Lavinia Bifulco, Maria Dodaro (a cura di)
Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c6
Ciò che infatti confluisce ininterrottamente verso le periferie milanesi sono gli investimenti immobiliari che, lungo la rotta che va dall’Expo alle prossime Olimpiadi Invernali, continuano a trasformare la città. Soltanto gli scali ferroviari e i siti di Reinventing Cities – oggi tra i progetti pubblico-privati più emblematici – raccontano di circa 1.638.400 mq
{p. 113}che cambieranno il volto del paesaggio periferico milanese, riproponendo, in stile più iconico, la formula residenza-parco-centro commerciale tipica degli interventi privatistici milanesi [Bricocoli e Savoldi 2010].

5. Bandi per reinventare la città

Alla luce dell’attuale contesto milanese, particolarmente effervescente sul piano della trasformazione urbana delle periferie, ci pare interessante guardare al caso empirico di Reinventing Cities: un bando internazionale con l’obiettivo di avviare progetti di rigenerazione urbana promuovendo iniziative innovative dal punto di vista della resilienza climatica e dell’inclusione sociale. Il programma, promosso dal 2017 dal network internazionale di città C40 cui aderisce anche Milano, è rivolto ad attori del real estate, della finanza, dell’urbanistica e della società civile che, uniti in «team interdisciplinari», partecipano alle varie call proponendo progetti urbani in linea con l’attenzione ambientale e sociale richiesta dalle linee programmatiche del bando, elencate in dieci sfide comuni a tutte le città del mondo. Spetta invece a ogni singola città scegliere quali siti inserire nella competizione. Milano ha aderito all’iniziativa fin dall’inizio, concentrando la scelta su 18 luoghi della periferia milanese tra scali ferroviari, edifici inutilizzati, piazze e vuoti urbani nella città compatta. A parte una sola eccezione, questi siti sono distribuiti al di fuori della circonvallazione che tradizionalmente traccia la linea di separazione tra il centro e la periferia, promettendo una rigenerazione capillare dell’arco periferico milanese.
Reinventing Cities è quindi un’azione politica che ben si presta a illustrare il trend generale delle politiche sulle periferie per diverse ragioni. In primo luogo, il bando promuove rigenerazioni urbane puntuali che insistono su porzioni specifiche di territorio, secondo una logica «ad agopuntura» che prescinde dalla pianificazione della città nel suo complesso. Agli attori privati chiamati a presentare le loro proposte di riqualificazione è praticamente lasciata {p. 114}carta bianca sul tipo di intervento da attuare nei siti in competizione, purché rispettino la generica indicazione di sostenibilità e inclusione sociale. Le aree urbane coinvolte da questi progetti saranno inoltre oggetto di un processo di privatizzazione, date le lunghe concessioni comunali previste per gli attori incaricati del processo. Inoltre viene enfatizzata l’idea della rigenerazione fisica come rimedio ai problemi multidimensionali della periferia. Infine, se è vero che questa iniziativa precede l’esperienza urbana del lockdown, è nondimeno interessante come nel discorso pubblico odierno le progettualità di Reinventing Cities siano spesso inquadrate nella prospettiva della Città dei 15 minuti. Ciò suggerisce la rilevanza di guardare a un caso la cui continuità permette di analizzare il dibattito sulla città post-pandemica in una prospettiva più ampia e meno disincantata.
Analizzando i progetti vincitori delle edizioni milanesi, tra i candidati spicca la prevalenza degli attori economici del capitalismo finanziario e real-estaticized locale, accompagnati da una pletora di attori della società civile che tendono tuttavia ad avere ruolo marginale [Tozzi 2023]. Per quanto riguarda le proposte vincitrici delle prime due call, troviamo strutture urbane, che – eccezion fatta per il parco termale che darà nuova vita alle ex Scuderie de Montel – propongono nuove costruzioni residenziali ispirate alla mixité sociale con un’offerta abitativa diversificata (alloggi convenzionati, edilizia libera, social e student housing, ostelli e foresterie); nuovi spazi pubblici e luoghi per la collettività come orti urbani o mercati locali; spazi appositi per esercizi commerciali al dettaglio, uffici e coworking. Infine, un uso marcato del verde, della tecnologia e di nuove infrastrutture per la mobilità dolce contribuiscono alla sostenibilità ambientale. Si tratta dunque di progetti urbani ibridi più o meno complessi – a seconda dell’ampiezza dei siti – che assurgono a stabilire nuove centralità nei quartieri periferici in cui si situano, futuri punti nevralgici della Milano «dei 15 minuti». Anche gli stessi operatori immobiliari adottano questo modello nelle loro narrazioni.
Guardando i rendering e le tavole tecniche dei progetti di Reinventing Cities, attraverso il prisma del dibattito odierno {p. 115}sulla periferia e sulle politiche neoliberali che agiscono su di essa, risulta evidente il suo processo di normalizzazione e banalizzazione tipico delle riqualificazioni contemporanee, tanto a livello estetico quanto rispetto alle strutture proposte. In primo luogo, emerge la diversificazione dell’abitare, principale tassello delle rigenerazioni contemporanee delle periferie [Bellanger et al. 2018]. Inoltre, nonostante l’anticipo sui tempi pandemici, è interessante notare come già fossero centrali i «luoghi terzi» e gli spazi pubblici nella concezione dei pezzi della città «re-inventata». Da un lato, spazi pubblici e inserzioni di verde urbano erano richieste dal bando [Bruzzese 2022]. Dall’altro, questi stessi spazi sono anche funzionali all’estrazione della rendita. Spazi pubblici privatizzati e ordinati e luoghi verdi «addomesticati» partecipano al processo di abbellimento della città mentre, nella prospettiva del capitalismo estetico [Böhme 2003], aumentano il valore economico degli edifici.

