. Questo emerge anche dagli studi più recenti di Franzini e
Raitano [2019] che evidenziano come il peso delle disuguaglianze a parità di competenze
rimane elevato nel contesto italiano. Secondo Granaglia [2022] la ricerca di uguaglianza
di opportunità per quanto riguarda la partecipazione alla pari nel mercato spinge a
riconoscere l’importanza degli investimenti in istruzione e formazione, come sostegno
per i giovani più svantaggiati, per evitare l’esclusione dal mercato del lavoro e
offrire opportunità nelle condizioni di (ri)partenza. Tuttavia, l’investimento
nell’istruzione non garantisce né un lavoro, né un reddito all’interno del mercato del
lavoro perché ci sono delle opportunità che il mercato può offrire solo in parte, solo
in presenza di determinate politiche, oppure è del tutto incapace di garantire
[ibidem].
L’altro problema cui va incontro la
prospettiva dell’investimento sociale è di costruire la politica sociale attorno alla
valorizzazione del capitale umano rafforzando, così, una visione ristretta sia della
cittadinanza sociale che delle politiche educative, che sono meramente strumentali alla
dimensione di crescita economica. L’obiettivo si riduce all’aumento dell’occupabilità
delle persone per incrementare sia la produttività individuale che collettiva come
fattore di benessere [Robeyns 2006; Chiappero-Martinetti e Sabadash 2014]. Ma come
afferma Sen [1999, 296] «human beings are not merely means of production, but also the
end of the exercise». Quindi, se l’istruzione viene interpretata solo come elemento di
base per la creazione del capitale umano [Becker 1994], assume la funzione di uno
strumento utile solo per l’occupabilità. Inoltre, come mette in evidenza Laruffa [2016;
2017], il rischio è che solo alcuni tipi di ¶{p. 181}competenza siano
riconosciuti come legittimi, al fine di enfatizzare i giovani come potenziali
lavoratori, mentre se ne escludono altre. Il che significa ignorare, primo, le
molteplici opportunità che contano per gli individui e, secondo, il peso della
stratificazione sociale.
3. Le politiche attive nel contesto italiano
Rispetto ai problemi rilevabili sul
piano generale, quelli presenti nel contesto italiano presentano alcune specificità che
possiamo sintetizzare in termini di mancata istituzionalizzazione – a oggi – del
paradigma dell’investimento sociale e delle politiche attive.
Come già accennato, in Italia la
transizione scuola-lavoro è debolmente presente nell’agenda istituzionale. I giovani che
falliscono nel percorso scolastico standard hanno limitate opportunità sia di
inserimento lavorativo che nell’accesso a una formazione professionale di qualità e
vengono, quindi, maggiormente esposti all’esclusione sociale. In
primis, la disoccupazione giovanile (18,0% nella fascia d’età tra i 15-29
anni nel 2022)
[2]
è da anni molto elevata in confronto con la media dei paesi dell’Unione
Europea (13,0% nel 2022) e continua a dimostrare la grande difficoltà dei giovani a
entrare nel mercato del lavoro con preoccupanti livelli di inattività (17% nel 2020) e
costante crescita dei Neet (25,1% nel 2020). A
questi dati, come è noto, si aggiunge la precarizzazione dei lavori a tempo determinato
e flessibili e la tendenza a svolgere occupazioni mal retribuite per cui si è
considerati sovraqualificati.
Tutto ciò si inserisce in un quadro
di politiche attive per il lavoro che presenta alcune specificità e alcuni elementi
evolutivi. In una situazione in cui manca storicamente un sistema nazionale di politiche
attive e di servizi minimi su scala nazionale, nel 2015 è stata creata una nuova
agenzia, l’ANPAL (Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro), che ha
assorbito tutte le competenze e le risorse ¶{p. 182}del Ministero del
Lavoro e delle Politiche sociali in questo campo, comprese quote significative di
risorse del Fondo sociale europeo. Oltre alla competenza esclusiva su istruzione e
formazione professionale (IFP), le Regioni hanno competenza concorrente sulla maggior
parte delle politiche attive per il mercato del lavoro, cioè hanno il potere normativo,
mentre lo Stato mantiene solo il potere di emanare i principi fondamentali (articolo 117
della Costituzione).
