Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c8
Perciò, in Lombardia, la sfida del
rilancio di un sistema di sanità territoriale risulta più ardua e più decisiva che in
altri contesti. Si tratta infatti di innescare un processo di
¶{p. 151}institution building che può assumere
connotazioni più o meno inclusive della cittadinanza locale.
Con la legge regionale 22 del 14
dicembre 2021, è stata prevista l’apertura entro il 2024 di 216 CDC, 71 ODC e 101 COT.
In particolare, dovrebbe sorgere una CDC ogni 50.000 abitanti e un ODC ogni 150.000
abitanti, con l’apertura del 40% delle strutture entro il 2022, il 30% entro il 2023 e
il restante 30% entro il 2024.
Le CDC devono garantire: le cure
primarie attraverso équipe multidisciplinari; l’assistenza a domicilio; la medicina
specialistica ambulatoriale; i servizi di continuità assistenziale 24 ore su 24. Sono
distinte in hub centrali (che dovranno erogare anche i servizi
diagnostici per il monitoraggio della cronicità, il punto prelievi, le attività di
consulto e i centri vaccinali) e CDC Spoke, con un’offerta di servizi più limitata. In
aggiunta, nelle CDC è prevista la presenza di servizi sociali. Gli ODC, invece, sono
strutture a gestione infermieristica per la degenza di persone che non necessitano
dell’assistenza ospedaliera ma che, per vari motivi, non possono essere assistite a
domicilio. Le COT sono centri di raccordo territoriali per gestire la continuità
assistenziale dei pazienti che passano dall’ospedale ad altri servizi territoriali.
Allo stato attuale, non sono
disponibili dati complessivi sul numero delle strutture sanitarie territoriali
inaugurate in Lombardia né sul modello organizzativo in esse implementato. Alcune
evidenze empiriche relative a Milano ci permettono tuttavia di delineare i processi in
atto e le direzioni che tali processi potrebbero prendere.
La città di Milano è un caso
emblematico del processo di centralizzazione ospedaliera seguito dai servizi regionali
lombardi. Nei primi anni Novanta ha istituito 20 distretti sociosanitari di base ma,
dopo solo un decennio, la Regione ha avviato un processo di accentramento con
l’accorpamento dei 20 distretti in 5 macro-distretti. Con la legge regionale n. 23/2015
i distretti sono stati svuotati delle loro funzioni erogatrici e gestionali: le varie
ASL milanesi sono confluite in un’unica Agenzia di tutela della salute (ATS), alla quale
sono state trasferite le responsabilità gestionali dei servizi di medicina generale e
continuità assistenziale. Le prerogative ¶{p. 152}gestionali dei servizi
di medicina specialistica e assistenza territoriale sono state, invece, trasferite alle
aziende ospedaliere, trasformate in Aziende sociosanitarie territoriali (ASST). Infine,
la stessa legge ha esternalizzato i servizi di assistenza domiciliare.
In prospettiva, la situazione è in
via di cambiamento. Per rispettare gli obiettivi legislativi che prevedevano
l’inaugurazione del 70% delle CDC entro il 2023, ATS Milano ha dato impulso, nel 2021,
alla riorganizzazione della medicina territoriale attraverso una strategia che agisce
parallelamente sul piano edilizio e amministrativo. In campo edilizio, è stata
predisposta la conversione in CDC di poliambulatori e consultori già funzionanti. Ciò ha
reso possibile, fra il 2022 e i primi quattro mesi del 2023, l’apertura di dieci CDC. Le
restanti quattordici CDC sorgeranno in edifici ristrutturati messi a disposizione dal
Comune di Milano, oppure in edifici di nuova costruzione denominati «Cubi della salute».
La strategia amministrativa prevede il decentramento delle funzioni gestionali e
organizzative della medicina territoriale verso le ASST e la ricostituzione dei
distretti sociosanitari, responsabili dell’erogazione dei servizi di medicina
territoriale. Ogni distretto dovrebbe offrire: almeno una CDC Hub ogni 40.000-50.000
abitanti; diverse CDC Spoke; ambulatori di medicina generale e pediatrica; almeno un
infermiere di famiglia ogni 3.000 abitanti; almeno una unità di continuità assistenziale
ogni 100.000 abitanti; una COT; almeno un ODC.
Conseguentemente, i distretti hanno
riacquisito sia i poteri di coordinamento dell’attività dei medici di medicina generale,
sia quelli relativi alla gestione dei servizi di continuità assistenziale e delle CDC,
sia le funzioni erogative delle prestazioni di medicina specialistica di base e relative
all’assistenza domiciliare.
Le sfide aperte da un processo di
institution building di tale portata sono molteplici. La prima
riguarda la necessità di riattivare le vecchie funzioni dei distretti sociosanitari e di
istituire i nuovi servizi sanitari previsti dalla l.r. 22/2021 senza assumere nuovo
personale amministrativo ma riorganizzando quello già presente. Questo implica che i
nuovi direttori ¶{p. 153}di distretto non saranno dotati di strutture
amministrative dedicate. Tale condizione rischia di sfociare nell’istituzione di figure
dirigenziali prive delle risorse adatte per sviluppare la cooperazione con altre
istituzioni del territorio, come i medici di medicina generale e il Comune di Milano.