6. Conclusione

La pandemia da Covid-19 ha contribuito a dare nuovo sviluppo al dibattito sulla periferia contemporanea. Il modello della Città dei 15 minuti può essere utilmente assunto come schema idealtipico dell’urbanità post-Covid. Da una parte tale modello esprime infatti l’interesse per una città fortemente policentrica, opposta alla gerarchia monofunzionale ereditata dal sistema urbano fordista. Dall’altra esso tende a «sbarazzarsi» dell’idea di periferia, negandone le specificità e riconducendola al generico concetto di quartiere. Al di là dell’enfasi con cui nel dibattito mediatico si tende a parlare di una «rivoluzione urbanistica», vi sono molti elementi di continuità tra la nuova domanda di policentrismo e le politiche che dagli anni Ottanta hanno provato a rigenerare i vuoti industriali e le antiche periferie residenziali della classe operaia. Le linee di sviluppo urbano attuali, oggi variamente rebranded nel concetto di Città dei 15 minuti, danno forma al desiderio della città contemporanea di cancellare la periferia stessa come panorama urbano e sociale. Il dibattito {p. 116}sulla città post-pandemica introduce nuove narrazioni che si inseriscono in quei processi di costruzione della città che da tempo sono consegnati al mercato secondo una logica di depoliticizzazione dell’urbano e del sociale (Bifulco e Dodaro, supra).
In questa prospettiva, il bando Reinventing Cities è emblematico delle politiche imprenditoriali di rigenerazione urbana che, a Milano come altrove, trasformano i quartieri periferici attraverso processi di normalizzazione e allineamento ai connotati morfologici e sociali tipici dei vibranti centri urbani postmoderni. L’esperienza pandemica e il successivo dibattito hanno accelerato e approfondito una dinamica già da tempo in atto: quella per cui le politiche nelle periferie risultano orientate alla cancellazione della periferia in quanto tale.
Il carattere normalizzatore di questo tipo di interventi può essere letto attraverso due lenti teoriche, a seconda che si adotti una prospettiva più strutturalista o una focalizzata sull’agency degli attori della governance. Da un lato, l’omogeneizzazione dell’ambiente costruito rappresenterebbe la forma dei criteri di mercato che assicurano un ritorno economico rispetto all’investimento [Halbert e Attuyer 2016]. Nella città neoliberale e imprenditoriale, ciò comporta un processo di standardizzazione in termini di forme, usi e utenti degli spazi urbani, e complementari processi di espulsione di ciò che non contribuisce alla produzione di valore economico [Sassen 2018]. Dall’altro lato, la convergenza verso modelli normalizzati è imputabile anche alle politiche in stile one-size-fits-all model, caratteristiche della dottrina neoliberale: nella geografia globale, i problemi si assomigliano un po’ dappertutto e, coerentemente, simili possono essere ricette e soluzioni politiche. Nelle città postfordiste ciò si è rivelato particolarmente evidente rispetto alla rigenerazione urbana. Alcune politiche urbane apparse vincenti sono state riprese da molte amministrazioni locali in una dinamica emulativa – si pensi al «modello Barcellona» per le Olimpiadi o alle mille «guggenheimizzazioni» sparse per il globo. Le stesse politiche urbane vengono trasferite da una città all’altra grazie a un vero e proprio «turismo {p. 117}dei policy makers» [González 2011] locali che viaggiano, frequentano spazi appositamente dedicati allo scambio di best practices: associazioni come Eurocities, Clever Cities o C40 permettono all’urbanismo di essere «mobile» [McCann e Ward 2011] e plasmare in modo simile le città.
Lo schiacciamento degli immaginari urbani su pochi modelli normalizzati, insieme alla depoliticizzazione e tecnicizzazione delle scelte relative alla città, hanno favorito la diffusione di un discorso pubblico del tipo there is no alternative. In questo senso, sarebbe auspicabile recuperare una riflessione che consideri opzioni locali in grado di offrire maggiore varietà e minori rischi di omologazione. Il modello urbano ora discusso rischia di concorrere alla produzione di nuove forme di disuguaglianza generando ulteriori processi di gentrificazione ed espulsioni, in assenza di adeguati meccanismi redistributivi, come forme di prelievo fiscale sulla rendita o oneri di urbanizzazione che consentano di socializzare in misura adeguata le trasformazioni urbane – oneri che a Milano sono tra i più bassi d’Europa.

Riferimenti bibliografici

Alasia, F. e Montaldi, D. [2010], Milano, Corea. Inchiesta sugli immigrati negli anni del «miracolo», Roma, Donzelli.
Bellanger, E., Collet, A., Desage, F. e Gilbert, P. [2018], Rénovation urbaine. L’espace comme remède à la question sociale, in «Métropolitiques», on line.
Bertolini, S. e Tosi, S. [2022], Distanziamenti e capitale sociale in smart working, in «Meridiana», 104, pp. 101-124.
Böhme, G. [2003], Contribution to the critique of the aesthetic economy, in «Thesis Eleven», 73, 1, pp. 71-82.
Bricocoli, M. e Savoldi, P. [2010] (a cura di), Milano downtown. Azione pubblica e luoghi dell’abitare, Milano, Et Al Editore.
Bruzzese, A. [2022], Lo spazio pubblico nei progetti di Reinventing Cities a Milano: il ruolo del bando nelle scelte progettuali, in «Atti di Convegno XIII Giornata internazionale di studi Inu».
Epstein, R. [2013], La rénovation urbaine: Démolition-reconstruction de l’État, Paris, Presses de Sciences Po.
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