In questo contesto, le politiche
attive e i vari servizi per l’impiego, tra cui l’offerta di IFP, hanno assunto sempre
più importanza con il rafforzamento del coordinamento tra i servizi pubblici per
l’impiego, ANPAL e le Regioni. Infatti, recenti propositi di «rafforzamento» o
«potenziamento» anche con le ultime programmazioni tra cui il «Piano nazionale di
ripresa e resilienza» hanno puntato sempre di più l’attenzione verso i servizi per
l’impiego (SPI) ai quali viene attribuito un ruolo strategico nella ridefinizione delle
politiche del lavoro italiane nel contesto post-emergenza pandemica in cui le nuove
generazioni sono un target trasversale. In aggiunta, come sottolineato dal rapporto OECD
[2019] il loro ruolo strategico si basa sul presupposto che l’incontro tra domanda e
offerta nel mercato del lavoro sia destinato a dipendere dai nuovi sistemi di
Information Communication Technology (ICT) per la fornitura di
servizi per l’impiego e che questi sistemi siano considerati efficienti ed efficaci in
termini di costi e risultati. Questo sistema dovrebbe servire come base per il
monitoraggio delle attività e dell’efficacia delle Regioni e dei centri per l’impiego
(CPI), consentendo l’introduzione del performance management nel
sistema. Il percorso intrapreso va in parallelo con i tentativi di cambiamento con le
cosiddette «innovazioni organizzative» che aspirano a un approccio più manageriale sul
modello del New Public Management caratterizzato dal forte
orientamento ai risultati, all’efficienza e all’efficacia.
Per quanto riguarda i giovani, il
pilastro delle politiche attive è il programma Garanzia Giovani (GG) che rappresenta per
l’Italia la strategia principale per le politiche per il lavoro e l’occupazione
giovanile. Queste politiche ¶{p. 183}propongono azioni mirate per il
gruppo target di giovani Neet (18-34 anni nel caso
italiano). Concettualmente il programma GG è inquadrato nel paradigma dell’attivazione,
in continuità con le strategie dei programmi europei. Sul piano normativo ne condivide
l’approccio promozionale e il valore attribuito allo sviluppo del capitale umano come
leva per l’inclusione lavorativa e sociale, avendo come obiettivo principale
l’occupabilità da realizzare attraverso una varietà di interventi: bonus e incentivi per
le imprese che assumono e per i giovani che accettano i tirocini, iniziative formative,
mobilità, percorsi di auto-imprenditorialità e servizio civile.
Il monitoraggio di GG, curato da
ANPAL, evidenzia che alla fine del 2021 (dopo sette anni e mezzo dall’avvio del
programma) i NEET che si sono registrati al portale dedicato erano complessivamente
oltre 1.644.000. Rispetto a questo bacino, il 74,4% è stato preso in carico dai servizi
competenti, attraverso la sottoscrizione del patto di servizio presso un CPI o
un’agenzia per il lavoro (APL) e la definizione di un intervento di politica attiva che
nella maggior parte dei casi consiste in tirocini extracurriculari. A marzo 2022 su
781.831 giovani che hanno concluso l’intervento, si contavano 519.123 occupati, con un
tasso di occupazione del 66,4% [ANPAL 2022]. Inoltre, GG viene considerato un caso
interessante perché ha istituzionalizzato per la prima volta su scala nazionale un
sistema unitario di profilazione su base statistica per regolare l’accesso dei giovani a
una politica di welfare. Questi servizi usati come strumento di profilazione per
definire categorie di rischio più individualizzanti hanno l’intento di classificare
l’ampia ed eterogenea categoria dei giovani in target differenziati per tipologia di
fabbisogno e di obiettivo di intervento, al fine di concentrare l’assistenza su gruppi
specifici, ma sfavoriscono una maggiore personalizzazione tramite interventi inclusivi e
sostenibili soprattutto verso i giovani più svantaggiati [Mozzana 2019]. Gli ultimi
report rivelano come negli anni della sua attuazione GG non è riuscita a scalfire in
modo significativo la quota dei Neet sulla
popolazione giovanile italiana (in termini assoluti e di incidenza). Inoltre, la scelta
di privilegiare l’accesso al programma attraverso ¶{p. 184}una
piattaforma di profilazione non sembra aver favorito i target più vulnerabili tra i
giovani Neet, contribuendo a rafforzare la
tendenza in atto nel mercato del lavoro alla polarizzazione fra chi riesce con percorsi
di qualificazione e specializzazione crescenti a cogliere le opportunità e la fascia più
fragile di giovani meno occupabili, con competenze e livelli di istruzione più bassi,
soggetti a processi di esclusione.