La seconda sfida riguarda il
personale: i medici di base innanzitutto, il cui coinvolgimento effettivo nelle CDC è
ancora una partita aperta; anche il personale sanitario da assumere ad
hoc. La Regione ha stanziato risorse economiche per il reclutamento di
nuovo personale sanitario, tuttavia i bandi di assunzione vanno per lo più deserti. Per
risolvere tale problema, sarà necessario trovare il modo per rendere attrattivo il
lavoro sanitario di comunità.
La terza e ultima sfida aperta dalla
creazione delle CDC, forse la più complessa e determinante, è garantire «l’erogazione di
servizi universalmente accessibili, integrati, centrati sulla persona in risposta alla
maggioranza dei problemi di salute del singolo e della comunità nel contesto di vita»
(d.m. 77/2022: 8). Per raggiungere un simile obiettivo in una città come Milano, dove
l’offerta di servizi sociosanitari è altamente frammentata, è necessario che gli attori
interessati – ATS, ASST, distretti, Comune di Milano e governi municipali – investano
risorse umane, temporali ed economiche nell’avvio di percorsi di cooperazione efficaci e
duraturi. Il rischio è che le CDC milanesi diventino luoghi di erogazione di prestazioni
sanitarie standardizzate, non personalizzate e non integrate coi servizi sociali urbani.
4. Conclusioni
La pandemia ha messo alla prova
tutto il sistema sanitario italiano, evidenziando alcuni suoi storici limiti
strutturali: lo scarso investimento finanziario; il peso delle logiche di mercato; la
carenza di attività preventiva; la sproporzione tra prestazioni ospedaliere e sanità
territoriale; il frammentato e disuguale assetto regionalizzato dell’assistenza.
Questi limiti hanno impoverito lo
spirito originario del nostro servizio sanitario. Uno spirito in cui l’universalismo
¶{p. 154}da un lato fa sì che la tutela della salute sia assicurata a
tutti i cittadini in quanto membri della medesima collettività, perciò titolari degli
stessi diritti. Dall’altro lato «atterra» nel territorio, innervandosi nella specificità
dei bisogni, delle capacità e dei poteri dei soggetti che vi abitano. Dunque, dentro un
quadro di universalismo che riconosce la salute come un diritto, il territorio dovrebbe
operare non come un fattore di frammentazione ma come un fattore di conversione di
diritti e riconoscimenti formali in diritti effettivi per il ben-essere.
Questo impianto, benché più volte
rimaneggiato, è ancora oggi in piedi. Sicuramente occorre intervenire sui limiti di cui
hanno dato prova le sue realizzazioni, ma per rilanciarlo, non per demolirlo. Le
strategie delineate dal PNRR relativamente alla sanità territoriale sono da questo punto
di vista incoraggianti ma non risolutive, come abbiamo visto a proposito delle nascenti
CDC. La questione delle risorse è, infatti, complessa e la persistente tendenza alla
riduzione della spesa rilevabile a livello nazionale non aiuta a far fronte alle sue
strozzature, in primo luogo per quanto riguarda il reclutamento del personale. Una
partita altrettanto delicata è quella relativa alla salvaguardia di un livello minimo di
omogeneità dei diritti sul territorio nazionale a fronte delle richieste di autonomia
avanzate con determinazione da alcune Regioni.
Non si tratta di tornare indietro ma
di volgere lo sguardo al futuro. Un futuro in cui, con l’avanzare dell’incertezza nelle
nostre società, la sanità dovrà affrontare situazioni vecchie e nuove di crisi. Questo
significa attrezzarsi con approcci di tipo sistemico, in grado di gestire le
interdipendenze. Come ha sostenuto con forza nel pieno della crisi sanitaria Horton
[2020], redattore capo della prestigiosa rivista «The Lancet», il Covid va considerato
non una pandemia ma una sindemia. Cioè è necessario considerarne le dimensioni sociali.
I modi in cui prenderanno vita
realmente le nuove (o quasi) strutture territoriali volute dal PNRR sono decisivi da
questo punto di vista. Contano molto gli approcci cui saranno improntate riguardo al
rapporto fra la dimensione sanitaria e quella sociale. Conta poi se e come
concretizze¶{p. 155}ranno un rapporto di prossimità fra i servizi e le
collettività locali. Infine, conta moltissimo un livello di natura sistemica: la
possibilità di ridurre il peso del paradigma di mercato, che proprio nella sanità ha
trovato in Italia il terreno più avanzato di ridimensionamento del welfare. L’assunto
che il rapporto fra domanda e offerta sia il meccanismo principe in grado di garantire
l’efficacia e l’efficienza del sistema di offerta tende a operare come un filtro
potentissimo che esclude dal campo d’azione il complesso di condizioni sociali rilevanti
per la salute. Inoltre, esso porta a ignorare tutte le situazioni di mal-essere che non
riescono, per effetto di diversi impedimenti, neanche a costituirsi come domanda [de
Leonardis 1998]. Per converso, è esattamente su queste situazioni che dovrebbero agire
strategie orientate alla prevenzione e radicate nel territorio.
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¶{p. 156}
Note