4. Conclusioni
Le condizioni dei giovani sono
andate peggiorando con la crisi pandemica, come dimostrano i principali indicatori del
mercato del lavoro. Infatti, è evidente come si stiano costituendo meccanismi
incapacitanti che insistono tanto su dimensioni micro (soggettive, biografiche,
familiari), meso (i contesti scolastici e corsi di vita) e macro (la stratificazione
sociale e la segmentazione scolastica, le condizioni del mercato del lavoro ecc.);
contrastarne l’effetto esige ancora più integrazione e coordinamento intra e
inter-istituzionale, oltre il livello locale e politiche settoriali [Bifulco e Mozzana
2016].
Ciò avviene in un contesto che
storicamente ha protetto poco i giovani. Da questo punto di vista, mettere al centro le
politiche dell’istruzione, formazione e crescita delle competenze come strumenti per
contrastare le disuguaglianze intergenerazionali è sicuramente fondamentale per
garantire il diritto e la pari opportunità all’istruzione. Ma l’investimento solo
nell’istruzione rischia di diventare una parte troppo piccola nel contrasto alle
disuguaglianze e si rischia di trascurare altre barriere fondamentali per raggiungere
l’uguaglianza di opportunità, come il contesto, i biases del
mercato, il potere della famiglia di origine di influenzare il percorso delle
transizioni, i problemi della scuola, il passaggio generazionale di ricchezza, le
discriminazioni razziali, le stratificazioni sociali ecc.
Pur ancora limitate, nel contesto
italiano le politiche attive del mercato del lavoro stanno legittimando sempre di più
una prospettiva ristretta dell’investimento sociale, vista solo come potenziamento del
capitale umano, come responsabilità
¶{p. 185}individuale di pari
partecipazione al mercato del lavoro. Ciò porta a sminuire il fatto che la
disoccupazione giovanile corrisponde a un problema che ha cause molteplici, che va dalla
mancanza di strategie e di politiche industriali, alle difficili e inadeguate condizioni
di lavoro, al restringimento delle opportunità, fino alla perdita di fiducia nel
prossimo e nelle istituzioni. Si tratta quindi di una crisi complessa che solleva
interrogativi importanti sull’esercizio dei diritti di cittadinanza sociale e
sull’uguaglianza di opportunità capacitanti [Granaglia 2022], cioè sulle libertà
effettive di raggiungere i risultati cui le persone hanno ragione di attribuire valore
in quanto fondamentali per il perseguimento dei diversi progetti di vita. Da questo
punto di vista, un’agenda per le transizioni giovanili, soprattutto nel post-Covid,
dovrebbe ispirarsi all’approccio delle capabilities di Sen [1999],
che enfatizza il rapporto di interdipendenza tra l’agency
individuale e le opportunità dei contesti sociali e istituzionali, cruciali nel definire
la struttura delle opportunità e delle risorse cui gli individui possono accedere.
Note
[2] Estratti da dati ISTAT 2023.